A Gaza la fine della tregua è una condanna a morte per i bambini
Top

A Gaza la fine della tregua è una condanna a morte per i bambini

A denunciarlo è chi ha fatto della difesa dei più indifesi la propria ragione di esistere: Save the Children. 

A Gaza la fine della tregua è una condanna a morte per i bambini
Bambini di Gaza feriti nei raid israeliani
Preroll

globalist Modifica articolo

3 Dicembre 2023 - 19.28


ATF

Gaza, la rottura della tregua è una condanna a morte per i bambini.

A denunciarlo è chi ha fatto della difesa dei più indifesi la propria ragione di esistere: Save the Children. 

Condanna a morte

Da un report di StC: “Da quando il 7 ottobre 2023 la drammatica escalation di violenza è esplosa tra i gruppi armati palestinesi e le forze israeliane in Israele e a Gaza, la situazione nella regione è quanto mai allarmante. La vita e il benessere dei bambini e delle loro famiglie sono profondamente a rischio. Le vittime civili sono migliaia, tra questi tantissimi bambini. Sale a quasi 8.000 bambini il bilancio pesantissimo dei minori morti o dispersi a Gaza dall’escalation.

Le notizie di bambini palestinesi uccisi e feriti negli attacchi aerei e di bambini israeliani rapiti e tenuti in ostaggio rafforzano i timori di danni psicologici senza precedenti.

La mancata estensione della tregua rappresenta una condanna a morte per i bambini di Gaza, che sono già stati feriti dopo il ritorno ai combattimenti. Nelle ore successive alla rottura della tregua di questa mattina, il Ministero della Sanità di Gaza ha riferito che almeno 32 persone sono morte e decine di persone ferite, tra cui alcuni bambini. Queste vite innocenti spezzate sono una macchia sulla nostra coscienza collettiva, e non possiamo restare a guardare e lasciare che queste violenze aumentino ulteriormente.

Le conseguenze della rottura della tregua di questa mattina ricadono su tutti i bambini di Gaza, Israele e Cisgiordania. Ancora una volta, i minori di Gaza si sono svegliati al suono degli attacchi aerei. Ancora una volta rischiano di essere uccisi dalle bombe, dalla fame, dalle malattie o dalla disidratazione.

Dopo due proroghe della pausa che hanno portato al rilascio di 110 ostaggi da Gaza e di 240 palestinesi detenuti nelle carceri israeliane, secondo le Nazioni Unite, le parti in conflitto non sono riuscite a prolungare la tregua. Ma abbiamo bisogno di un cessate il fuoco definitivo, poiché è l’unico modo per tenere i bambini al sicuro e creare condizioni che ci consentano di fornire assistenza urgente con tempi e modi adeguati a salvare vite umane. 

Nonostante l’aumento di alcuni aiuti in entrata a Gaza durante la tregua durata una settimana, sono rimaste restrizioni e ritardi nella consegna, e l’Onu ha affermato che il volume dei beni di prima necessità in arrivo è stato insufficiente a soddisfare le ampie esigenze di 1,8 milioni di persone sfollate dalle loro case.

La quantità di aiuti umanitari che potevano passare il confine ogni giorno era limitato dalla mancanza di carburante e veicoli, dai danni alle infrastrutture e dai controlli al confine. Due dei tre valichi di Gaza, Erez e Kerem Shalom, controllati dalle autorità israeliane, sono rimasti sempre chiusi agli aiuti.

“56 giorni di intensa violenza e distruzione hanno prodotto una delle peggiori crisi umanitarie mai viste nella regione e questa pausa di sette giorni non ci ha permesso di portare a Gaza gli aiuti e il personale necessari per fornire assistenza salvavita a 1,1 milioni di minori e alle loro famiglie.” dichiara Jason Lee, direttore di Save the Children nei Territori palestinesi occupati.

L’allarme dell’Unicef

Cosi la Direttrice generale dell’Unicef Catherine Russell: “La Striscia di Gaza è di nuovo il luogo più pericoloso al mondo per essere un bambino. Dopo sette giorni di tregua da una violenza orribile, i combattimenti sono ripresi. Altri bambini sicuramente moriranno come conseguenza.
Prima della pausa, secondo le notizie, più di 5.300 bambini palestinesi sono stati uccisi in 48 giorni di bombardamenti incessanti – un dato che non include molti bambini ancora dispersi e presumibilmente sepolti sotto le macerie.


Se la violenza dovesse tornare su questa scala e intensità, possiamo presumere che altre centinaia di bambini saranno uccisi e feriti ogni giorno. E se non saremo in grado di far arrivare acqua, cibo, forniture mediche, coperte e vestiti caldi a chi ne ha bisogno, ci troveremo di fronte a una catastrofe umanitaria.
Per sette giorni c’è stato un barlume di speranza per i bambini in mezzo a questo orribile incubo.
Più di 30 bambini tenuti in ostaggio a Gaza sono stati liberati e riuniti alle loro famiglie. La pausa umanitaria ha permesso di aumentare le consegne di aiuti di prima necessità a Gaza e in tutta la regione. L’Unicef e i suoi partner hanno potuto incrementare in modo significativo le operazioni e i programmi. E abbiamo potuto iniziare a riunire i bambini separati con le loro famiglie.


Ciò non è stato sufficiente per soddisfare l’entità dei bisogni umanitari, ma è stato un inizio. Ora abbiamo bisogno di un accesso più sicuro e prevedibile per raggiungere i bambini feriti, sfollati e traumatizzati. E dobbiamo far arrivare gli aiuti ai bambini che sono vulnerabili al clima freddo e umido che è arrivato.
I bambini hanno bisogno di un cessate il fuoco umanitario duraturo.
Chiediamo a tutte le parti di garantire che i bambini siano protetti e assistiti, in conformità con gli obblighi previsti dal diritto internazionale umanitario. Tutti i bambini dello Stato di Palestina e di Israele meritano la pace e la speranza di un futuro migliore”.

Una tragedia umanitaria

Rimarca Paolo Pezzati, portavoce per le crisi umanitarie di Oxfam Italia: “Sebbene Oxfam accolga con favore il rilascio degli ostaggi israeliani e stranieri che si sono ricongiunti alle proprie famiglie durante la pausa, in cambio della liberazione dei detenuti palestinesi, in questo momento di fatto la popolazione di Gaza è tenuta in ostaggio in una prigione a cielo aperto. La pausa umanitaria ha portato una breve tregua dagli attacchi aerei, dai bombardamenti e dal terrore, ma era chiaro dall’inizio che non sarebbe mai stata sufficiente per garantire l’ingresso degli aiuti necessari ad una popolazione che ha perso tutto ed è ancora in gran parte senza cibo, acqua e servizi essenziali. Con la ripresa del conflitto il futuro e la vita di 2 milioni di palestinesi viene messa di nuovo a rischio, così come quello dei civili israeliani”.

Durante la pausa è stato registrato l’ingresso di oltre 1.000 camion di aiuti a Gaza, ma si tratta di meno di un terzo di quanti ne entravano prima dell’inizio dell’assedio totale quando era consentito l’ingresso di merci.  

“Negli ultimi giorni la distribuzione degli aiuti alimentari, di coperte, di forniture di acqua potabile e carburante per cucinare ha raggiunto solo una piccola parte della popolazione. Al momento, 1,8 milioni di persone ossia l’80% della popolazione è sfollata e allo stremo. – aggiunge Pezzati -Gaza è un inferno in questo momento e la speranza di arrivare ad un cessate il fuoco duraturo si sta allontanando. A questo si aggiunge lo spettro di un ulteriore trasferimento forzato di massa degli sfollati da Khan Younis, che aggraverebbe notevolmente la catastrofe umanitaria in corso”.

Oxfam guarda inoltre con preoccupazione ai piani di creazione di “zone sicure” nel sud di Gaza per la consegna degli aiuti, perché logisticamente ingestibili e contrari all’obbligo di Israele di consentire il libero accesso agli aiuti umanitari in quanto Paese occupante. Tanto più alla luce degli attacchi a sud già da questa mattina, che minano la sicurezza di zone che rimangono estremamente pericolose. Tali zone non garantiscono infatti alcuna protezione dei civili, quando vengono dichiarate unilateralmente o fatte rispettare dalla presenza di forze armate. 

“In questo contesto rilanciamo un appello urgente alla comunità internazionale e all’Italia perché mettano in campo tutti gli sforzi diplomatici per arrivare a un cessate il fuoco duraturo, garantire l’accesso agli aiuti umanitari attraverso Israele e l’Egitto a tutti coloro che ne hanno bisogno e assicurare il rilascio degli ostaggi rimasti”,conclude Pezzati.

Infanzia negata

Scrive Dario Facchini per Altreconomia: “Tra il 7 ottobre e la fine del 2023 nasceranno a Gaza circa 15mila bambini, “tutti ad alto rischio, a causa dell’escalation di violenza, senza un’adeguata assistenza medica nonché con una grave carenza di acqua e cibo”. L’ha denunciato a metà novembre Save the Children, sulla base dei dati delle Nazioni Unite, per i quali ogni giorno a Gaza partoriscono circa 180 donne, e che prendono in considerazione anche i tassi di parto multiplo nei Territori palestinesi occupati. “Il 15% delle donne che partoriscono rischia di avere complicazioni legate alla gravidanza o al parto”. 

Nella Striscia quest’anno saranno nati più di 66mila bambini e 5.500 donne partoriranno a dicembre, “in un momento in cui la popolazione è tagliata fuori dai rifornimenti essenziali”. Mancano l’acqua pulita, il cibo, le medicine. “Le donne incinte o che allattano faticano a trovare cibo”. I bombardamenti israeliani hanno distrutto la gran parte dei 36 ospedali dell’area. I racconti sono terribili e fa male leggerli nel 75esimo anniversario della proclamazione della Dichiarazione universale dei diritti umani, approvata dall’Assemblea generale delle Nazioni Unite il 10 dicembre del 1948. Maha, parte del personale di Save the Children a Gaza, nel tempo sfollata a Sud ma che aveva trovato rifugio davanti all’ospedale di Al Shifa, ha raccontato quel che ha visto quando il carburante stava finendo: “Le scene negli ospedali erano orribili. Donne incinte nei corridoi che urlavano di dolore. Neonati non identificati nelle incubatrici, senza alcun familiare in vita. Il carburante è finito, sono dovuta scappare, non so se sono sopravvissuti”. 

È una guerra contro i bambini che tocca troppe poche coscienze. Dall’11 novembre, dopo il collasso dei servizi e delle comunicazioni negli ospedali del Nord, il ministero della Sanità di Gaza non ha più aggiornato le cifre delle vittime (gli aggiornamenti sono ripartiti dopo giorni, ndr). Il bilancio riportato alle 14 del 10 novembre (l’ultimo aggiornamento fornito quando Altreconomia di dicembre è andata in stampa) era di 11.078 persone, di cui 4.506 bambini e 3.027 donne. Quattromilacinquecentosei: cioè più di tutti i bambini uccisi in conflitti armati a livello globale in più di 20 Paesi nel corso di un intero anno, negli ultimi tre anni. Altre 2.700 persone, tra cui circa 1.500 bambini, risultavano disperse, probabilmente intrappolate o morte sotto le macerie, in attesa di essere salvate o recuperate. E almeno 27.490 palestinesi sarebbero rimasti feriti. A fine novembre siamo arrivati a oltre 15mila morti di cui 6.150 bambini e 4.000 donne.

Poco più in là la Cisgiordania paga il prezzo dei fari puntati altrove: il 19 novembre le forze israeliane hanno ammazzato un uomo con disabilità durante un’operazione nel campo profughi di Jenin. Si è arrivati così a quota 200 palestinesi uccisi dalle forze israeliane nella West Bank, compresa Gerusalemme Est, dal 7 ottobre, tra cui 52 bambini. Con le ambulanze che non possono muoversi liberamente. 

Uno osserva questo sfacelo, questa ipoteca generazionale, tutto questo dolore, e pensa ai “Considerato” del preambolo della Dichiarazione del 1948. “È indispensabile che i diritti umani siano protetti da norme giuridiche, se si vuole evitare che l’uomo sia costretto a ricorrere, come ultima istanza, alla ribellione contro la tirannia e l’oppressione”. Oppure: “Il disconoscimento e il disprezzo dei diritti umani hanno portato ad atti di barbarie che offendono la coscienza dell’umanità”. E ancora: “L’avvento di un mondo in cui gli esseri umani godano della libertà di parola e di credo e della libertà dal timore e dal bisogno è stato proclamato come la più alta aspirazione dell’uomo”. Quanto ancora vogliamo scavare? “.

Save the Children Unicef, Oxfam, Medici senza Frontiere Unhcr, Oms, Unrwa, Amnesty International… Potremmo proseguire a lungo nell’elencare le Ong, le agenzie Onu che denunciano la mattanza di bambini a Gaza e che invocano il cessate il fuoco. Inascoltati. Perché c’è chi considera i bimbi ostaggi da esibire, merce di scambio, ovvero “effetti collaterali” di una guerra di difesa. Ma la loro morte è molto di più che un crimine di guerra. E’ un crimine contro l’umanità. Un’umanità che muore a Gaza. Sotto gli occhi di un mondo inerme. E dunque complice. Nessuno può dire non sapevo. Non c’è scusa che tenga. 

Native

Articoli correlati