Sudan-Ucraina, due pesi e due misure: la gerarchia della vergogna
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Sudan-Ucraina, due pesi e due misure: la gerarchia della vergogna

Globalist lo ha denunciato a più riprese: esiste una gerarchia degli orrori, guerre iper attenzionate e guerre colpevolmente ignorate. Profughi di seria A e profughi che non hanno serie, come se non esistessero. 

Sudan-Ucraina, due pesi e due misure: la gerarchia della vergogna
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Umberto De Giovannangeli Modifica articolo

11 Maggio 2023 - 14.33


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Globalist lo ha denunciato a più riprese: esiste una gerarchia degli orrori, guerre iper attenzionate e guerre colpevolmente ignorate. Profughi di seria A e profughi che non hanno serie, come se non esistessero. 

Il Sudan come l’Ucraina. Entrambi Paesi ostaggio di conflitti armati con vittime civili che, indipendentemente dalla loro cittadinanza, devono contare lo stesso. E che allo stesso modo hanno bisogno di aiuto. È l’assunto alla base di accuse rivolte in questi giorni ai governi europei, in particolare del Regno Unito.
 Con l’agenzia Dire a chiarire il punto è Caitlin Boswell, policy e advocacy manager dell’ong britannica Joint Council for the Welfare of Immigrants (Jcwi). “Il governo del Regno Unito”, sottolinea l’attivista, “deve subito introdurre una via sicura per le persone sudanesi, estendendo anche a loro l’aiuto prestato ai cittadini ucraini in fuga dalla guerra”.


   Nella capitale Khartoum, nel Darfur e in altre regioni del Paese dell’Africa sono in corso combattimenti dal 15 aprile. Da una parte ci sono reparti dell’esercito, al comando del generale Abdel Fattah Al-Burhan, dall’altra i paramilitari delle Forze di supporto rapido (Rsf), fedeli al generale Mohamed Hamdan Dagalo, detto Hemeti. Secondo l’Onu, le persone costrette a lasciare le loro case dalle violenze sono già centinaia di migliaia e oltre centomila quelle che hanno attraversato il confine raggiungendo Paesi vicini come Ciad, Sud Sudan, Etiopia e Repubblica centrafricana.


   L’ultimo trasferimento di civili ostaggio del conflitto verso il Regno Unito con un volo di emergenza, invece, risale alla settimana scorsa. E a oggi non ci sono annunci di nuove operazioni del genere.  Insieme con altre Ong, Jcwi accusa in particolare il ministero dell’Interno britannico. “Sta discriminando le persone sulla base di evidenti considerazioni razziali” sottolinea Boswell. “Chiunque fugga da una persecuzione ha diritto alla propria sicurezza e alla possibilità di ricostruire la propria vita in pace, ma l”Home Secretary’ ha escluso corridoi sicuri per i sudanesi in cerca di un rifugio, peraltro mentendo sul fatto che esistano altri modi per arrivare qui in sicurezza”.  La tesi è che a Khartoum o in altre regioni del Sudan non esista alcun sistema attraverso il quale chiedere aiuto. “Non c’è alcuna fila che le persone possano fare, perché per poter chiedere asilo nel Regno Unito bisogna essere sul territorio del Regno Unito” denuncia Boswell. “L’unica via diventa allora tentare viaggi pericolosi attraverso il canale della Manica su piccole imbarcazioni”. Il confronto con l’Ucraina si fonda sull’aiuto organizzato da Londra quando nel Paese dell’Est Europa la guerra si è aggravata con l’offensiva russa del febbraio 2022. A oggi, in poco più di un anno, ricorda il quotidiano britannico The Guardian, i permessi di soggiorno garantiti dal Regno Unito sono stati quasi 300mila. In circa due casi su tre gli arrivi sono stati gestiti attraverso le “home sponsorship”, un sistema di ospitalità diffusa strutturato per i cittadini ucraini. Quasi 95mila poi le persone che hanno beneficiato di ricongiungimenti familiari con parenti già in Gran Bretagna.

Apocalisse umanitaria

 In Sudan “la situazione è difficile e richiede la nostra massima attenzione, perché sta diventando una catastrofe umanitaria”.

Lo ha detto il commissario europeo Oliver Varhelyi, parlando a nome della Commissione Ue in aula a Strasburgo. “Finora più di 500 persone hanno perso la vita e 6mila sono state ferite dall’inizio delle ostilità e sono cifre che riguardano solo la città di Khartoum”, ha sottolineato.

Racconta da Lomé Matteo Fraschini Koffi per Avvenire: “Continua la disperata fuga dei civili per salvarsi dalle conseguenze della crisi in Sudan. A quasi un mese dall’inizio degli scontri, sono aumentati radicalmente i profughi mentre i negoziati vengono giudicati «fasulli» da molti osservatori. «Il numero di sfollati interni è raddoppiato nell’ultima settimana», ha riferito a Ginevra il portavoce dell’Organizzazione internazionale per le migrazioni (Oim), Paul Dillon. 

«Il totale degli sfollati dal 15 aprile 2023 è salito ad oltre 700mila. Secondo gli ultimi dati dell’Oim – ha precisato Dillon –, gli sfollati erano circa 340mila martedì scorso». Dall’inizio delle violenze il 15 aprile – afferma l’Oms – già 604 persone sono morte e 5.127 ferite . Le scorte di cibo sono state saccheggiate e gran parte degli operatori umanitari locali e internazionali se ne sono andati. 

«Stiamo cercando altri 445 milioni di dollari per far fronte a un previsto esodo di 860mila persone entro ottobre – ha dichiarato ieri l’Alto commissariato Onu per i rifugiati (Acnur) –. La gente scappa verso Ciad, Egitto, Etiopia, Eritrea, Sud Sudan e Repubblica Centrafricana». 

Intanto sono in corso a Gedda, in Arabia Saudita i negoziati promossi dagli Stati Uniti. Gli analisti della regione hanno giudicato «una farsa» tale processo che non sta riuscendo neanche a unire intorno a un tavolo i rappresentanti del presidente, Abdel Fattah al-Burhan, e del rivale, Mohamed Hamdan Dagalo», leader delle Forze paramilitari di supporto rapido (Fsr). 

«Inutile continuare a dialogare mentre i combattimenti stanno andando avanti – ha commentato ieri al-Burhan –. Non ci sarà comunicazione tra le parti fino a quando non verrà rispettata una tregua». 

Numerose tregue, infatti, sono state violare pochi minuti dopo la loro proclamazione. Entrambi i belligeranti hanno abbastanza forza militare per aggravare un conflitto civile che, secondo gli Usa, «si protrarrà per anni». 

L’appello di Amnesty International

“Occorre una risposta decisa contro le violazioni dei diritti umani e del diritto internazionale umanitario”. In una lettera indirizzata all’Alto rappresentante dell’Unione europea per gli affari esteri e la politica di sicurezza Josep Borell Fontelles, Amnesty International ha esortato l’Unione europea e gli stati membri ad agire con urgenza rispetto alla protezione dei diritti umani dei civili colpiti dal conflitto in Sudan.

Secondo i dati diffusi dall’Alto commissariato delle Nazioni Unite per i rifugiati, dall’inizio del conflitto scoppiato il 15 aprile tra le Forze armate sudanesi (Fsa) e i paramilitari delle Forze di supporto rapido (Fsr) al 1° maggio sarebbero quasi 115.000 le persone fuggite dal Sudan verso gli stati vicini. L’Organizzazione internazionale per le migrazioni stima che, tra il 15 e il 22 aprile, almeno 75.000 persone siano sfollate all’interno del paese.

Mentre le parti in conflitto violano il diritto internazionale umanitario utilizzando armi pesanti in zone densamente popolate della capitale Khartoum, milioni di persone sono intrappolate nelle proprie case. Amnesty International continua a ricevere segnalazioni di uccisioni illegali di civili in tutto il paese, di attacchi indiscriminati e violenze. Molte persone che avevano presentato richiesta di visto, prima della crisi, alle ambasciate dell’Unione europea, sono ora prive dei propri documenti di viaggio a causa della frettolosa chiusura delle sedi diplomatiche: è urgente garantire loro l’accesso a copie di documenti o a lettere che riconoscano la loro situazione, così da consentirne l’uscita dal paese.

In questo contesto di forte crisi Amnesty International sollecita l’Unione europea e gli stati membri a impegnarsi attivamente per la protezione dei civili, garantendo in particolare: la sospensione di qualsiasi operazione di rimpatrio nei confronti di cittadini/e sudanesi, così come qualsiasi trasferimento in uno stato terzo da cui potrebbe esserci il rischio di rimpatrio; l’apertura di canali d’ingresso sicuri e regolari verso gli stati europei, per garantire l’accesso più rapido e sicuro possibile al diritto all’asilo e alla protezione internazionale; l’eliminazione di qualsiasi ostacolo alle procedure di asilo, in particolare attraverso la sospensione dell’obbligo di visto, l’eliminazione dei requisiti di documentazione superflui per gli spostamenti e il rilascio di documenti di viaggio di emergenza all’interno del paese o negli stati limitrofi; la revisione urgente dei programmi di cooperazione volti a rafforzare la gestione delle frontiere negli stati terzi, per occuparsi finalmente delle violazioni dei diritti umani eventualmente conseguenti a tali accordi e prevenire future violazioni.

Amnesty International chiede all’Unione europea e agli stati membri anche di: esortare pubblicamente le parti in conflitto a proteggere i civili e le infrastrutture civili; denunciare pubblicamente le violazioni dei diritti umani e del diritto internazionale umanitario; richiedere la convocazione di una sessione di emergenza del Consiglio dei diritti umani delle Nazioni Unite, affinché istituisca un meccanismo investigativo indipendente sulle violazioni dei diritti umani commesse in Sudan già dall’ottobre 2021; fornire sostegno immediato e assistenza umanitaria a coloro che sono stati colpiti dal conflitto, compresi gli sfollati interni e coloro che cercano riparo in altri stati; nel rispetto delle Linee guida dell’Unione europea sui difensori dei diritti umani, agire per proteggere e promuovere l’operato di difensori dei diritti umani, degli attivisti e della società civile che si trovano ancora in Sudan e che rischiano di subire attacchi e violenze. Queste azioni dovrebbero comprendere un supporto concreto e il rilascio di documenti di viaggio d’emergenza, nonché il sostegno a lungo termine ai difensori dei diritti umani sudanesi in esilio, affinché possano continuare a svolgere il loro importante lavoro.

Una riflessione preziosa

E’ quella di Gilles Kepel, ripresa in Italia dal Foglio: “La guerriglia sudanese che vede scontrarsi due fazioni militari dallo scorso 14 aprile, e si è trasformata in un disastro umanitario fin dalla prima settimana di combattimenti, testimonia il disordine che si sta diffondendo in medio oriente sulla scia del conflitto ucraino, così come il crescente indebolimento della leadership americana” scrive Gilles Képel, specialista del mondo arabo e direttore della cattedra Moyen-Orient Méditerranée all’École normale supérieure.

“Il Sudan aveva galvanizzato le speranze delle democrazie di tutto il mondo quando il suo popolo, nell’aprile del 2019, ha fatto cadere il dittatore Omar al-Bashir dopo un quarto di secolo di potere, durante il quale è stato incriminato dalla Corte internazionale di giustizia per crimini di guerra e crimini contro l’umanità. Ma questa speranza è stata spazzata via, alla pari di tutte quelle della “seconda primavera araba” del 2019 in Algeria, in Libano e in Iraq, quando un colpo di stato militare condotto da due generali – all’epoca alleati – che oggi si scontrano, Abdel Fattah al-Burhan e Mohammed Hamdan Dagalo detto Hemetti, ha rovesciato il governo civile nell’ottobre 2021. Nel frattempo, il Sudan aveva firmato nel gennaio 2021 gli “Accordi di Abramo”, un tema centrale per lo stato ebraico, perché Khartum era lo snodo delle armi iraniane che arrivavano in contrabbando dalle coste sudanesi fino a Hamas a bordo di sambuchi attraverso il mar Rosso. Appena tre mesi fa, il 2 febbraio, il ministro degli Esteri israeliano, Élie Cohen, effettuava la sua prima visita ufficiale a Karthum nella sua nuova veste, con l’obiettivo di preparare la firma di un trattato di pace che finalizzasse la normalizzazione completa tra i due stati. Si è fatto fotografare sorridente e stringendo la mano al generale al-Burhan, mentre il generale Hemetti dichiarava all’agenzia di stampa ufficiale Suna di non essere stato messo al corrente della visita e di non aver incontrato la delegazione (ha mandato tuttavia il fratello in Israele per alcuni colloqui). L’immenso paese africano, uno dei più poveri del mondo, e con un lungo contenzioso con gli Stati Uniti che risale al sequestro e in seguito all’uccisione a Karthum lo scorso marzo del loro ambasciatore Cleo A. Noel Jr da parte di alcuni palestinesi membri di Settembre nero, sembrava aver voltato pagina e fatto il suo ingresso nel sistema di alleanze americano in medio oriente. Ma Sergej Lavrov ha effettuato una visita a Khartum lo scorso 9 marzo, una settimana dopo il suo omologo israeliano, finalizzando un accordo di installazione di una base logistica per la flotta russa a Porto Sudan e incontrando i due generali al-Burhan e Hemetti. Sono girate voci sul fatto che stessero arrivando delle armi russe e che l’onnipresente Gruppo Wagner, punta di diamante del lavoro sporco del Cremlino nel continente africano, dove ha già preparato il regime change in Mali, fosse molto attivo nelle miniere d’oro. Queste ultime sono state conquistate dal generale Hemetti – considerato per questo l’uomo più ricco del Sudan – quando dirigeva le milizie “Janjawid”, che seminarono il terrore a forza di massacri nella provincia del Darfour all’epoca del dittatore al-Bashir. Il patron di Wagner, Yvgeny Prigozhin, è una delle sue vecchie conoscenze. L’entità degli scontri tra i due generali rivali, che massacrano i civili come carne da cannone, è una pessima notizia per gli Stati Uniti: ciò mostra che Washington non ha praticamente nessuna influenza in Sudan, nonostante quest’ultimo abbia firmato gli Accordi di Abramo, e mette in debbio le sue capacità di garantire la sicurezza dei suoi alleati presenti e eventuali in medio oriente e in Africa del Nord.

Ciò è ancor più preoccupante dopo la firma dell’accordo di mediazione cinese tra l’Arabia saudita e l’Iran, e il rifiuto saudita al presidente Biden quando quest’ultimo ha chiesto di aumentare la produzione di petrolio per contrastare Mosca. Il 21 aprile, alcuni aerei da caccia Mig-29M2 egiziani, preposizionati nella base aerea di Meroe (a centocinquanta chilometri da Karthum) come dissuasione anti etiopica, sono stati sequestrati, danneggiati, e i loro equipaggio e personale sono stati catturati dalle Rsf (Forze di sostegno rapido) del generale Hemetti. Queste ultime temevano forse che si unissero all’aviazione del generale al-Burhan, molto vicino al presidente al-Sisi, aviazione che controlla i cieli e bombarda senza sosta le Rsf. I poco più di duecento militari sono stati liberati e rispediti in Egitto non senza essere stati malmenati dalla Forze di supporto rapido, che hanno messo online un video dell’incidente.

Questa umiliazione dell’esercito egiziano capita nel momento peggiore dato che esso si trova già in discussione in seguito ai “Pentagon leaks”, i quali hanno rivelato che si preparava in segreto per consegnare decine di migliaia di razzi all’esercito russo violando l’embargo americano – nonostante Il Cairo riceva 1,3 miliardi di dollari di sostegno militare ogni anno da Washington. Antonio Guttieres, segretario generale dell’Onu, ha avvertito lo scorso 20 aprile che il protrarsi dei combattimenti Sudan “è una minaccia per tutta la regione e non solo”.

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