Libia: gli Usa sfiduciano Dabaiba, il "signor nessuno" sponsorizzato dall'Italia meloniana
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Libia: gli Usa sfiduciano Dabaiba, il "signor nessuno" sponsorizzato dall'Italia meloniana

Dabaiba “sfiduciato” dagli Usa è lo stesso che il governo italiano ha “esibito” alla recente Conferenza di Roma sulle migrazioni, attribuendo a questa presenza, esaltata dal coro della stampa mainstream, come la prova provata della centralità dell’Italia

Libia: gli Usa sfiduciano Dabaiba, il "signor nessuno" sponsorizzato dall'Italia meloniana
Abdel Hamid al-Dabaiba.e Giorgia Meloni
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Umberto De Giovannangeli Modifica articolo

23 Agosto 2023 - 18.51


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Come spesso gli capita, Sergio Scandura, inviato di Radio Radicale, che di Libia ne sa una più del diavolo, con un tweet sbraca le velleità di premiership della nostra presidente del Consiglio nel Mediterraneo, a cominciare dalla Libia. 

Occhio alla Libia, avverte il nostro . Il perché è presto detto. “Usa “aperti alla creazione di un governo tecnocratico con l’unico compito di assicurare elezioni libere ed eque”. Dagli Usa, si chiede Scandura, una “mozione di sfiducia per Dabaiba a Tripoli? Sempre ieri a Bengasi, l’arrivo del vice ministro della Difesa russo Yunus-Bek Yevkurov,”.

Orbene, il Dabaiba “sfiduciato” è lo stesso che il governo italiano ha “esibito” alla recente Conferenza di Roma sulle migrazioni, attribuendo a questa presenza, esaltata dal coro della stampa mainstream, come la prova provata della centralità dell’Italia meloniana nel complicato quadrante libico. Presenza, ma su questa la succitata stampa da neo Istituto Luce di fascistica memoria, che ha fatto sì che la Conferenza fosse disertata dall’uomo forte della Cirenaica, il generale Khalifa Haftar, che pure la presidente Meloni aveva ricevuto poche settimane prima a Palazzo Chigi, con tanto di comunicato di stima e di condivisione. 

Partita a due 

Da un report di Rai News: “Una delegazione di ufficiali  russi guidata da un vice ministro della Difesa è arrivata in Libiasu invito del maresciallo Khalifa Haftar.

“Durante la visita si discuterà delle prospettive di cooperazione nella lotta al terrorismo internazionale e di altre questioni di azione congiunta”, ha detto su Telegram il ministero della Difesa russo. La delegazione è guidata dal viceministro Yunus-Bek Yevkurov, ex leader della repubblica russa di Inguscezia, a maggioranza musulmana, che era stato brevemente arrestato dai combattenti di Wagner nel quartier generale militare di Rostov sul Don (sud) durante la loro ribellione in Giugno.    

Khalifa Haftar, che si oppone al governo libico con sede a Tripoli, ha utilizzato combattenti del gruppo paramilitare russo Wagner durante il suo fallito tentativo di impadronirsi della capitale libica nel 2019-2020. Secondo gli esperti, alcune centinaia di combattenti Wagner sono ancora nel Paese per garantire la sicurezza delle basi militari e delle infrastrutture petrolifere”. 

Caos armato

“Il Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite esprimerà “profonda preoccupazione per i recenti scontri armati a Tripoli, che hanno mostrato la fragilità della situazione della sicurezza in Libia”. E’ quanto si legge in una bozza di comunicato stampa dell’organismo del Palazzo di Vetro visto da “Agenzia Nova”. I membri del Consiglio si rammaricano “per la perdita di vite umane e feriti, anche tra i civili, ed esorta tutte le parti a evitare la violenza e l’incitamento alla violenza, a garantire la protezione dei civili e a preservare i progressi in termini di sicurezza ottenuti negli ultimi anni”, si legge ancora nella bozza, che sollecita a compiere “progressi sul piano politico e di sicurezza”. Inoltre, il testo invita le parti libiche a “raddoppiare gli sforzi per finalizzare un accordo politico che permetta di tenere elezioni parlamentari e presidenziali libere, giuste trasparenti e inclusive in tutto il territorio della Libia il prima possibile”. La scorsa settimana, il comandante della Brigata 444, il colonnello Mahmoud Hamza, è stato fermato dalle forze speciali di deterrenza Rada all’aeroporto internazionale di Mitiga, a Tripoli, provocando scontri armati tra fazioni rivali, costati la vista a 55 persone. In seguito a una mediazione, la forza Rada che aveva fermato Hamza lo ha consegnato all’Agenzia per il sostegno alla stabilità, considerata neutrale. Il rilascio è avvenuto dopo una serie di incontri tra notabili di Souk al Juma’a, la zona da cui provengono tutte le parti in conflitto, nonché rappresentanti del capo di Stato maggiore e del Governo di unità nazionale (Gun). L’incontro si è svolto presso la sede dell’Agenzia per il sostegno alla stabilità e ha visto la partecipazione di molti comandanti delle milizie armate della regione occidentale, compresi i leader della città di Misurata.

Dal febbraio 2022, l’ex Jamahiriya di Muammar Gheddafi è sostanzialmente divisa in due coalizioni politiche e militari rivali: da una parte il Governo di unità nazionale con sede a Tripoli del premier Abdulhamid Dabaiba, riconosciuto dalla Comunità internazionale e appoggiato soprattutto dalla Turchia; dall’altra il Governo di stabilità nazionale, di fatto un esecutivo parallelo basato in Cirenaica, ormai ridotto a una scatola vuota priva di funzioni, dal momento che a comandare nell’est è il generale Khalifa Haftar. Per uscire dallo stallo politico, l’inviato dell’Onu ha lanciato, il 27 febbraio 2023, un piano per redigere gli emendamenti costituzionali e le leggi elettorali necessarie per tenere elezioni “libere, inclusive e trasparenti” entro il 2023. Tuttavia, il termine ultimo proposto da Bathily per preparare la tabella di marcia è scaduto il 15 giugno e lo stesso inviato ha detto che lo “status quo” non è più tollerabile.

Martedì 25 luglio, la Camera dei rappresentanti eletta nel 2014 ha approvato a Bengasi, capoluogo della Cirenaica, una roadmap per l’insediamento di un ipotetico nuovo mini-governo, incaricato di traghettare la Libia alle elezioni. Le Nazioni Unite e le capitali occidentali hanno però accolto con estrema freddezza la decisione, al contrario invece dell’Egitto, alimentando i dubbi sull’eventuale riconoscimento internazionale del nuovo esecutivo di transizione, qualora quest’ultimo dovesse essere effettivamente nominato. Ora come ora in Libia vige una stabilità parziale, basata su un implicito accordo tra due potenti famiglie – i Dabaiba e gli Haftar al potere rispettivamente a Tripoli (ovest) e a Bengasi (est) – con un crescente ruolo dei “verdi” (vale a dire gli ex gheddafiani) nei gangli dello Stato profondo”.

Non tocchiamo palla

Annota sagacemente Alberto Negri su Il Manifesto: “Altro che piano Mattei per l’Africa. L’Italia sta naufragando in Libia per la terza volta in poco più di un decennio. La prima fu quando nel 2011 venne abbattuto – con Francia, Gran Bretagna, Usa, Nato e la nostra attiva partecipazione militare – il regime di Gheddafi che solo mesi prima accoglievamo a Roma come un trionfatore.

La seconda avvenne nel 2019: il governo di Sarraj, insediato proprio con l’aiuto italiano – sempre interessato al controllo dei migranti – , fu abbandonato al suo destino già incerto, pur essendo riconosciuto dall’Onu, contro l’avanzata del generale di Bengasi Khalifa Haftar, alleato di Mosca, dell’Egitto, degli Emirati e corteggiato anche da Parigi. Sarraj fu “salvato” dall’intervento militare della Turchia di Erdogan.

La terza volta sta succedendo in questi giorni in maniera forse meno eclatante ma sicuramente alquanto ignorata: a cavallo di ferragosto due potenti fazioni di Tripoli si sono affrontate con circa una sessantina di morti. Una lotta intestina, con la partecipazione importante dei salafiti, che fa apparire assai fragile il governo di Daibaba con cui Meloni e company stringono accordi labili che contrabbandano agli italiani come pietre miliari dell’agire del governo. La realtà è ben diversa. Pur essendo l’Italia presente sul territorio libico con la sua intelligence, ben poco può fare – soprattutto da sola – con gli attori protagonisti della vicenda. In primo luogo la Turchia che in Tripolitania vuole dare ulteriore consistenza ai suoi disegni di potenza neo-ottomana e mediterranea e si propone persino di dare vita a un esercito libico unificato. I suoi piani si scontrano – ma in qualche caso anche si incontrano – con quelli della Russia, che oltre alla presenza della Wagner in Cirenaica, è disposta a negoziare con Ankara e con il Cairo.

Putin si prepara a incontrare Erdogan per la questione Ucraina e del grano mentre lo stesso reiss turco sta lavorando da mesi a un meeting con il generale-presidente egiziano Al Sisi. I due sono stati divisi dagli sviluppi delle primavere arabe del 2011 quando nel 2013 Al Sisi con il suo colpo di stato fece fuori sanguinosamente i Fratelli Musulmani sostenuti dalla Turchia. In questo quadro libico politico- diplomatico che vede anche la riunione dei Paesi Brics – sempre più lanciati a sganciarsi da quella che considerano come egemonia occidentale e del dollaro – l’Italia e l’Europa non toccano palla. E come loro gli Usa e l’Onu.  Visto che proprio ieri il capo del Consiglio presidenziale, Mohammed Menfi, il presidente della Camera dei rappresentanti, Aqila Saleh, e il generale dell’Est Khalifa Haftar hanno annunciato che non parteciperanno a nessun comitato legato alla situazione politica, ad eccezione di quelli aderenti al quadro nazionale interno; un chiaro rifiuto di partecipare a un dialogo che potrebbe essere proposto dalla Missione di sostegno delle Nazioni Unite in Libia (Unsmil). Sono circa due anni che l’Onu e gli europei tentato invano di fare andare i libici alle urne.

Insomma uno schiaffo al Palazzo di Vetro e alla comunità internazionale “occidentale” che vengono giudicati sia a Ovest in Tripolitania che a Est in Cirenaica come degli intrusi. Cosa significa tutto questo? Non che la Russia, la Turchia o l’Egitto abbiano in Africa tutto questo successo. Anche loro devono avere a che fare con i sommovimenti di un continente dove sono in atto guerre, come in Sudan, rivolte jihadiste (Mali, Burkina), golpe e crisi economiche spaventose, dalla Tunisia al Sahel. Significa però che qui degli interventi occidentali non ne vogliono più sapere…”.

Ma c’è chi non vuol intendere

E’ il titolare della Farnesina. “Il comunicato finale del Vertice di Vilnius riconosce che le sfide alla sicurezza che provengono dal vicinato sud della Nato (dal Medio Oriente, dal Nord Africa e dal Sahel) sono strettamente interconnesse”. Così il ministro degli Esteri Antonio Tajani in un’intervista a ilSussidiario.net, sottolineando che “la stabilizzazione della Libia è una priorità per la politica estera italiana”. 

“Intendiamo mantenere alta l’attenzione internazionale sul Mediterraneo allargato e sull’Africa e proprio l’Africa sarà uno dei temi che metteremo al centro della Presidenza italiana del G7 nel 2024” dice Tajani. “La frammentazione del Paese ci preoccupa perché mette a rischio la sicurezza del nostro confine sud. L’accordo politico per arrivare alle elezioni in Libia deve essere raggiunto tramite un dialogo inclusivo, dal momento che solo in questo modo sarà possibile metterlo in pratica e assicurarsi che le istituzioni libiche abbiano la forza e la legittimità necessarie per assicurare la stabilizzazione sostenibile del Paese”.

La stabilizzazione della Libia è una priorità per la politica estera italiana. Sarà pure così. Soltanto che in Libia non se ne è accorto nessuno. Soprattutto i “signor nessuno”, quelli che l’Italia, invero non da oggi, si è scelta come i suoi “cavalli”. Ieri Sarraj, oggi Dabaiba, Altro che “cavalli di razza”. Sono dei “ronzini” della politica. Nessuno di quelli che contano davvero in Libia – Russia, Emirati Arabi Uniti, Turchia, Egitto e in seconda battuta Usa, in risalita, e Francia, in discesa – ci hanno puntato una fiche. Solo l’Italia l’ha fatto. Con i risultati che sappiamo.  

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