Da Torino a Palermo, l’Italia imbecille che se ne frega del Coronavirus (e ci mette tutti a rischio)
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Da Torino a Palermo, l’Italia imbecille che se ne frega del Coronavirus (e ci mette tutti a rischio)

Non è un complotto contro le vostre vite. Non è un attentato alla vostra libertà. È una malattia. La gente muore. State a casa, stupidi imbecilli.

Movida nonostante il Coronavirus
Movida nonostante il Coronavirus
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Giuseppe Cassarà Modifica articolo

9 Marzo 2020 - 10.45


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È la prima domenica dalla stretta delle misure per il Coronavirus. Vivo a Roma, per fortuna, e la situazione è ancora relativamente sotto controllo. Nessuna coda ai supermercati, nessuna scena di panico. Le notizie scorrono sugli schermi e mantengono il livello di allerta alto, ma non abbiamo ancora il virus che preme contro le nostre finestre, che si annida negli spazi tra le nostre dita, che laviamo ormai una quarantina di volte al giorno. Ci si può ridere ancora sopra, tra le mura domestiche, dove per ammazzare il tempo in questa giornata di sole quasi primaverile si cucina, si legge, si cerca su Netflix una nuova serie.

Poi viene la sera, e di sera è peggio. Sopportabile, ma peggio. Esco per comprare le sigarette, perché si può ancora fare, e passo da una via molto nota per la movida. Aspettandomi, ingenuamente, di trovarla deserta.

Trovo i locali pieni. La distanza di un metro che dovrebbe essere obbligatoria per legge assolutamente ignorata. Si sta ammassati davanti agli Spritz e intorno ai funghi caloriferi come se fosse una domenica qualunque. Si parla del virus, ovviamente, ma come se fosse ancora lontano. Come se i 77 casi del Lazio fossero in un’altra dimensione, Milano la città di un altro paese. Si ride, si beve.

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Torno furibondo, con più panico in corpo. E quasi contemporaneamente, il mio telefono inizia a vibrare: A Piazza Bologna, mi scrive un’amica, pieno di persone che fanno l’aperitivo come se nulla fosse. Ma lo hanno capito che situazione c’è? chiede. No, rispondo io. La gente è imbecille.

Realizzo che non è il virus a farmi paura, perché quella parte, la malattia, non l’ho ancora razionalizzata. Di fatto, noi che siamo fuori dagli ospedali non sappiamo ancora bene cosa comporta il Covid19. La immagino come una brutta febbre, come una fame d’aria che non si sazia, come un dolore alle ossa che ti costringe all’immobilità. Ma so, e le statistiche lo confermano, che si guarisce nella maggioranza dei casi. Dall’imbecillità non si guarisce mai.

Settimana scorsa nella mia città, Palermo, il gruppo Erasmus Palermo ha organizzato il ‘Coronavirus Party’, al mercato della Vucciria. Non è l’unico caso: sempre ieri sera, un’altra amica stavolta da Torino mi informa che un suo conoscente ha organizzato una festa, proprio per ‘protesta’ contro le misure per il Coronavirus. Ancora: una ‘influencer’ su Instagram sostiene che ‘Il governo vuole impedirci di abbracciarci’.

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Riscopro in me una voglia dittatoriale che pensavo non mi appartenesse. Mi ritrovo a plaudere a Roberto Speranza quando afferma che saremo ‘intolleranti’ con chi non è responsabile. Giusto, penso io. Chiudeteli a casa. O in carcere, se non vogliono capirlo.

Questo menefreghismo diffuso è frutto, me ne rendo conto, dell’ottovolante informativo sul Coronavirus. Due settimane fa, quando è scoppiato il caso a Codogno, era ‘poco più di un’influenza’. #MilanoNonSiFerma, twittava Beppe Sala. Ora Milano si è fermata eccome. E si paralizzerà ancora di più, dal Governo non fanno praticamente nulla per nasconderlo. Sta succedendo il peggio, e sta succedendo in fretta. Ma mi rendo conto che c’è uno scollamento non solo politico ma sociale e culturale tra le istituzioni e la popolazione. Io, facendo questo mestiere, il rischio lo percepisco per come è giusto. Altri continuano a pensare che questa cosa non li toccherà.

Ma ci sono in Italia, per ora, 366 morti. Sono 366 famiglie che stanno soffrendo. Per necessità di cronaca rimangono un numero: ci sarà tempo dopo per sapere chi erano, per conoscerne le storie, quando saremo costretti a ricostruire sulle macerie che questo stramaledetto virus provocherà. C’è la città che è il nostro orgoglio nel mondo, Milano, unica oasi internazionale e interculturale nello sfacelo nazionalista da paesello che è diventata l’Italia negli ultimi anni, blindata, con le persone chiuse in casa per difendersi da un nemico invisibile. Ci sono persone anziane, fragili, che sono sole, magari impaurite; ci sono infermieri e medici, magari appena specializzati, che stanno combattendo una guerra per cui non erano preparati. E gli italiani non riescono a rinunciare agli aperitivi.

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Non è un complotto contro le vostre vite. Non è un attentato alla vostra libertà. È una malattia. La gente muore. State a casa, stupidi imbecilli.

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