La storia di Alan, un nuovo contadino di Sardegna
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La storia di Alan, un nuovo contadino di Sardegna

Curare la terra per curarsi. La vocazione contadina, in Sardegnam raccontata dal giovane Alan Mimmi. [Veronica Matta]

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23 Dicembre 2016 - 17.46


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di Veronica Matta

Parlare della terra dei sardi e dei frutti che essa dà con Alan è stato importante e bello. “Sa laurera“, il lavoro dei contadini cosi come lo chiamava Giulio Angioni, nelle mani e nella bocca di Alan non è un ricordo, ma la certezza del suo possibile rinnovo in Sardegna. Si, Alan fa un lungo cammino non privo di ostacoli, prima di approdare nell’isola, mettersi nuovamente in gioco, e trovar pace, dopo aver modificato in modo positivo il proprio stile di vita. “Amo rientrare a casa con le mani sporche – adoro il profumo della terra su tutto il mio corpo – soffro quando non sono nei campi. Dall’orto arrivano le verdure – Alan taglia corto – è inutile che mi chiedano prodotti non di stagione, non sono io che comando, ma la terra“.

Piccoli gesti d’affetto verso la terra sono espressi nelle parole dell’intervistato che prova un amore quasi viscerale verso quella sarda. La Sardegna ad Alan ha preso l’anima, portandola via nelle sue radici più profonde e solide in grado di sopportare la devastazione di anni di dipendenza dall’alcool. La terra di cui Alan si prende cura ogni giorno, è oggi ciò che maggiormente lo fa esultare, gioire e soffrire. La terra è il luogo in cui Alan sente una parte di se stesso, verso la quale prova un amore che quasi risucchia. I profumi degli ortaggi, i colori delle albe, il vento, il “rumore” del silenzio nei campi, il sudore, la fatica, lo stare coi “piedi per terra” e con la “schiena piegata” tutti i giorni, è l’unica dipendenza che Alan non combatte, come cura per la propria anima.

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La riflessione è tratta dall’intervista sui “nuovi contadini” in Sardegna. L’immagine poco sopra è di proprietà di Alan ed in tal modo la scegliamo: “quella foto ha tutto, la fede della famiglia, l’ombra dell’alba, il fiore della speranza che sboccia“.

Chi è Alan Mimmi? Sei un contadino per origine o per vocazione?

Seppure nasco in una famiglia contadina, in un paesino della bassa ferrarese esclusivamente a tradizione contadina, inizialmente faccio il tornitore, il cameriere, il commesso e l’artigiano edile. Quindi diciamo che sono contadino di origine, seppure per 20 anni ho pensato che la mia vocazione fosse un’altra.

Per alcuni, il ritorno alla terra risponde sempre più all’esigenza di trovare un rimedio, una via d’uscita al lavoro precario e allo stress. Anche tu hai avuto bisogno di un progetto che potesse dare un senso alla tua vita?

Magari sono un inguaribile romantico, ma non lo definirei un progetto. Un progetto è qualcosa che ha un inizio, delle tappe intermedie e una meta; a me serviva trovare il coraggio di iniziare un viaggio. Oggi seguo un percorso che cambia giorno per giorno, dove arriverà non lo so e non mi interessa saperlo. Non servono progetti per dare senso alla vita, servono sogni e piedi per camminare.

Quando hai deciso di cambiare vita e ritornare alle origini?

Io torno alla campagna non tanto per sopperire ad un lavoro precario, fortunatamente non era l’aspetto economico a tenermi sveglio la notte… ma lo stress senza dubbio si. Il mio ritorno alla campagna è direttamente legato ad un momento della mia vita piuttosto “fuori dalle righe”. Quando la frenesia di una società che richiede beni inutili in tempi inumani mi ha portato dentro il tunnel dell’alcolismo, Comunità Ponte di Uta mi ha aperto le porte, riportandomi ai soli ritmi sostenibili ed appaganti: quelli della terra.

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Visto la precarietà lavorativa che viviamo in questo periodo, visto che il mondo non si cambia a colpi di slogan, pensi che l’assegnazione di un orto comunale ai cittadini in difficoltà (non solo economica) nel Comune di Assemini potrebbe essere utile?

Utile? Secondo me sarebbe fondamentale. Pensa a ridare ad un genitore oggi disoccupato la dignità di tornare a casa la sera dai propri figli, con le mani sporche di terra, il sorriso negli occhi di chi ha visto aprirsi il primo fiore, una cassetta con il frutto diretto del suo lavoro. Pensa altrimenti ad un anziano a cui restituisci la consapevolezza di essere ancora utile per una società che troppo spesso tende ad isolarlo e considerarlo quasi un peso. Dovrebbe essere al centro di qualsiasi amministrazione che si definisca lungimirante.

Di cosa vive oggi un contadino in Sardegna? Come si svolge la giornata di un contadino, in estate e in inverno?

Un contadino in Sardegna, oggi, vive di voglia di preservare il territorio. Niente di più. Non si diventa certo dei “signori” facendo il contadino. In Sardegna come in tutta Italia. Esci che è ancora buio così da poter essere sul campo alle prime luci del giorno e portare il buongiorno alle piante, passi la mattina fra raccolta e lavorazione della stessa, giri per campi e colture, osservi, ne assapori gli odori e interagisci con le piante. Un pranzo tanto abbondante quanto veloce e sei di nuovo in mezzo ai tuoi campi: semine, programmazione, trapianti, diserbo . semplicemente fai ciò che va fatto perché tutto vada come deve. Infine carichi la macchina che è quasi buio, vai a consegnare e finalmente rientri a casa. A volte stanco, altre stanchissimo, ma sempre con la certezza di aver fatto tutto ciò che andava fatto e, soprattutto, di aver fatto qualcosa che ami.

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Lavorare la terra non è semplice, è un lavoro in cui è importante la trasmissione di saperi da persona a persona. È difficile oggi giorno trovare agricoltori che facciano agricoltura biologica o naturale?

Iniziamo col dire che il biologico, inteso come lo intende la maggioranza dei consumatori, ovvero la totale assenza di agenti chimici e/o inquinanti, non esiste. Trovare agricoltori che seguono i disciplinari (credo si chiamino così) della coltivazione biologica, è ormai – fortunatamente – sempre più frequente, tuttavia quello che manca, secondo me, è l’idea dell’agricoltore al servizio della campagna e non viceversa. La cosa bella della natura è che sa meglio di qualsiasi agronomo quali siano i tempi giusti per portare un frutto, un fiore o un ortaggio a raccolta, invece sempre più spesso si cercano tempi e tecniche – anche all’interno dei disciplinari del biologico – per anticipare i raccolti. Questa è una di quelle cose che preferisco lasciare fare ad altri, io mi limito a fare quello che la terra mi chiede.

 

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