La violenza dei coloni e Israele: una lettera dall'America
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La violenza dei coloni e Israele: una lettera dall'America

Lo “Stato” dell’illegalità e della violenza impunita. Lo “Stato” della “jihad” ebraica. Globalist lo ha documentato con articoli, reportage, interviste.

La violenza dei coloni e Israele: una lettera dall'America
Colonie israeliane
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Umberto De Giovannangeli Modifica articolo

26 Gennaio 2022 - 16.11


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Lo “Stato dei coloni”. Lo “Stato” dell’illegalità e della violenza impunita. Lo “Stato” della “jihad” ebraica. Globalist lo ha documentato con articoli, reportage, interviste. Ora c’è anche la presa di posizione pubblica di importanti organizzazioni ebraiche americane, fra cui le federazioni rabbiniche (ortodossa, reform e conservative) contro le violenze di estremisti ebrei in Cisgiordania.

La lettera al Governo israeliano è firmata da Israel Policy Forum, the Anti-Defamation League, Central Conference of American Rabbis, National Council of Jewish Women, Rabbinical Assembly, Union for Reform Judaism and United Synagogue of Conservative Judaism.

Lettera al Governo d’Israele

“Primo Ministro Naftali Bennett Ministro degli Esteri Yair Lapid Ministro della Difesa Benny Gantz Stato di Israele
Scriviamo per condannare con la massima fermezza il terrorismo e la violenza politica in corso commessi da estremisti ebrei israeliani in Cisgiordania contro palestinesi, civili israeliani e soldati dell’IDF. L’ultimo esempio di estremisti filmati mentre danno fuoco a un’auto e attaccano violentemente palestinesi e attivisti israeliani con bastoni fuori dal villaggio di Burin è particolarmente inquietante, ma non è un incidente isolato. Questa tendenza inquietante non deve essere condannata solo a parole, ma affrontata attraverso un’azione inequivocabile da parte del governo israeliano e dell’apparato di sicurezza. Riconosciamo che questi atti sono perpetrati da un piccolo gruppo di radicali. Riconosciamo anche che questo non è un problema unilaterale e che gli israeliani sono anche vittime di continui e crescenti attacchi da parte dei palestinesi. Ma gli attacchi da parte degli israeliani sono aumentati costantemente e si sono intensificati nell’ultimo anno, e come organizzazioni ebraiche pro-Israele, siamo profondamente preoccupati da queste tendenze e vi chiediamo di affrontarle. Questi attacchi sono un affronto allo stato di diritto di Israele, alla democrazia israeliana e ai valori ebraici, mentre minano l’immagine di Israele e le relazioni con il governo degli Stati Uniti, il popolo americano e gli ebrei americani. Rendono più difficile apprezzare le legittime e continue esigenze di sicurezza di Israele e gli sforzi per risolvere il conflitto israelo-palestinese.
Esortiamo l’intero governo israeliano a unirsi in una forte condanna contro questi atti, a lavorare con decisione per individuare i responsabili, e ad affrontare le crescenti minacce poste da questi estremisti con la determinazione e la serietà che questa grave situazione richiede”. 

Fin qui la lettera. Importante per i toni, i contenuti e per i firmatari. Lettera che fa seguito ad altre importanti prese di posizione pubbliche di rabbini ed esponenti delle diverse organizzazioni ebraiche americane, nel segno di una crescente preoccupazione per l’impunità di cui godono le frange più estreme e violente del movimento dei coloni. Movimento che si fa forte, e scudo, di partiti che fanno parte dell’attuale Governo israeliano guidato da Naftali Bennett, come peraltro dei precedenti presieduti da Benjamin Netanyahu.

Visto da Tel Aviv

Scrive Jack Khoury, storica firma di Haaretz, il quotidiano progressista di Tel Aviv: “Da quando è entrato in carica a giugno, il primo ministro Naftali Bennett ha annunciato in ogni occasione che ‘non ci sarà alcun processo diplomatico con i palestinesi’. L’obiettivo è quello di migliorare la loro situazione socioeconomica, uno sviluppo che secondo lui porterà stabilità e ridurrà la violenza. Non ci sarà nessuna discussione sui diritti nazionali, sui confini, sulla questione di Gerusalemme, e certamente non sul diritto al ritorno.

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Israele continuerà a controllare la terra, lo spazio aereo, le risorse idriche e il registro della popolazione palestinese. Questa è la realtà alla quale i palestinesi – in Cisgiordania e in parte anche nella Striscia di Gaza – devono abituarsi. Chiunque osi resistere la pagherà, ma se i palestinesi si comportano bene, avranno accesso a internet 4G. Se intensificheranno il coordinamento della sicurezza con Israele e manterranno Gaza tranquilla, riceveranno persino una compensazione economica. In breve: mangiate, bevete e state allegri (nelle vostre città) – ma dimenticate i vostri sogni di statualità.

Questo è il modello che la destra in generale e Bennett in particolare vogliono imprimere nell’anima di ogni palestinese, il modello che viene applicato anche alla comunità araba in Israele: sì al denaro e ai diritti civili, no ai diritti nazionali. Questa formula dovrebbe garantire la supremazia di Israele come Stato ebraico e sionista per le generazioni a venire. Ma Bennett e i suoi partner devono capire che la decisione di non rinnovare i negoziati è, come ogni passo unilaterale, anche una politica.

I palestinesi conoscono fin troppo bene questa tesi. È stata considerata già nel 1917, e formulata nella Dichiarazione Balfour come segue: ‘Il governo di Sua Maestà vede con favore l’istituzione in Palestina di una casa nazionale per il popolo ebraico, e … [si sforzerà] di facilitare il raggiungimento di questo obiettivo, essendo chiaramente inteso che nulla sarà fatto che possa pregiudicare i diritti civili e religiosi delle comunità non ebraiche esistenti in Palestina’. Diritti civili e religiosi e niente di più. I governi successivi di Israele hanno semplicemente conservato questa formula, con l’appoggio americano.

Bennett – un vero uomo di destra, ex presidente del Consiglio degli insediamenti di Yesha – non può rompere questa formula, nonostante il fatto che il suo governo includa e dipenda da Meretz e dalla Lista Araba Unita, e che Donald Trump non sia più alla Casa Bianca. Nemmeno lo spostamento dell’opinione pubblica mondiale, compresi gli ebrei d’Europa e degli Stati Uniti, lo farà cambiare.

Il primo ministro può censurare il fatto che il clima d’opinione internazionale non vede più i palestinesi come terroristi vestiti di kaffiyeh che sono una minaccia alla stabilità del mondo illuminato, ma piuttosto come esseri umani che meritano l’autodeterminazione nazionale e i diritti fondamentali. (Non è una coincidenza che il termine ‘apartheid’ permei ogni lezione o conferenza sull’argomento). Trova facile sostenere che il movimento di boicottaggio e la Corte Internazionale di Giustizia non lo spaventano. Dopotutto, niente di tutto ciò turba l’israeliano medio. Ma Bennett e i suoi partner di coalizione ignorano una cosa: i palestinesi vivono ancora sotto occupazione, e la Striscia di Gaza non sta per essere svuotata dei suoi abitanti.

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Bennett, capisci questo – conclude Khoury – Mentre la destra conta i coloni in Cisgiordania e parla di rafforzare l’impresa degli insediamenti oltre la Linea verde, la parte palestinese conta il numero dei palestinesi tra il Mar Mediterraneo e il fiume Giordano, nella speranza che la demografia naturale crei una nuova realtà. Non solo Bennett, ma tutti coloro che cercano di nascondersi dietro di lui saranno partner di questo: Yair Lapid, Benny Gantz, Merav Michaeli e Mansour Abbas. Coloro che seguono la strada spianata da Benjamin Netanyahu racconteranno un giorno ai loro nipoti come hanno contribuito alla creazione di un unico Stato tra il mare e il fiume…”. conclude Khoury.

Quel rapporto  di Hrw

 “Un rapporto pubblicato da Human Rights – scrive Michela Perathoner inviata di Unimondo in Palestina dimostra con chiarezza la discriminazione perpetrata da Israele nei confronti della popolazione palestinese. ‘I bambini palestinesi che vivono in aree sotto controllo israeliano studiano a lume di candela, mentre vedono la luce elettrica attraverso le finestre dei coloni, dichiara a tale proposito Carroll Bogert, vice-direttore esecutivo per le relazioni esterne di Human Rights Watch. 

Il rapporto Separati ed ineguali, ultimo di una serie di documenti pubblicati dall’organizzazione per la tutela dei diritti umani sulla questione palestinese, identifica pratiche discriminatorie nei confronti dei residenti palestinesi rispetto alle politiche che vengono invece promosse per i coloni ebrei. Un sistema di leggi, regole e servizi distinto per i due gruppi che abitano la Cisgiordania: in poche parole, secondo Human Rights Watch le colonie fiorirebbero, mentre i palestinesi, sotto controllo israeliano, vivrebbero non solo separati e in maniera ineguale rispetto ai loro vicini, ma a volte anche vittime di sfratti dalle proprie terre e case. 

 ‘E’ assurdo affermare che privare ragazzini palestinesi dell’accesso all’istruzione, all’acqua o all’elettricità abbia qualcosa a che fare con la sicurezza’, spiega ancora Bogert. Perché il problema, come sempre, è  la sicurezza, e le motivazioni indicate dal Governo israeliano qualora si parli di discriminazioni o trattamenti differenziati tra coloni e palestinesi residenti in Cisgiordania, vi vengono direttamente o indirettamente collegate. 

Il rapporto, insomma, identifica pratiche discriminatorie che non avrebbero ragione di esistere neanche in base a questo genere di motivazioni. Come denunciato da Human Rights Watch, infatti, i palestinesi verrebbero trattati tutti come dei potenziali pericoli per la sicurezza pubblica, senza distinguere tra singoli individui che potrebbero rappresentare una minaccia effettiva e le altre persone appartenenti allo stesso gruppo etnico o nazionale. Atteggiamenti e politiche discriminatorie, insomma. ‘I palestinesi vengono sistematicamente discriminati semplicemente sulla base della loro razza, etnia o origine nazionale, vengono privati di elettricità, acqua, scuole e accesso alle strade, mentre i coloni ebrei che vi abitano affianco godono di tutti questi benefici garantiti dallo Stato’, ha dichiarato Bogert. Il risultato ottenuto dalle politiche discriminatorie di Israele, che secondo Hrw renderebbero le comunità praticamente inabitabili, sarebbe, insomma, quello di forzare i residenti ad abbandonare i loro paesi e villaggi.

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Secondo l’analisi realizzata da Human Rights Watch sia nell’area C che a Gerusalemme Est, la gestione israeliana prevederebbe in entrambe le zone generosi benefici fiscali e di supporto a livello di infrastrutture nei confronti dei coloni ebrei, mentre le condizioni per i locali palestinesi sarebbero tutt’altro che vantaggiose. Carenza di servizi primari, penalizzazione della crescita demografica, esproprio di terre, difficoltà amministrative per l’ottenimento di ogni genere di permessi: vere e proprie violazioni dei diritti umani, in quanto si tratterebbe di discriminazioni effettuate solo ed esclusivamente sulla base di un’appartenenza razziale ed etnica. Tutte misure che, secondo quanto denunciato da Human Rights Watch, avrebbe limitato, negli ultimi anni, l’espansione delle comunità palestinesi e peggiorato le condizioni di vita dei residenti”. 

Così l’inviata di Unimondo.

La denuncia di Save the Children

IL REPORT “IL PERICOLO È LA NOSTRA REALTÀ”

Nel report Il pericolo è la nostra realtà, Save the Children ha raccolto le testimonianze di oltre 400 bambini delle comunità più colpite dal conflitto in Cisgiordania e gli attacchi più comuni segnalati dagli studenti consistono nell’uso di gas lacrimogeni e nelle incursioni militari. 

In particolare, 3 studenti su 4 hanno riferito che le loro scuole sono state attaccate, una percentuale che sale al 93% per i bambini e i ragazzi di Nablus. Tre bambini su 4, inoltre, hanno paura di incontrare militari o colonmentre vanno a scuola e temono di essere insultati o minacciati con gas lacrimogeni o aggressioni fisiche. Uno studente su 4, ancora, non si sente al sicuro quando è a scuola e molti soffrono di ansia e stress che si manifestano attraverso sintomi fisici come tremori incontrollabili e svenimenti oppure perdita di autostima e paura. Quasi un terzo dei bambini ha poi raccontato di avere difficoltà a concentrarsi in classea causa delle situazioni che si trovano ad affrontare quotidianamente e, tra questi, 8 su 10 hanno detto che sullo svolgimento delle loro attività in classe incide fortemente la paura.

Alcuni studenti hanno iniziato a piangere e altri stavano soffocando quando i soldati hanno sparato i gas lacrimogeni. Non riuscivamo a respirare, anche a causa della paura e dell’ansia che provavamo. C’era un odore di gas e ci bruciavano gli occhi. A scuola non eravamo equipaggiati per affrontare una simile esperienza. È stato doloroso e ho avuto molta paura, è la testimonianza di Rima*, 13 anni, che ha ricordato l’attacco contro la sua scuola a Betlemme.

“I soldati hanno attaccato la mia scuola tre o quattro volte l’anno scorso. Hanno gettato lacrimogeni e sparato munizioni vere. Alcuni insegnanti e studenti non riuscivano a respirare, è arrivata l’ambulanza e siamo andati tutti a casa”, ha raccontato Farea*, 12 anni, di Hebron.

Questa è la “normalità” nei Territori occupati. Una “normalità” segnata da una violenza impunita da parte dei miliziani di Eretz Israel. 

(*nomi di fantasia per tutelare l’identità dei bambini intervistati).

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