Imprigiona gli oppositori, silenzia la stampa, usa i miliardi europei: Erdogan prova a vincere le presidenziali
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Imprigiona gli oppositori, silenzia la stampa, usa i miliardi europei: Erdogan prova a vincere le presidenziali

Le presidenziali in Turchia si avvicinano e il sultano continua a riempire le patrie galere di oppositori. E’ il “modello Erdogan”.

Imprigiona gli oppositori, silenzia la stampa, usa i miliardi europei:  Erdogan prova a vincere le presidenziali
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26 Aprile 2023 - 17.54


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Le presidenziali si avvicinano e il sultano continua a riempire le patrie galere di oppositori. E’ il “modello Erdogan”. Almeno 110 persone sono state arrestate ieri in Turchia nell’ambito di un’operazione “antiterrorismo” contro il Partito dei Lavoratori del Kurdistan (Pkk), ha dichiarato una fonte di polizia all’Afp.

Oppositori in galera

L’operazione, che precede di tre settimane le elezioni cruciali in Turchia, è stata condotta in 21 province, tra cui quella di Diyarbakir, a maggioranza curda, nel sud-est del Paese.

Secondo l’Ordine degli avvocati di Diyarbakir, “il numero totale di arresti potrebbe raggiungere i 150”, tra cui almeno “venti avvocati, cinque giornalisti, tre attori teatrali e un politico”. 
Secondo la tv di Stato turca Trt, le persone messe in custodia sono accusate di avere finanziato il Pkk o di avere collaborato con il gruppo curdo armato, che da 40 anni combatte con l’esercito turco, mentre l’operazione delle forze di sicurezza è ancora in corso. Tra gli arrestati, oltre a giornalisti ed avvocati, ci sono anche dirigenti di varie Ong.  lo ha denunciato Mlsa, associazione turca non profit che si occupa di promuovere la libertà di espressione, secondo cui per 24 ore gli avvocati non avranno accesso ai dossier dell’inchiesta che ha portato all’arresto dei loro clienti.  Tra le persone arrestate ci sono Abdurrahman Gök, direttore della Mesopotamia News Agency (MA) , Osman Akın, caporedattore del quotidiano Yeni Yaşam , Kadri Esen, Mehmet Yalçın e Mikail Barut proprietari del giornale Xwebûn, i giornalisti Ahmet Kanbal e Beritan Canözer. «È un chiaro abuso di potere e una tattica intimidatoria prima del voto» è la denuncia di Emma Sinclair-Webb, direttrice di Human Rights Watch per l’Europa e l’Asia centrale.

La maggior parte delle 21 province dove è in corso l’operazione si trovano nel sud est a maggioranza curda del Paese ma gli arresti sono stati effettuati anche in altre zone della Turchia, come in provincia di Istanbul, Ankara, Smirne e Bursa. 

«Alla vigilia delle elezioni, per paura di perdere il potere, sono ricorsi nuovamente alle operazioni di detenzione», ha dichiarato su Twitter il parlamentare del Partito democratico popolare (Hdp) Tayip Temel che ha denunciato l’arresto di tanti membri del suo partito. La formazione rischia di essere dissolta dalla Corte Costituzionale per i presunti legami con il Pkk che però ha sempre negato. Per questo il partito ha deciso di non avere un suo candidato alle presidenziali e di appoggiare dall’esterno Kemal Kiliçdaroglu che corre in nome dell’Alleanza per la Nazione, la coalizione che raccoglie, tra gli altri. i secolaristi del Chp, i nazionalisti di Meral Aksener. I parlamentari dell’Hdp, invece, correranno con il partito della Sinistra Verde.

Nel frattempo, Erdogan ha cancellato tutti gli impegni in programma oggi dopo avere accusato ieri un malore durante un programma televisivo in diretta. “In seguito ai consigli dei medici, oggi riposerò a casa”, ha scritto su Twitter il presidente turco annunciando che non potrà partecipare ai comizi elettorali in programma in tre diverse città turche. “Se Dio vuole, da domani riprenderemo con il nostro programma”, ha aggiunto Erdogan. Tornando in diretta su Kanal 7 diversi minuti dopo l’interruzione della trasmissione per concludere l’intervista, Erdogan ha spiegato che la campagna elettorale per le presidenziali del prossimo 14 maggio gli ha provocato diversi problemi allo stomaco. “Con un programma così intenso può accadere”, ha commentato. “Purtroppo, oggi non potremo riunirci con i miei fratelli di Kirikkale, Yozgat e Sivas”, ha detto poi oggi Erdogan nell’annunciare l’annullamento degli impegni odierni.

Ieri i telespettatori che seguivano Kanal 7 si sono ritrovati con le trasmissioni bloccate dopo che il 69enne leader turco non è riuscito a rispondere a una domanda sulle sue promesse elettorali. Dal microfono si sono sentite voci ovattate, le telecamere non inquadravano Erdogan e l’intervistatore si è alzato. Poi, in sottofondo, si è sentita una voce esclamare “Oh no!”. Poi ancora il leader turco ha ripreso e concluso l’intervista, affermando appunto che l’intensità della campagna elettorale gli ha provocato “gravi” problemi di stomaco.

Conto alla rovescia

Annota Laura Aprati per Rai News: “tre settimane dal voto c’è grande attesa in Turchia e a livello internazionale, per le elezioni presidenziali e parlamentari del prossimo 14 maggio. A cento anni della Repubblica turca i cittadini si trovano davanti ad una tornata elettorale che può rivelarsi cruciale per il loro futuro. Scegliere la continuità e continuare ad affidarsi a Recep Tayyip Erdogan e dal suo Partito Giustizia e Sviluppo (Akp) da vent’anni al potere o scegliere il cambiamento proposto dalla eterogenea coalizione dei partiti di opposizione?

Il voto si prospetta come un referendumnei confronti dell’attuale Presidente al potere dal marzo 2003. Venti anni di trasformazioni politiche, economiche, sociali oltre a passaggio, nel 2018, dal parlamentarismo a un super-presidenzialismo, che ha istituzionalizzato il ruolo dell’uomo solo al comando. 

Ma proprio i cambiamenti economici – evidenziati dagli effetti della pandemia da Covid 19 -, la crescita indiscriminate delle città, uno sviluppo edilizio che ha toccato con mano le sue fragilità con il terremoto, sono i punti di deboli di Erdogan in questa campagna elettorale. Il suo consenso si è eroso soprattutto negli ultimi due anni, ed è sceso al di sotto del 50%. E non basterà forse l’accresciuto prestigio sul piano internazionale, grazie alla mediazione nel conflitto tra Russia e Ucraina, e la normalizzazione dei rapporti diplomatici con i vicini mediorientali, come le monarchie del Golfo che hanno sovvenzionato il Paese. 

Il Paese ha vissuto una crisi economica profonda nel 2022, il tasso medio di inflazione è del 72,3% contro il 19,6% del 2021. Dopo mesi di impennata solo a dicembre si è registrato un calo dei prezzi al consumo, con un tasso del 64,3%, dovuto principalmente alla riduzione dei prezzi del petrolio, dalle cui importazioni la Turchia dipende ampiamente per soddisfare il proprio fabbisogno interno. 

Poi c’è la tragedia terremoto che ha devastato dieci provincedell’Anatolia meridionale, al confine con la Siria, provocando forse la più grave crisi umanitaria che la Turchia moderna ricordi. In un recente rapporto il governo di Ankarane ha stimato i costi economici pari a 103, miliardi di dollari cioè il 9% del Pil turco per il 2023. Anche questa voce pesa sul risultato elettorale…”.

Strada in salita

Di grande interesse è il report  a firma Shorsh Surme per Notizie geopolitiche.

Scrive Surme: “A prima vista Recep Tayyp Erdoğan sembra essere in grave difficoltà, dovendo affrontare le elezioni più difficili che abbia mai incontrato durante i suoi 20 anni di potere, soprattutto se il blocco dell’opposizione si mette d’accordo e fa una campagna coerente e congiunta, facendo leva sui punti di forza e concentrandosi senza sosta sull’obiettivo supremo di far perdere il presidente in carica. Recenti sondaggi d’opinione mostrano il candidato dell’opposizione turca, Kemal Kiricldaroglu, che non è certo il più carismatico dei politici, in vantaggio su Erdogan di oltre 10 punti percentuali, a poche settimane dalle elezioni. Secondo i sondaggi l’Alleanza Nazionale, composta da sei partiti, sembra poter conquistare il maggior numero di seggi contro il Partito per la Giustizia e lo Sviluppo (Akp) di Erdoğan e il suo partner di destra, il Partito del Movimento Nazionalista (Mhp).


È anche difficile vedere come Erdoğan possa colmare il divario, mentre il sud della Turchia è in collera per l’inadeguata risposta del governo ai soccorsi e agli aiuti per il terremoto del mese scorso. Il devastante disastro ha provocato finora circa 70.000 morti e ha scatenato furiose proteste per il fatto che la devastazione è stata aggravata da una cattiva pianificazione urbanistica e da un’applicazione incostante delle norme edilizie, il tutto peggiorato da una negligente pianificazione della gestione della crisi.
Quando nel 1999 un forte terremoto aveva scosso la regione di İzmit, vicino a Istanbul, l’allora primo ministro Bülent Ecevit, paralizzato dalla portata del disastro, era stato ampiamente condannato per non essersi mobilitato rapidamente. In quel disastro morirono circa 18.000 persone e il clamore suscitato contribuì a spianare la strada alla vittoria schiacciante dell’Akp nelle elezioni successive. L’opposizione spera che la scossa del mese scorso possa essere sufficiente per porre fine al governo di Erdoğan.
Inoltre la gestione economica di Erdoğan è stata bizzarra. Grazie alla sua eccentrica politica monetaria, che ha abbassato i tassi di interesse a fronte dell’aumento dell’inflazione, la Turchia è stata devastata da un’inflazione vertiginosa, che lo scorso autunno ha raggiunto un record di 24 anni, toccando l’85%, anche se ora è scesa ad appena il 55%. Colpita dai venti contrari all’economia e dal pensiero idiosincratico di Erdoğan, la valuta turca ha perso il 60% del suo valore rispetto al dollaro dall’inizio del 2021. Inoltre ha registrato un deficit delle partite correnti da record e un deficit commerciale che è salito al 38%. La compressione del costo della vita sta privando la classe media dello stile di vita che si aspettava e facendo sprofondare i poveri in una disperazione ancora più profonda.


Ma allora, in questo contesto, Erdoğan potrà vincere?
In primo luogo, il leader turco ha enormi vantaggi in quanto in carica, e per di più è un leader particolarmente prepotente e senza scrupoli. Erdoğan non dà prova di magnanimità e ha consolidato con caparbietà una presa sempre più stretta sulla Turchia.
Nei suoi due decenni di potere Erdoğan ha rimodellato la Turchia con un’islamizzazione strisciante e con l’indebolimento del sistema parlamentare, trasformandolo in un sistema presidenziale che equivale a un governo quasi unipersonale. Il moderno sultano turco ha epurato i tribunali, le forze dell’ordine, il servizio civile, le agenzie di intelligence, i quadri ufficiali delle forze armate e i media, ruoli riempiti di lealisti.
Il presidente turco ha anche approfittato di un fallito putsch militare per accelerare la formazione del “sistema Erdoğan”. Al suo arrivo all’aeroporto Atatürk di Istanbul, dopo il colpo di Stato amatoriale del 2016, ha giurato vendetta sui complottisti. “Pagheranno un prezzo pesante per questo”, ha detto. “Questa rivolta è un dono di Dio per noi”.
Erdoğan non ha mai esitato a tirare le leve del potere che ha a disposizione e chi lo osserva da anni non ha dubbi sul fatto che le tirerà per tutto il loro valore, come un maligno Mago di Oz che non distribuirà né cuori né premi. “I leader statunitensi ed europei non dovrebbero lasciare che la loro speranza offuschi la loro visione”, ha avvertito Sinan Ciddi, professore associato di studi sulla sicurezza nazionale e autore del libro “Kemalism in Turkish Politics”.


In un documento per la Fondazione per la Difesa delle Democrazie, Ciddi ha sostenuto che Erdoğan “potrebbe vincere anche senza truccare il voto”. Le urne e i conteggi errati potrebbero non essere necessari: il sistema che ha creato potrebbe comunque garantirgli la vittoria di cui ha bisogno.
E i media saranno in prima linea negli sforzi del sistema per garantire la vittoria.
La presa di Erdoğan su ampie fasce dei media turchi è temibile. “I maggiori marchi mediatici sono controllati da aziende e persone vicine a Erdoğan e al suo partito, a seguito di una serie di acquisizioni iniziate nel 2008”, ha concluso un’indagine della Reuters. Lo stretto controllo editoriale gerarchico è coordinato dall’alto, con l’ex accademico Fahrettin Altun, capo della Direzione delle comunicazioni del governo, che supervisiona le istruzioni inviate alle redazioni. Ad esempio, quando il genero di Erdoğan, Berat Albayrak, si è dimesso da ministro delle Finanze nel 2020, in una spaccatura senza precedenti all’interno della cerchia ristretta del leader turco, alle redazioni giornalistiche del Paese è stato detto di non riportare le dimissioni finché il governo non avesse dato il via libera”.

Il sultano si gioca tutto. E quando il gioco si fa duro, lui sa come muoversi. Col pugno di ferro. Contro chiunque sbarri la sua strada. Una strada, lo sanno bene i curdi, lastricata di sangue.

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