Dieci anni senza Raimondo Vianello, il comico che sapeva ridere di tutto
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Dieci anni senza Raimondo Vianello, il comico che sapeva ridere di tutto

Vianello cominciò la sua 'carriera' in un campo di prigionia vicino Pisa durante la seconda guerra mondiale e voltò le spalle alla famiglia che l'avrebbe voluto militare

Raimondo Vianello
Raimondo Vianello
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Giancarlo Governi Modifica articolo

15 Aprile 2020 - 18.00


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La prima immagine comica di Raimondo Vianello riguarda una scelta drammatica che furono costretti a fare molti giovani italiani nel 1943: rimanere fedele all’Italia che si ribella all’ex alleato tedesco, diventato invasore, oppure rispondere alla chiamata di Mussolini che, sotto la imposizione di Hitler, ha costituito al Nord una repubblica fascista.
Anche il giovane Raimondo, che aveva poco più di venti anni e un fisico (e anche uno spirito, potremmo dire con il senno di poi) tutt’alto che portato agli agoni bellici, dovette fare la sua scelta. Forse fu una scelta obbligata dal padre ammiraglio e dall’educazione che aveva dato ai suoi figli e che vedeva per Raimondo una carriera militare o diplomatica. Raimondo era cresciuto nel culto del dovere e dell’obbedienza, tanto che si era laureato in Legge.  
Insomma Raimondo vestì la divisa fascista. Fino a qui l’aspetto drammatico della scelta, ordinariamente drammatico potremmo dire, mentre l’aspetto comico sta altrove. Raimondo è un giovane molto alto, la sua altezza supera abbondantemente il metro e ottanta e si avvicina al metro e novanta, praticamente un gigante in una Italia dove l’altezza media non arriva al metro e sessanta. Ebbene, il “gigante” Raimondo viene messo nei bersaglieri, un corpo a cui vengono destinati giovani robusti e traccagnotti, con gambe corte e forti, dediti alla corsa. Gente che non sta mai ferma, che non cammina o marcia come gli altri soldati ma corre sempre, anche quando non c’è fretta. Il giovane Raimondo è tutto il contrario di quello che deve essere un bersagliere. Nel plotone sopravanza tutti di una ventina di centimetri e, quello che è più grave, corre in maniera sgraziata perdendo continuamente il passo. Viene destinato alla poco gloriosa ma più tranquilla fureria.
Alla fine della guerra finì in un campo di prigionia, vicino Pisa, gestito dagli Alleati e lì, e questo è un altro paradosso nella vita di Raimondo Vianello, forse cessò di vivere il giovane obbediente destinato dal padre ammiraglio e nacque l’attore, il comico, l’uomo che vede sempre il lato comico e ridicolo della realtà. Con Vianello nel campo di concentramento ci sono altri giovani, più o meno coetanei, che avranno un ruolo importante nello spettacolo italiano: il futuro Premio Nobel Dario Fo, Enrico Maria Salerno e quel Walter Chiari che diventerà, insieme a Ugo Tognazzi, uno dei partner comici preferiti. In quel campo c’è anche il poeta Ezra Pound, che però se ne sta defilato come si addice a una grande personalità come lui, e non si immischia con quei giovani caciaroni. Non si sa se l’influenza di quelli che diventeranno suoi colleghi d’arte abbia inciso sulla decisione solenne che prenderà il giovane Raimondo dopo la prigionia e il ritorno alla vita civile: diventare attore contraddicendo a tutti i principi che gli aveva inculcato la famiglia. Che indubbiamente la cosa non la prese affatto bene.
“La madre, la marchesa Virgilia Accorteti e il padre Giulio, ammiraglio, avrebbero voluto che il figlio seguisse la carriera militare, diplomatica o, al limite quella forense, continuando a studiare giurisprudenza e, semmai, a sferrare qualche dritto nella celebre palestra Colombo di Roma. Ma l’incontro con il teatro di rivista rappresentò per il giovane Vianello «un colpo di fulmine».«Per mio padre fu come se gli avessero affondato la flotta» e, per lenirne il dispiacere, Raimondo acconsentì di modificare il cognome in Viani.” ( Il Secolo d’Italia, 2006).
Dopo la guerra il ritorno a Roma, che aveva lasciato per seguire la famiglia in Dalmazia, la città dove è nato e dove passa alcuni decenni prima di spostare la sua residenza a Milano, dove ha passato il resto della sua vita e dove è morto.
Ma è a Roma dove prende il via la sua carriera, perché Roma è la capitale anche del cinema e del teatro. La prima occasione gliela danno Garinei e Giovannini che lo fanno debuttare nel Cantachiaro n.2, una delle prime riviste del dopoguerra, che suscitano l’entusiasmo del pubblico che vi assapora la ritrovata libertà di poter ridere di tutto, anche dei politici che per tanti anni sono stati tabù. Raimondo compare nella locandina, in mezzo agli attori di seconda categoria con il nome di Raimondo Viani, per tenere fede alla promessa fatta alla sua famiglia: vada in arte se vuole ma non portandosi dietro il glorioso cognome dei Vianello.
Incomincia quel girovagare che è proprio degli attori ma gli attori di rivista sono una categoria diversa, più portati allo scherzo, al gioco, alla vita mondana e anche allo sport. E lo sport preferito è sempre il calcio. Anche per motivi pubblicitari  si organizzano partite di calcio fra le compagnie, a cui spesso  assistono divertiti i calciatori veri, quelli più celebrati. Raimondo, grande amante dello sport, di queste partite è quasi sempre l’anima e l’organizzatore. Oltre, ovviamente, al capitano della sua squadra.
Ma in gioventù c’è un altro sport che si affaccia alla vita di Raimondo, uno sport assolutamente insospettato per una figura come la sua, dall’aplomb inglese che ne fanno un personaggio del grande scrittore umorista Wodhouse. Lo sport è (nientepopodimeno, direbbe Mario Riva) il pugilato. La cosa, sconosciuta ai più, ci fu rivelata a “Porta a Porta”, la sera della sua morte, da Massimo De Luca che giurò di aver visto con i suoi occhi il suo tesserino di iscrizione alle federazione pugilistica.
Forse Vianello avrebbe voluto fare il calciatore piuttosto che l’attore e forse l’avrebbe fatto se non fosse stato nel calcio così scarso quanto invece era bravo come attore. Ma lo sfizio, come si dice, se lo levò sempre, fino a quando il fisico gliel’ha consentito. E poiché non lo faceva giocare più nessuno lui si fece una squadra propria, che chiamò Sama con le iniziali di Sandra Mondaini, sua moglie, dove fece il presidente finanziatore, il capitano e l’allenatore. La sua sapienza calcistica la mise a frutto, professionalmente, conducendo la trasmissione sportiva di Mediaset, dove portò il suo umorismo e la sua grande capacità di sdrammatizzare un gioco che era diventato troppo serio.
Per chi tifava Vianello? Non siamo riusciti a capirlo: lui era nato a Roma ma c’era stato troppo poco negli anni giovanili quando si sceglie la squadra del cuore per cui è difficile che tifasse per le due squadre romane. Potremmo azzardare l’Inter perché quando partecipava al “derby del cuore” milanese sceglieva sempre di indossare la maglia nero azzurra. Ma anche questo non è una prova. Mi sono rivolto a Andrea Vianello, il giornalista conduttore di “Mi manda Raitre”, che con Raimondo era cugino di secondo grado. “Veramente non lo so” mi ha risposto “ma suppongo che tifasse per il Venezia.” Sì, buonanotte!
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