Caro Pier Paolo: Dacia Maraini racconta il suo Pasolini
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Caro Pier Paolo: Dacia Maraini racconta il suo Pasolini

Nel libro appena pubblicato un ritratto intimo dell'autore di Ragazzi di Vita a cento anni dalla sua nascita

Caro Pier Paolo: Dacia Maraini racconta il suo Pasolini
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18 Marzo 2022 - 17.28


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di Alessia de Antoniis

“Caro Pier Paolo” è l’ultimo libro di Dacia Maraini. Appena pubblicato da Neri Pozza, esce in occasione del centesimo anniversario della nascita dello scrittore friulano, ed è un intenso epistolario tra Dacia Maraini e l’amato amico Pier Paolo Pasolini da tempo scomparso.

Caro Pierpaolo è un libro scritto in maniera impeccabile da una grande scrittrice che ci restituisce non il Pasolini regista o scrittore, ma il Pasolini privato, umano, poeta; soprattutto quello dei viaggi in Africa, terra ancora idilliaca e rimasta ferma agli anni Sessanta nella memoria della scrittrice.

“Non volevo aprire la preziosa scatola segreta dei nostri comuni ricordi, per paura di vederli svanire, ma anche per il pudore di esporli al pubblico”. Così si rivolge una Dacia affettuosa all’amico che ormai gli appare solo in sogno da quel lontano 1975 in cui fu brutalmente assassinato.

Ed è un Pier Paolo fragile quello che la sublime penna della scrittrice tratteggia: “nel tuo rapporto con gli amici, nella tua vita privata, eri l’uomo più paziente, docile, mansueto che io abbia mai conosciuto. La tua delicatezza e la tua gentilezza d’animo mi commuovevano”.

Un Pierpaolo dicotomico. “Non ti ho mai visto pronunciare una parola rabbiosa, ma la gente aveva di te un’idea diversa. I più ti vedevano come un uomo rancoroso, rigido, feroce nelle tue indignazioni e nelle tue ire ideologiche. Era vero, ma solo quando scrivevi”.

Un Pier Paolo irrisolto, che ripeteva “Se facessi l’amore con una donna mi sembrerebbe di farlo con mia madre”.

Un Pier Paolo al quale la cara amica dei viaggi in Africa pone domande che non possono ottenere risposta: “Mi hai raccontato dei tuoi amici, i ragazzi di vita, e delle loro piccole amiche che erano capaci di accoppiarsi con quattro, cinque giovanotti in una volta. Non ti è venuto in mente che spesso i ragazzi danno per consenziente uno stupro di gruppo, che giustificano con la teoria che sono le ragazze stesse a volere?”. “Gli argomenti che i tuoi ragazzi di vita portavano per condannare la voglia di libertà delle ragazze che avevano appena rapinato sessualmente suonano oggi stonati, non credi?”

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Domande che non possono ottenere risposta, ma che potrebbero, e dovrebbero, almeno a distanza di tanti anni, con la maturità di una donna che si batte contro la violenza sulle donne, far prendere le distanze da un uomo indifendibile sul piano umano.

Un Pier Paolo misogino: “Non ti interessava soffermarti a riflettere sul destino femminile”. “Ricordo una volta, in una delle nostre traversate africane, in cui tu sostenevi che l’aborto per il maschio è un atto di liberazione. Ma incolpavi la donna che voleva abortire”. Così scrive la Maraini al caro Pier Paolo.

L’amore della Maraini per l’amico, la sua filìa, raggiunge l’apice quando, con fanciullesca estasi, scrive all’amico perduto: “Tu non avresti mai forzato un corpo infantile. Al contrario volevi che quel corpo ti desiderasse. Quello era il piacere che ti deliziava e, nello stesso tempo, ti procurava dei terribili sensi di colpa. Ma una voce ti assolveva quando ti dicevi che la tua era una dolcissima tentazione carnale, l’accensione di un piacere istintivo, naturale, mai imposto”. Ma qual è la Maraini che scrive? La giovanissima donna dei viaggi in Africa, educata nello scorso millennio, compagna di Moravia e affascinata dal carisma dei suoi compagni di viaggio, o la donna matura di oggi, scrittrice civilmente impegnata che dedica il suo tempo al dialogo con gli studenti e con i loro docenti?

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L’aver “conosciuto quel Pier Paolo di indole serena e allegra” è sufficiente a far accettare l’uomo che emerge come un fanciullo dilaniato dall’angoscia nelle pagine del libro?

“Le prime scoperte di un eros considerato da tutti riprovevole e quindi da condannare: ma si può condannare ciò che viene spontaneo e vissuto con innocente candore?” Forse, oltre a porre questa domanda in una lettera al caro Pier Paolo, la signora Maraini dovrebbe dare, e darsi, un’onesta risposta.

Nel libro, diverse le donne citate definite “forti amicizie feminili”, tutte madri sostitutive in qualche modo innamorate di lui: Piera degli Esposti, Elsa Morante, Silvana Ottieri, Laura Betti e Maria Callas.

Durante la conferenza stampa di presentazione del libro alla Casa del Cinema di Roma, la Maraini si è soffermata sull’amore della Callas, raccontando della sua grande sofferenza per quell’amore platonico e di come la cantante sperava di poterlo “guarire dalla sua omosessualità”.

Tra tutte, una grande assente, Oriana Fallaci. È appena menzionata all’interno di una citazione di Luigi Fontanella. Nelle poche righe riportate, scritte dalla Fallaci su L’Europeo, Pasolini è descritto come “piccolo, fragile, consumato dai suoi desideri, vestito come un ragazzo di un college, con le scarpe di camoscio”. La Maraini le riporta per dissentire. Salvo poi aggiungere che anche Alberto Moravia faceva notare a Pasolini la sua incoerenza: esaltava la povertà, mentre godeva degli agi della sua Alfa Romeo, indossando scarpe di camoscio, alloggiando in alberghi dotati di ogni comfort, viaggiando in aereo, attraversando l’Africa con la sua cinepresa a bordo di una Land Rover: una di “quelle macchine robuste e ben attrezzate che tu disprezzavi”. “Ogni elogio della povertà che venga da un uomo ricco, ti ribatteva Alberto, risulta sospetto”.

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Eppure nelle lettere della Maraini risuona forte l’eco delle parole scritte da Oriana Fallaci a Pasolini appena morto nel 1975, anche lei consapevole delle molteplici anime dell’amico. Tuttavia non è inclusa tra le donne ammaliate da Pasolini, nonostante nella famosa lettera scriva: “diventammo subito amici, noi amici impossibili, cioè io donna normale e tu uomo anormale. (…) E io mi sentivo quasi imbarazzata a provare quel misterioso rapporto per te”.

Un filo che lega le storie raccontate in questo epistolario, è l’atteggiamento di donne intelligenti, affermate, che si trasformano in madri putative accettando l’affetto di un uomo che mai le avrebbe amate. Quello che lascia perplessi, è il linguaggio poetico usato per idealizzare un uomo con un desiderio non sano “nato da un eccesso di amore per tua madre”: “un corpo il tuo, che andava verso altri corpi dai ginocchi scorticati, le teste ricciolute, il ventre piatto e la voglia che trovava il suo bene dentro i pantaloni stracciati”.

Caro Pier Paolo, questa si chiama pedofilia.

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