Jumana Shahin da Deir Al Balah: l’odissea di una famiglia (e l’epopea di un’intervista)
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Jumana Shahin da Deir Al Balah: l’odissea di una famiglia (e l’epopea di un’intervista)

Era il 3 di dicembre, quando ho dato il via ai miei tentativi di registrare un’intervista con Jumana Shahin, 28 anni, operatrice umanitaria e video maker originaria di Gaza City

Jumana Shahin da Deir Al Balah: l’odissea di una famiglia (e l’epopea di un’intervista)
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19 Dicembre 2023 - 01.09


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di Piera Radaelli

Era il 3 di dicembre, quando ho dato il via ai miei tentativi di registrare un’intervista con Jumana Shahin, 28 anni, operatrice umanitaria e video maker originaria di Gaza City, oggi rifugiata con la sua famiglia in una località non precisata, un luogo indefinito della “middle area”, l’area centrale della striscia, immediatamente a sud della città di Gaza – probabilmente Deir Al Balah.  

Dal cinque all’otto di dicembre i tentativi si sono ripetuti: Jumana si scusava di non riuscire a inviare messaggi, io anche di disturbarla, ma la connessione non c’era, non c’era se non per qualche minuto per poi interrompersi bruscamente.

La sua risposta ai miei tentativi era un angosciato            “ What should i do🤷🏻‍♀” Poi, il 10 di dicembre le ho proposto di inviarle poche domande per iscritto… Lei forse avrebbe potuto, quando riusciva, registrando o scrivendo, inviarmi brevi risposte. Ma, dopo aver inviato la mia proposta il black out è stato totale fino a ieri sera, quando, tutto di un botto una serie di messaggi si è riversata sul mio WA:

“Mi spiace tanto di essere in ritardo… Mi pareva che alcuni dei miei messaggi ti fossero arrivati… Mi presento: Ho 28 anni e sono la madre di una bambina di 2 anni, Sophia. Sono un’attivista e lavoro come assistente alla coordinatrice dei progetti di una ONG internazionale. Vivo in Palestina, a Gaza e, precisamente, fino a qualche settimana fa, a Gaza City con mio marito e la mia bambina. Il terzo giorno dall’inizio della aggressione israeliana, quando l’esercito ha iniziato a minacciare il nostro quartiere imponendo alla popolazione di andarsene, ho lasciato la mia casa per rifugiarmi in uno shelter vicino. Lo abbiamo però dovuto abbandonare dopo pochi giorni, per fuggire verso i quartieri est della città, dove, di nuovo, ci hanno raggiunto le minacce dell’esercito israeliano. Ce ne siamo andati anche da lì per rifugiarci nella casa di nostri parenti… Col passare dei giorni il numero delle persone nella casa è cresciuto a dismisura: è quanto succede in tutti gli appartamenti dove la gente si rifugia… 50 persone in un luogo che comunque non è sicuro: impossibile rimanere. 

Siamo ripiegati su un asilo infantile dove siamo rimasti qualche settimana fino a quando l’esercito israeliano è arrivato nei dintorni, coi suoi carri armati e franchi tiratori,  minacciando da vicino la nostra incolumità: era l’inizio della occupazione della città di Deir Al Balah…Siamo fuggiti anche dall’asilo, quindi: mio marito, io, la mia figlia e tutta la famiglia di mio marito… Non possiamo muoverci separatamente di questi tempi, ci spostiamo insieme, perché è la vita di noi tutti che è in pericolo. Abbiamo vissuto per giorni in strada, senza avere un posto dove rifugiarci, sentendoci umiliati fino al fondo del nostro essere…

Poi per due giorni ci ha ospitato una famiglia che non conoscevamo, fino a quando abbiamo trovato un appartamento, danneggiato da una bomba che era caduta lì vicino, molto danneggiato: abbiamo passato tre giorni a pulire le macerie, a chiudere le finestre con pezzi di plastica, trasportando i materassi, le uniche cose che ancora abbiamo per dormire, da una stanza all’altra..

Dopo questo durissimo periodo, oggi, ci troviamo nell’area centrale della Striscia, in un posto che non è sicuro, in un’area che non conosco, dove non so nulla della gente che mi circonda… Ci aspettiamo molte prossime evacuazioni forzate, perché, in realtà, non esiste un posto sicuro in tutta la Striscia di Gaza…

Ripenso ogni giorno alla mia vita, prima di queste settimane, una vita di cui sento tanto la mancanza: mia figlia che mi chiamava la mattina, per svegliarmi e chiedermi di prepararle una tazza di latte… Lavoravo e seguivo due corsi: uno di giornalismo in inglese, e l’altro sulla democrazia e i diritti umani… non li avevo ancora finiti. Sono un’atleta, gioco a baseball e sono responsabile per le relazioni internazionali della Federazione Palestinese di Baseball  e Softball. Cerco di continuare il mio lavoro, sia nel campo sociale che in quello dell’informazione… Cerco di continuare a raccontare la situazione in cui ci troviamo: a volte però mi sento estremamente frustrata e cado in preda all’ansia…

La mia vita di ogni giorno è fatta oggi solo di distruzione e morte: ho perso due zie e due cugini, uno dei quali ucciso con i suoi due bambini… Qui, dove mi trovo, un edificio vicino al nostro è stato bombardato: più di 50 morti. Un altro, anche questo molto vicino, è crollato sulla testa dei suoi abitanti. Tutta la famiglia, 26 persone, sono rimaste uccise. Non so nulla del quartiere dove abitavo a Gaza City: non mi è permesso di tornarci.

Mi chiedi se manca il cibo, qui come al sud di Gaza?

…Piera, there is noooo food 

Literally , i was searching today

We didn’t find anything, anything…

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