Lascia morire i migranti nel deserto, ma l'Europa plaude Kais Saied
Top

Lascia morire i migranti nel deserto, ma l'Europa plaude Kais Saied

Abbraccia la bimba, sua figlia. Un ultimo gesto di protezione, forse per ripararla dal sole a picco, dal caldo o per consolarla. Hanno fame e sete, non hanno nulla.

Lascia morire i migranti nel deserto, ma l'Europa plaude Kais Saied
Madre e figlia morte di sete nel deserto tra Libia e Tunisia
Preroll

Umberto De Giovannangeli Modifica articolo

22 Luglio 2023 - 14.51


ATF

La foto che racconta una tragica realtà. E la foto opportunity che aprirà domani la Conferenza di Roma, con i partecipanti, compresi gli autocrati africani che di quella tragica realtà sono corresponsabili, sorridenti, compiaciuti, fieri di sé. In quelle due foto c’è un mondo di differenza.  Foto che servirà per magnificare un meeting fortemente voluto dalla presidente del governo più a destra nella storia d’Italia. La presidente Meloni, colei che ha magnificato l’accordo raggiunto con l’autocrate razzista di Tunisi: Kais Saied. La stessa che aveva accolto in pompa magna a Palazzo Chigi un noto criminale di guerra, peraltro amico di Putin e di quelli della Wagner: il generale libico Khalifa Haftar. 

La foto che accusa

Abbraccia la bimba, sua figlia. Un ultimo gesto di protezione, forse per ripararla dal sole a picco, dal caldo o per consolarla. Hanno fame e sete, non hanno nulla. La foto riflette e testimonia l’orrore delle violenze e delle deportazioni che stanno subendo i migranti subsahariani, gli africani con la pelle nera, in Tunisia. Rintracciati per strada, caricati sui pullman e abbandonati nel deserto al confine con la Libia. Qui, senza acqua ne cibo, sono in pochi a sopravvivere e a essere messi in salvo da chi li trova, sfiniti. a foto scattata da Ahmad Khalifa, giornalista libico che lavora per al Jazeera, e ripresa da molte Ong e media arabi, descrive più delle parole il dramma dei migranti subsahariani che provano a varcare il confine tra Libia e Tunisia e vengono respinti dalla polizia tunisina. I due corpi sono stati segnalati alla polizia da un altro migrante fermato durante un controllo nel deserto.

In vista della imminente Conferenza Internazionale Mena e Migrazioni di domenica prossima, 23 luglio, che riunirà le delegazioni diplomatiche di diversi Paesi della sponda sud del Mediterraneo, 27 organizzazioni della società civile scrivono alla premier Giorgia Meloni per esprimere preoccupazione e chiedere di considerare le implicazioni di partenariati strategici per la gestione dei flussi migratori “con governi autoritari e non trasparenti, tra cui Egitto e Tunisia, e con la Libia, teatro di crimini contro l’umanità”.

Statene certi: l’appello sarà lasciato cadere nel vuoto.

Quei due corpi senza vita e il memorandum della vergogna

Un editoriale da condividere. Quello di Today: “Ci sono foto che non vorremmo mai vedere, ma che sono in grado, in un singolo fotogramma, di fare la storia. È accaduto per quella del piccolo Alan Kurdi, il bimbo siriano di tre anni ritrovato senza vita su una spiaggia della Turchia. Una foto che fece il giro del mondo e ci aprì gli occhi per sempre sugli orrori della rotta balcanica. Ora un’altra immagine rischia di entrare purtroppo nella storia e diventare il simbolo di tutte le tragedie invisibili che avvengono nel deserto tra Libia e Siria. 

L’ha pubblicata su Twitter, quasi 24 ore fa, un giornalista libico. Mostra una donna e una bambina, probabilmente madre e figlia, stese per terra. Le due sono state probabilmente abbandonate  nel deserto al confine tra Libia e Tunisia. Sono vicine e sembrano prive di vita. Non c’è modo di verificare con esattezza la veridicità di questa foto, né il loro stato di salute: ma è sintomatico che trovi diffusione ad appena tre giorni dalla firma del memorandum tra Ue e Tunisi.

L’accordo include un pacchetto di finanziamenti fino a un miliardo di euro, di cui 105 milioni sono destinati alla “gestione delle frontiere”: non viene istituita nessuna zona Sar (acronimo di Search and Rescue) di intervento, ma il paese nordafricano si dovrebbe impegnare: nella ricerca e nel salvataggio in mare dei migranti, nella lotta al traffico di esseri umani e nei rimpatri.

Le cose sembrano però stare diversamente e in molti pensano che questo accordo si trasformi presto in una sorta di esternalizzazione delle frontiere europee come già avvenuto per Libia e Turchia. Ovviamente sulla pelle dei migranti. A supporto di questa tesi è un dato di fatto che le guardie di frontiera libiche abbiano salvato nei giorni scorsi decine di migranti   respinti dalle autorità di Tunisi nel deserto al confine con la Libia. E che molti migranti siano stati di fatto abbandonati nel deserto, come anche il video sotto sembra suggerire. 

Quel che è certo è che il flusso migratorio dal Nord Africa, e le tragedie connesse, resta un tema molto scottante anche per il governo che ha annunciato per il 23 luglio una conferenza a Roma sul tema”. 

Testimonianze dall’inferno

Ne scrive Alessia Candito per Repubblica:”Una donna muore di sete nel deserto con il suo sogno irrealizzato di una vita migliore per sua figlia. Una bambina muore con un sogno mai nato – denuncia RefugeesinLibya – La politica europea uccide. Le autorità tunisine fanno soldi sui neri africani”. Quella donna e la sua bambina non sono le uniche vittime.

Da settimane centinaia, se non migliaia di migranti subsahariani sono intrappolati nell’area desertica fra la Tunisia e la Libia, come al confine con l’Algeria, dove sono stati deportati dalla Garde Nationale. Senza né acqua, né cibo, né assistenza, da giorni chiedono aiuto.
 “Mi chiamo Joy – si sente in un audio arrivato dalla frontiera –  sono una delle migranti intrappolate alla frontiera fra Tunisia e Libia. Siamo qui da undici giorni”. Parla piano, in un inglese elementare. La voce è provata e insiste più e più volte, “aiutateci, per favore, non ci abbandonate qui”. Dietro, il brusio di un formicaio di gente, bambini che piangono, qualcuno che sommessamente si lamenta.

Non sa dire dove sia Joy, attorno – racconta – c’è solo terra arsa, qualche albero sotto cui lei e altri cercano riparo, e in lontananza le guardie schierate. Da una parte i tunisini, dall’altra i libici. In mezzo, ci sono loro. In trappola.
Sono centosessanta o più, sono originari di Sudan, Nigeria, Sierra Leone, Mali, Gambia, ma “noi vivevamo in Tunisia da un sacco di tempo”, dicono due ragazzi arrestati per strada e deportati. E sono esausti. Almeno in due del loro gruppo, racconta un uomo, hanno già perso la vita. “Ogni volta che tentiamo di rientrare in Tunisia, loro ci bloccano. Ci dicono che fin quando dal governo non arrivano indicazioni, non sono autorizzati a farci passare”, spiega Joy. Qualcuno ci ha provato. Ci sono stati spintoni, cariche, spari in aria. Dal confine, di quelle violenze arrivano filmati che Repubblica ha visionato, verificato ed è in grado di mostrare.

Stando a quanto dichiarato dal presidente Kais Saied, in zona la Croce Rossa starebbe prestando assistenza ai migranti rimasti intrappolati sul confine. “Ma ci danno solo un litro d’acqua da dividere in quattro o cinque, di giorno il sole non ci dà pace, di notte ci sono serpenti e scorpioni da cui non sappiamo come proteggerci”. Il caldo consuma. La sete è una costante. E allora l’unico modo di resistere è stendersi, limitare al massimo gli sforzi, tentare di dimenticare l’arsura, la fame, la paura di rimanere bloccati lì. In attesa di qualcuno che arrivi con acqua o risposte.

Parenti e amici che sono riusciti a sottrarsi alle deportazioni e si nascondono a Sfax o in altre città non possono né soccorrerli, né raggiungerli,  perché rischierebbero di rimanere bloccati lì anche loro. Anche le organizzazioni della società civile hanno difficoltà a raggiungere quelle zone.

“Insieme ad altre realtà della società civile tunisina e internazionale stiamo documentando da mesi la situazione, supportando le persone locali e in transito che si trovano a resistere ad una situazione di razzismo di stato e di gravissima crisi economico-politica – spiegano gli attivisti di Mem.Med. – La repressione sociale, le violenze razziste, i respingimenti in mare e in terra, le morti e le scomparse dicono chiaramente che la Tunisia non è un paese sicuro né per le persone migranti né per i suoi cittadini”.

Ma la Tunisia di Kais Saied, con cui l’Ue domenica scorsa ha firmato un memorandum di intesa anche, se non soprattutto, per il controllo delle migrazioni, “è un Paese partner” ha confermato ieri la commissaria Affari Interni Ue, Ilva Johansson. Domenica a Roma, Saied  – annota Annalisa Girardi su Fanpage – sarà “uno dei protagonisti”, ha annunciato i nei giorni scorsi palazzo Chigi, della “Conferenza internazionale sull’immigrazione” organizzata dal governo italiano.


Nelle stesse ore, dall’altra parte della Capitale, attivisti e portavoce di Sudan, Egitto, Tunisia, Gambia, Sud Sudan, Benin, Burkina Faso, Senegal, Marocco, Somalia, Algeria, Costa d’Avorio, si riuniranno nel controvertice “Africa Counter Summit”, organizzato da Refugees in Libya e Mediterranea Saving Humans.


“L’incontro – fanno sapere – si inserisce nell’ambito dell’attività di promozione e costruzione di reti della società civile organizzate mediterranee, che possano contrastare la strategia europea ed italiana di sostegno ai regimi e alle autocrazie che opprimono le popolazioni”. Obiettivo: “continuare a sostenere il soccorso civile in mare, il diritto di asilo, i diritti umani e sociali. Reti capaci di praticare un altro Mediterraneo possibile e giusto, a partire dal sostegno in tutti i paesi africani, delle lotte e mobilitazioni della popolazione contro la fame, la miseria e lo sfruttamento”.

Human Rights Watch ha raccolto in un nuovo report decine di testimonianze, che documentano come la Tunisia non sia un Paese sicuro per i migranti subsahariani: arresti arbitrari, violenze, torture, espulsioni collettive, furti di soldi e telefoni. Secondo Human Rights Watch la polizia tunisina, così come i militari e la Guardia costiera, avrebbero commesso seri abusi nei confronti dei migranti provenienti dall’Africa subsahariana, che si trovano in Tunisia nel tentativo di riuscire a salpare verso l’Europa. Ma per queste persone la Tunisia non è un porto sicuro, in cui riportare i migranti intercettati in mare, o dove stazionarle nell’attesa di esaminare le domande di asilo.

Secondo Lauren Seibert, di Human Rights Watch, le autorità tunisine sono responsabili non solo in prima persona degli abusi contro i migranti nel Paese, ma anche di aver alimentato razzismo e xenofobia contro queste persone. Del resto lo stesso presidente tunisino Kaïs Saïed ha parlato di un complotto di sostituzione etnica nel Paese, avallando attacchi e discriminazioni. E adesso l’Unione europea, finanziando chi sta commettendo queste violenze, sta diventando allo stesso modo responsabile della sofferenza dei richiedenti asilo che si trovano in Tunisia, dove i loro diritti non vengono garantiti.

Tra le persone intervistate da Human Rights Watch, alcune hanno raccontato di essere state picchiate e torturate con l’elettroshock mentre erano in detenzione. Altre hanno detto di essere state derubate di tutti i loro beni dalla polizia, che le ha arrestate solo in base al colore della loro pelle, senza nemmeno controllare i loro documenti.

Nelle ultime settimane oltre mille persone sono state espulse dalle autorità tunisine e trasferite al confine con la Libia o l’Algeria. Moltissime sono state semplicemente abbandonate nel deserto, senza cibo o acqua. Diverse donne hanno raccontato di essere state violentate mentre venivano portate in queste zone remote. I loro cellulari sono stati rubati, rendendo praticamente impossibile chiedere aiuto o denunciare quanto stesse accadendo. Alcuni sono riusciti a conservare il telefono e condividere la propria posizione GPS. Una volta che si è scaricata la batteria, però, sono rimasti isolati. Il presidente Saied, da parte sua, ha detto che le accuse di abusi e violenze nei confronti delle autorità e delle forze di sicurezza sono solo bugie e fake news”.

L’interminabile Spoon River dei bimbi morti nel Mediterraneo

Secondo l’Unicef, si stima che almeno 289 bambini sono morti o scomparsi quest’annocercando di attraversare la pericolosa rotta migratoria del Mediterraneo centrale dal Nord Africa all’Europa. Vale a dire circa 11 bambini morti o scomparsi ogni settimana in cerca di sicurezza, pace e migliori opportunità.
Dal 2018, l’Unicef stima che circa 1.500 bambini sono morti o dispersi mentre cercavano di attraversare il Mediterraneo centrale. Questo numero corrisponde a 1 su 5 delle 8.274 persone morte o disperse lungo la rotta, secondo i dati del Progetto Migranti Scomparsi dell’Oim.

Molti naufragi durante la traversata del Mediterraneo centrale non lasciano sopravvissuti o non vengono registrati, rendendo praticamente impossibile verificare il numero reale di bambini morti, probabilmente molto più alto. Negli ultimi mesi, bambini e neonati sono stati tra coloro che hanno perso la vita su questa rotta, su altre rotte attraverso il Mediterraneo e sulla rotta atlantica dall’Africa occidentale, comprese le recenti tragedie al largo delle coste della Grecia e delle isole Canarie spagnole.

“Nel tentativo di trovare sicurezza, ricongiungersi con la famiglia e cercare un futuro più speranzoso, troppi bambini si imbarcano sulle coste del Mediterraneo, perdendo poi la vita o risultando dispersi durante il viaggio”, ha dichiarato il Direttore Generale dell’UnicefCatherine Russell. “Questo è un chiaro segnale che bisogna fare di più per creare percorsi sicuri e legali per l’accesso dei bambini al diritto d’asilo, rafforzando al contempo le azioni per salvare vite in mare. In definitiva, bisogna fare molto di più per affrontare le cause alla radice che portano in primo luogo i bambini a rischiare la vita”.

Una media di 428 bambini a settimana che arrivano sulle coste italiane

L’Unicef stima che 11.600 bambini – una media di 428 bambini a settimana – sono arrivati sulle coste dell’Italia dal Nord Africa da gennaio 2023. Questo dato rappresenta un aumento di due volte rispetto allo stesso periodo nel 2022, nonostante i gravi rischi che corrono i bambini. La maggior parte dei bambini parte dalla Libia e dallaTunisia, dopo aver già affrontato viaggi pericolosi da paesi dell’Africa e del Medio Oriente.
Nei primi tre mesi del 2023, 3.300 bambini, il 71% di tutti i bambini arrivati in Europa tramite questa rotta – sono stati registrati come non accompagnati o separati dai genitori o tutori legali, esponendoli a maggiori rischi di violenza, sfruttamento e abuso. Le ragazze che viaggiano da sole sono particolarmente esposte alle violenze prima, durante e dopo i loro viaggi.
Quella del Mediterraneo centrale è diventata una delle rotte più pericolose attraversata dai bambini. Tuttavia, il rischio di morte in mare è solo una delle molte tragedie che questi bambini affrontano – da minacce o esperienze di violenza, mancanza di opportunità formative o future, assalti e detenzione per cause migratorie o separazione dalle famiglie. Questi rischi sono ulteriormente aggravati dai percorsi limitati affinché i bambini si muovano in sicurezza, dalla mancanza di accesso alla protezione nei paesi lungo la rotta e da operazioni di ricerca e salvataggio insufficienti e non tempestive.

Cosa chiede l’Unicef

In linea con gli obblighi previsti dal diritto internazionale e dalla Convenzione sui Diritti dell’Infanzia e dell’Adolescenza, l’Unicef chiede ai governi una migliore protezione dei bambini vulnerabili in mare e nei paesi di origine, transito e destinazione:

  • Proteggendo i diritti e il superiore interesse dei bambini in linea con gli obblighi previsti dal diritto nazionale e internazionale;
  • Fornendo ai bambini percorsi sicuri e legali per la migrazione e la richiesta di asilo, tra cui l’ampliamento delle quote di ricongiungimento familiare e di reinsediamento dei rifugiati;
  • Rafforzando il coordinamento delle operazioni di ricerca e salvataggio e garantendo un rapido sbarco in luoghi sicuri.
  • Rafforzando i sistemi nazionali di protezione dell’infanzia per includere e proteggere meglio i bambini a rischio di sfruttamento e violenza, in particolare i minorenni stranieri non accompagnati.
  • Migliorando le prospettive per i bambini e gli adolescenti nei Paesi di origine e di transito, affrontando i rischi legati ai conflitti e al clima e ampliando la copertura della protezione sociale e le opportunità di apprendimento e di guadagno.
  • Garantendo ai bambini l’accesso alle informazioni per fare scelte sicure e informate sulle loro opzioni e sui pericoli della traversata.
  • Facendo in modo che tutti i bambini rifugiati e migranti continuino il loro apprendimento e dando loro accesso alla salute e ad altri servizi essenziali.

L’Unicef chiede inoltre all’Unione Europea di garantire che questi aspetti siano riflessi nel Patto UE sulla migrazione e l’asilo, attualmente in fase di negoziazione. L’Unicef continua a lavorare per sostenere i Paesi nel rafforzamento dei sistemi nazionali di protezione dell’infanzia, di protezione sociale e di migrazione e asilo, per prevenire e mitigare i rischi che i bambini corrono durante gli spostamenti e per fornire sostegno e servizi inclusivi a tutti i bambini, indipendentemente dallo status giuridico loro o dei loro genitori”.

Richieste accorate, proposte realizzabili se solo si avesse una coscienza e una volontà politica umanitarie. Ma coscienza e volontà non albergano alla Conferenza di Roma. 

Native

Articoli correlati