Israele: così cresce la resistenza alla "dittatura dell'apartheid"
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Israele: così cresce la resistenza alla "dittatura dell'apartheid"

Costruire e rafforzare davvero un regime di apartheid, l'oppressione dei palestinesi e l'esclusione degli arabi è il progetto dell'estrema destra israeliana al potere

Israele: così cresce la resistenza alla "dittatura dell'apartheid"
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Umberto De Giovannangeli Modifica articolo

28 Febbraio 2023 - 12.38


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Israele, così cresce la resistenza alla “dittatura dell’apartheid”.

A darne conto, su Haaretz, è Zehava Galon, già leader del Meretz, la sinistra pacifista israeliana. “In tutto il clamore suscitato dal rovesciamento del sistema giudiziario – scrive Galon –  è stata prestata relativamente poca attenzione al drammatico accordo firmato tra il Ministro della Difesa Yoav Gallant e Bezalel Smotrich, in qualità di ministro del Ministero della Difesa. L’accordo trasferisce la maggior parte dell’autorità sull’Amministrazione civile a Smotrich, che istituirà una “Amministrazione degli insediamenti” e nominerà un altro vice a capo dell’amministrazione, mentre l’IDF manterrà la responsabilità dell’evacuazione di nuovi avamposti. Perché drammatico? Perché questa mossa non solo consolida l’annessione de facto che già avviene quotidianamente, ma consente anche il trasferimento delle autorità dalla forza di occupazione a un’entità civile, cioè l’annessione de jure. Questo è un altro livello del rovesciamento del sistema da parte di Netanyahu, mentre Bibi continua a fare tutto il possibile per garantire la sua sopravvivenza politica: nutrire una banda di nani, in modo da poter apparire alto al confronto, e in modo che essi possano aiutarlo a tenerlo fuori di prigione.


Se le leggi che il governo sta portando avanti – la politicizzazione del comitato di selezione giudiziaria, il divieto di intervento giudiziario nelle nomine ministeriali, la clausola di scavalcamento e la cancellazione della dottrina della ragionevolezza – saranno approvate, avremo una vera e propria dittatura. Le sue varie componenti: il trattamento dei palestinesi nei territori, l’incitamento contro gli arabi israeliani, l’assalto alle istituzioni democratiche – non possono essere separate, sono tutte collegate e deliberatamente progettate per portare a un’altra rivoluzione oltre a quella giudiziaria – la rivoluzione dell’apartheid.

L’occupazione è stata il più grande progetto della maggior parte dei governi israeliani negli ultimi 56 anni, ma finora è stata fatta, per citare Meir Ariel nella sua canzone “Midrash Yonati” – “forse con la frode, con il sospetto di un furto, sotto la copertura dell’oscurità, con la protezione di un governante”.


Per costruire e rafforzare davvero un regime di apartheid, l’oppressione dei palestinesi e l’esclusione degli arabi israeliani non sono sufficienti. Questo progetto richiede anche che gli elementi critici della società vengano schiacciati. I guardiani, la Corte Suprema, i media, le organizzazioni della società civile, il mondo accademico e la scena culturale. I libri di legge del Paese devono essere deturpati con leggi razziste e antidemocratiche e si deve ricorrere a un sistema di silenzi, intimidazioni e persecuzioni per scoraggiare qualsiasi impulso a resistere.
Il punto di arrivo di questo piano è una visione da incubo: il trasferimento del controllo sui palestinesi e sui coloni della Cisgiordania ai coloni stessi, per arrivare non solo alla completa annessione della Cisgiordania a Israele, ma anche all’instaurazione di un regime di classe, con i “lealisti” che sostengono il regime di occupazione in cima, i “traditori” di sinistra che vi si oppongono sotto di loro, e sotto di loro gli arabi privi di diritti.


Perché è una visione da incubo? Perché un governo che autorizza gli avamposti illegali, che annuncia la costruzione di insediamenti e consente l’annessione anche a costo di un isolamento diplomatico, economico, di sicurezza e internazionale, e che cerca uno scontro totale con i palestinesi fino alla loro completa sconfitta, è un governo in cui si sta diffondendo il marcio morale e che non può essere democratico. I ‘fedeli’ della democrazia si sono svegliati e stanno combattendo per il carattere della nazione. Per l’istituzione di una costituzione, per l’uguaglianza, la giustizia e la democrazia, per la collaborazione tra ebrei e arabi e per la fine dell’occupazione. Questo governo sta dicendo chiaramente ciò che vuole: cambiamenti sostanziali al metodo di governo e al delicato equilibrio tra i tre rami, e uno Stato ebraico. I manifestanti stanno dicendo chiaramente al governo che lotteremo per la nostra democrazia. Israele non diventerà una dittatura”.

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Not in my name

Ne scrive sul giornale progressista di Tel Aviv Yariv Kubovich: “

Decine di soldati e ufficiali della riserva che prestano servizio nella divisione di ricerca dell’intelligence militare israeliana hanno dichiarato domenica che non si presenteranno più in servizio se le leggi sul golpe di regime promosse dal governo del primo ministro Benjamin Netanyahu dovessero essere approvate.
“Se questa pericolosa legislazione verrà approvata, non continueremo a presentarci come volontari per il servizio di riserva”, hanno scritto in una lettera inviata ai ministri del governo e ai vertici dell’intelligence militare. Chiediamo al governo e alla coalizione di fermare questa legislazione e di formulare un ampio consenso per il giusto equilibrio tra i tre rami”.


“Siamo stati lì – in tempo di guerra e in tempo di pace – e questa è un’emergenza”, hanno scritto i riservisti. “Negli ultimi due mesi, abbiamo affrontato una legislazione promossa con l’obiettivo di ferire gravemente il sistema giudiziario israeliano e di trasformarlo in un braccio politico del governo e della coalizione”, hanno continuato, aggiungendo che ritengono che “questa legislazione danneggerà gravemente la democrazia israeliana”.


La divisione di ricerca dell’Intelligence militare delle Forze di difesa israeliane raccoglie e analizza l’intelligence in tutti i teatri operativi dell’esercito. Ha il compito di formare un quadro di intelligence accurato e aggiornato per il governo e il gabinetto diplomatico-sicurezza. La divisione si affida principalmente alle forze di riserva israeliane, sia per le operazioni di routine che per quelle di emergenza, a causa del livello di conoscenza richiesto per i suoi ruoli e della vasta esperienza dei riservisti, che dà loro un vantaggio quando si tratta di prendere decisioni delicate sul campo. Tra i firmatari della lettera ci sono ufficiali veterani specializzati in aree di sicurezza riguardanti le minacce poste dall’Iran e da Hezbollah. Se non dovessero presentarsi per il servizio di riserva, ciò potrebbe danneggiare l’intelligence dell’IDF e quella di altre agenzie di sicurezza che fanno affidamento sul loro lavoro.

Venerdì è stata pubblicata una petizione – firmata da decine di ufficiali e soldati che prestano servizio nello schieramento delle operazioni speciali della Direzione dell’Intelligence militare – in cui minacciano di rifiutarsi di prestare servizio nelle loro unità se la legislazione del regime golpista dovesse continuare in assenza di un ampio consenso pubblico. La petizione recita: “Non ci offriremo volontari per il servizio di riserva mentre una gigantesca bandiera nera sventola sulle azioni del governo”.
E prosegue: “La legislazione in questione distruggerà tutto ciò per cui abbiamo servito e combattuto. Non permetteremo che ciò accada”.

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Tutto questo è “annessione”. 

Una pratica, quella dell’apartheid, che va riportata indietro nel tempo. “Questa idea è stata impiantata – annota in proposito Ilan Baruch, già ambasciatore d’Israele in Sudafrica, fondatoredelZulat Institute for Equality and Human Rights – il primo giorno dell’occupazione, dopo la Guerra dei Sei Giorni. Già alla fine del 1967 il governo israeliano aveva annesso Gerusalemme est e i suoi dintorni con molti villaggi palestinesi. Il territorio fu annesso ma la popolazione – un terzo della popolazione della città – rimase priva dei diritti civili fondamentali, dando origine al primo caso di discriminazione etnica istituzionalizzata. Non si chiamava ancoraapartheid, anche se il regime dell’apartheid in Sudafrica era all’apice dell’epoca e le relazioni diplomatiche tra i due Paesi erano quasi scontate. È da notare che la parola ‘apartheid’ suscita ripugnanza morale in tutto il mondo perché ricorda un deplorevole regime criminale e disumano, mentre tra molti israeliani suscita sbadiglio e negazione. Tuttavia, la realtà è chiara: l’annessione riciclata equivale all’apartheid. È triste vedere come la lavanderia faccia gli straordinari in Israele.

Secondo la Convenzione di Roma, che funge da fonte di autorità per il Tribunale penale internazionale dell’Aia, l’apartheid è un crimine contro l’umanità. Il regime di occupazione israeliana in Cisgiordania è definito temporaneo, e quindi la comunità internazionale distingue tra il regime militare nei territori occupati e la democrazia nello Stato di Israele, nonostante la responsabilità di quest’ultimo per la situazione in Cisgiordania controllata dall’esercito, che ha chiare caratteristiche dell’apartheid.

La sostituzione dell’occupazione militare con l’annessione, o la sinonima ‘applicazione’ della legge e della giurisdizione israeliana” nei territori occupati, dovrebbe far capire al mondo che in Israele esiste un regime di apartheid oppressivo, con tutto ciò che questo implica.

È doloroso che pochi di noi sappiano cosa è accaduto nel temibile regime di apartheid del Sudafrica, quanto fosse buio, e quali istituzioni siano state create e quali leggi siano state promulgate per permettere alla minoranza bianca di godere di un’alta qualità di vita, a spese di una violenta e corrotta oppressione della maggioranza nera. La somiglianza tra l’allora Sudafrica e l’attuale Israele è straziante: un sesto della popolazione sudafricana era bianca (un tasso di 5:1), mentre in Cisgiordania i coloni sono un sesto e i palestinesi sono cinque-sesti della popolazione (un tasso di 1:5). Eppure noi neghiamo la realtà e scrolliamo le spalle alle sue conseguenze: L’apartheid è già qui!”.

Un grido d’allarme. Ascoltatelo

Sì, ascoltatelo. O meglio, leggetelo con l’attenzione dovuta. Per l’autorevolezza di chi lo lancia, Anna Foa, storica, esponente illuminata dell’ebraismo italiano, e per dove lo scrive: su Gariwo. La foresta dei giusti, autorevole portale dell’ebraismo nel nostro Paese.
“Sì, Israele è in pericolo. Il pericolo di perdere il carattere democratico di cui, almeno fino a poco tempo fa, si è fatta vanto: l’unico Stato democratico del Medio Oriente. Ora, certo può anche fare a meno di farsene vanto, dal momento che non è proprio questa l’etichetta che si può attribuire a quei discepoli del rabbino Kahane, espulso dalla Knesset, e certo non sotto un governo di estrema sinistra, per razzismo e negazione del carattere democratico dello Stato, che sono ora ministri del governo Netanyahu e che, invece di darsi un’etichetta democratica, si fanno vanto di essere razzisti, antidemocratici e perfino omofobi.

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È davvero impressionante la velocità con cui il governo nato intorno a Netanyahu dalle recenti elezioni sta distruggendo ogni residuo di possibilità di arrivare un giorno o l’altro, per quanto lontano, ad una pacificazione fra ebrei e palestinesi ed insieme, sta minando, con la legge sulla Corte Suprema, le basi democratiche dello Stato. Ormai non si tratta più soltanto, e non era certo poco!, del conflitto tra israeliani e palestinesi. Ciò che si sta distruggendo è ormai la natura stessa dello Stato di Israele, i principi su cui era nato, la sua politica, per quanto complessa e problematica, in particolare dopo il 1967, essa sia stata. 

Dopo l’attentato terroristico del 26 febbraio, il governo ha decretato, come riferisce Haaretz, l’istituzione della pena di morte per i terroristi. Come non ricordare, pensando a questa tragica svolta, l’orgoglio con cui asserivamo l’inesistenza in Israele della pena di morte per i civili, comminata solo ad Adolf Eichman, e ricordavamo come nel Talmud la pena di morte fosse talmente circondata di paletti e regole da risultare inapplicabile. Da oggi in poi, potrebbe non essere più così. Mi direte che questo riguarda solo i terroristi. Ma chi è il terrorista per il governo israeliano di oggi? Chi spara e mette bombe come nell’attentato di Hawara o anche chi, palestinese, sogna ed immagina di avere uno Stato? Le Università israeliane, a cominciare dalla Hebrew University, sono in agitazione perché vengono dal governo segnali di una spinta ad eliminare, come sospetti terroristi, gli studenti palestinesi dalle Università.

Le grandi manifestazioni che, con numeri sempre crescenti, si succedono da otto settimane in Israele contro la riforma giudiziaria portano in piazza non solo le sinistre ma anche moderati e religiosi. Intellettuali e accademici, certo, ma non solo: persone di tutte le categorie e di tutte le età, tutti uniti nel difendere Israele contro questa degenerazione che rischia di diventare la sua rovina e di farlo assomigliare, come scriveva Haaretz, più all’Afghanistan che all’Ungheria.

Credo che denunciare ad alta voce questa situazione sia oggi mio dovere imprescindibile: come ebrea, come fautrice dei diritti umani, come persona impegnata nella politica portata avanti da Gariwo per creare solide catene di responsabilità, per prevenire violenze e fenomeni genocidari, per difendere deboli ed oppressi. È il mio un appello a tutti, cittadini israeliani ed ebrei della diaspora, ebrei e non ebrei, a non lasciare distruggere la democrazia in Israele senza levare almeno alta la nostra voce. Il dolore e la preoccupazione per quanto succede rendono forse le mie parole troppo retoriche, troppo urgenti. Ma il momento è grave e l’ora è buia”.

Così la professoressa Foa. L’ora buia di Israele.

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