Così sparano a vista per riportare l’ordine nel “protettorato” di Putin: il Kazakistan
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Così sparano a vista per riportare l’ordine nel “protettorato” di Putin: il Kazakistan

Sono almeno 26 le persone uccise nella repressione delle proteste in Kazakistan da parte delle autorità: il ministero dell'Interno kazako ha diffuso i dati di quella che chiama "un'operazione anti-terrorismo".

Così sparano a vista per riportare l’ordine nel “protettorato” di Putin: il Kazakistan
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7 Gennaio 2022 - 17.10


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Sparare a vista. Per riportare l’ordine nel “protettorato” caucasico di “zar Vladimir”: il Kazakistan.

Sparare a vista

Sono almeno 26 le persone uccise nella repressione delle proteste in Kazakistan da parte delle autorità: il ministero dell’Interno kazako ha diffuso i dati di quella che chiama “un’operazione anti-terrorismo”, e oltre a dare il bilancio dei “criminali armati” uccisi dalle forze kazake, ha reso noto che sono stati arrestati più di tremila “delinquenti” e che 18 persone “armate” sono state ferite. Le autorità nelle scorse ore avevano confermato la morte di almeno 18 agenti delle forze dell’ordine, due dei quali sono stati trovati decapitati, sempre secondo la versione ufficiale. Oltre ad essere “liberate e poste sotto maggiore protezione” tutte le regioni, il ministero ha reso noto che sono stati istituiti “70 posti di blocco”.

Venerdì il presidente kazako Kassym-Jomart Tokayev, ha fatto un discorso trasmesso in diretta dalla televisione nazionale riguardo alle crescenti proteste antigovernative in corso da giorni nel Paese. Tokayev ha usato parole durissime nei confronti dei manifestanti: ha detto di aver ordinato alle forze armate di “sparare per uccidere, senza avvertimenti”, e poi ha aggiunto: “Abbiamo a che fare con banditi armati e ben addestrati, sia locali che stranieri. Più precisamente, con terroristi: dobbiamo distruggerli, e questo sarà fatto molto presto”.

Tokayev ha definito la repressione delle proteste un’operazione di “antiterrorismo” e classificato come una “stupidaggine” gli inviti dei governi stranieri a dialogare coi manifestanti. In uno dei passaggi più duri del suo discorso, ha detto che la lotta contro i militanti “deve essere portata avanti fino alla fine. Chiunque si rifiuti di arrendersi verrà distrutto”. Secondo il presidente, gli scontri sono frutto di un attacco criminale ben organizzato da parte di nemici del Kazakistan che effettuano “attacchi terroristici” e sono “specialisti addestrati al sabotaggio ideologico, che usano abilmente la disinformazione o i “falsi” e sono in grado di manipolare le persone”. Ma il racconto delle migliaia di manifestanti che da giorni sono in strada è assai diverso: “Noi non siamo né delinquenti né terroristi – ha spiegato una donna alla Cnn – l’unica cosa che fiorisce qui è la corruzione”. Ed è della corruzione, dello scarso tenore di vita, della povertà e della disoccupazione che parlano i manifestanti che mercoledì hanno bloccato l’aeroporto di Almaty, hanno fatto irruzione negli edifici governativi e hanno dato fuoco all’ufficio del sindaco.

Mercoledì il capo di Stato kazako ha fatto appello alla Russia e alle altre nazioni alleate dell’Organizzazione del trattato di sicurezza collettiva (Csto) affinché forniscano il loro sostegno. Il blocco comprende anche BielorussiaTagikistan e Armenia. Secondo vari resoconti, le forze straniere giunte nel Paese caucasico ammontano attualmente a 2.500 militari. 

L’agenzia Ria Novosti ha riferito che le truppe rimarranno in Kazakhstan per diversi giorni o settimane, con compiti di peacekeeping e a protezione delle installazioni militari.

Forze russe arrivate nel Paese

Intanto, guidate dai paracadutisti russi, arrivano le avanguardie delle forze dei Paesi del Trattato collettivo di sicurezza (Csto), chiamate in soccorso dal presidente Tokayev, secondo il quale il Paese è vittima di un attacco di gruppi terroristi addestrati e guidati da potenze straniere. Dello stesso avviso Mosca, secondo la quale “formazioni armate organizzate” sono all’opera per “minare la sicurezza e l’integrità” del Kazakistan, finora considerata la più stabile e prospera Repubblica ex sovietica dell’Asia centrale, alleata della Russia ma che negli anni ha attirato enormi investimenti, anche americani ed europei, per sfruttare le sue risorse energetiche.

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Usa: “Sorvegliamo abusi”

Gli Stati Uniti “sorvegliano” per verificare eventuali abusi dei diritti umani da parte delle truppe russe in Kazakhstan. Lo afferma il portavoce del Dipartimento di stato Ned Price. “Gli Stati Uniti e il mondo intero monitorano tutte le eventuali violazioni dei diritti umani – mette in evidenza Price – E sorvegliamo anche eventuali azioni che possano gettare le basi per una presa di controllo delle istituzioni del Kazakhstan”.

Ue: evitare aiuti militari esterni

L’Ue guarda con “grande preoccupazione agli sviluppi” della crisi in Kazakhstan. “I diritti e la sicurezza dei civili devono essere garantiti”. Lo scrive in un tweet l’Alto Rappresentante Ue per la Politica Estera Josep Borrell sottolineando come “gli aiuti militari esterni riportano alla memoria situazioni che vanno evitate”. L’Europa, afferma Borrell, “è pronta a fornire il suo supporto per affrontare la crisi”.

Von der Leyen: stop alla violenza, proteggere i cittadini

“Sto monitorando la situazione in Kazakhstan con molta preoccupazione. I diritti e la sicurezza dei cittadini vanno protetti e sono la cosa più importante” quindi “faccio un appello per la fine della violenza. L’Unione europea è pronta a offrire la sua assistenza dove può essere utile”. Lo ha dichiarato la presidente della Commissione europea, Ursula von der Leyen, nella conferenza stampa con il presidente francese, Emmanuel Macron, a Parigi.

La quarta volta di “zar” Vladimir

Invidi alla moderazione, moniti verbali destinati a non avere seguito.

La storia si ripete. Per Putin, quello in Kazakhstan è il quarto intervento militare in un Paese dell’area ex sovietica in pochi anni: nel 2014 la Russia invase l’Ucraina, nell’agosto del 2020 inviò truppe in Bielorussia   per aiutare il dittatore Alexandr Lukashenko a reprimere le proteste per la democrazia, e nel novembre dello stesso anno le mandò in Armenia con funzione di peacekeeping, per garantire gli accordi di pace raggiunti con l’Azerbaijan  dopo l’ultima guerra nella regione contesa del Nagorno-Karabakh.

Ciascuno di questi interventi militari aveva obiettivi specifici per la Russia; e tutti avevano ottenuto il risultato generale di aumentare di molto l’influenza russa nell’area ex sovietica.

In Kazakhstan, la Russia ha un chiaro interesse nella stabilità del paese, con cui condivide il suo confine più lungo, quasi 8.000 chilometri.

L’intervento in Kazakhstan ha inoltre vari elementi notevoli perché il paese dal momento dell’indipendenza aveva sempre mantenuto una politica estera abbastanza aperta nei confronti dell’Occidente. I rapporti tra Russia e Kazakhstan sono ovviamente molto stretti, come avviene in tutti i paesi ex sovietici: la Russia ha una base militare nel Paese e gestisce la stazione di lancio spaziale di Balkonour; inoltre è il principale partner commerciale del Kazakhstan.

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Nonostante questo, il regime kazako, che governa un Paese ricco di risorse naturali, ha sempre mantenuto buoni rapporti con l’Occidente, ricevendo in cambio vari aiuti allo sviluppo. Lo scorso settembre, in un messaggio inviato a Tokayev, il presidente americano Joe Biden scrisse che «gli Stati Uniti sono orgogliosi di definire il tuo paese un amico». Secondo alcuni analisti, con l’intervento russo l’influenza occidentale rischia di ridursi notevolmente, e quella russa di ampliarsi.

Margarita Simonyan, la direttrice della televisione di stato RT, ha scritto per esempio su Twitter che la Russia deve sì intervenire per aiutare il governo kazako, ma che dovrebbe al tempo stesso stabilire alcune condizioni, come fare del russo la seconda lingua ufficiale e imporre il riconoscimento della Crimea come territorio russo. Non ci sono notizie pubbliche sul fatto che la Russia abbia effettivamente posto condizioni al Kazakhstan in cambio dell’intervento.

Per la Russia dunque l’intervento in Kazakhstan è un’opportunità di rafforzare il suo ruolo, ma anche un rischio.  Come ha rimarcato 

Maxim Suchkov, analista geopolitico dell’università MGIMO di Mosca, se le proteste dovessero degenerare e trasformarsi in uno scontro armato (molti dei manifestanti sono armati, e sono stati saccheggiati negozi di munizioni, come ha scritto Reuters) l’operazione potrebbe diventare molto complicata – e sarebbe la Russia a subire le conseguenze più gravi di un fallimento.

Due contributi per capirne di più.

Il primo è di Anna Zafesova, che il “pianeta russo” ed ex sovietico conosce come pochi altri: ““Ora a Mosca  – scrive su La Stampa – si esulta per l’invio di soldati russi a domare la rivolta, e la responsabile del canale RT Margarita Simonyan, twitta entusiasta le condizioni del ritorno del Kazakhstan all’ovile: ritorno all’alfabeto cirillico e alla russificazione totale, riconoscimento della Crimea annessa dall’Ucraina e politica estera ‘fraterna’. Prende in giro «l’indipendenza ridicola» del Kazakhstan ed estende il monito a «tutti gli altri quattordici», cioè tutti gli Stati ex sovietici, inclusi i tre Baltici ormai entrati nell’Ue. Può essere una provocazione per attirare like, ma espressa dalla influente responsabile della propaganda statale russa esprime un umore di rivalsa presente al Cremlino. Come lo esprime Aleksandr Lukashenko, che ieri ha dichiarato che «il Kazakhstan non si poteva dare via, regalare alla Nato, come l’Ucraina», come se fosse un oggetto. Come lo esprime il deputato putiniano Biysultan Khamzaev, che propone alla Duma un referendum per annettere il Kazakhstan alla Russia, e i social pieni di video dei parà russi che promettono di «fottere i kazaki». È l’esultanza di chi non ha imparato nulla, e se Vladimir Putin considera la fine dell’Urss una «catastrofe geopolitica», per una sua ipotetica rifondazione i propagandisti moscoviti propongono un colonialismo suprematista russo nemmeno più abbellito dall’internazionalismo proletario dei comunisti. Tokaev ha rotto un tabù inviolabile per 30 anni di indipendenza: non chiamare in soccorso i russi. Fu il grande errore di calcolo commesso da Putin nel 2014 nell’Est ucraino, dove gli alleati dell’ex presidente Viktor Yanukovich non hanno accettato le offerte di aiuto del Cremlino, costringendolo a importare i capi dei “ribelli del Donbass” da Mosca. Un semplice calcolo di rischio e beneficio: la storia del Patto di Varsavia, l’unica alleanza militare che ha attaccato soltanto i propri membri, insegna che i tank di Mosca sono poi recalcitranti a tornare a casa, e perfino Lukashenko non li ha (finora) mai invitati. Non è ancora chiaro quale pericolo è stato considerato da Tokaev talmente enorme da firmare una cambiale imperiale con Putin. Però ha appena dimostrato di non avere una presa forte sul proprio Paese, governato da un’élite con legami internazionali “multivettoriali” e abitato da un popolo che non ha manifestato alcuna nostalgia. La propaganda putiniana sogna una nuova Urss, ma ricostruire un nuovo impero con un gruppo di dittatori in preda a una crisi di nervi non sarà facile”.

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Così Zafesova

Sindrome sovietica
Il secondo contributo lo fornisce  Pierre Haski, direttore di France Inter, in un articolo pubblicato in Italia da Internazionale: “Il Kazakhstan è un Paese immenso – cinque volte più grande della Francia, pur con un quarto degli abitanti – ha un sottosuolo molto ricco ed è governato da trent’anni con il pugno di ferro da un solo uomo, il potente Nursultan Nazarbaev, che ha lasciato la presidenza nel 2019 ma ha mantenuto il controllo dello stato guidando il Consiglio nazionale della sicurezza.

Il suo successore, Qasym-Jomart Toqaev, ha promesso riforme politiche che non ha mai avviato, e oggi ne paga il prezzo in termini di malcontento della popolazione. 

Ma allora Perché Putin è intervenuto? Esiste una sindrome che colpisce i governi dei Paesi ex sovietici: la forza della folla che abbatte le statue (il 5 gennaio è toccato a quella di Nazarbaev) finisce solitamente per rovesciare i regimi, come accaduto in Ucraina e in Armenia. Lasciare che questo processo facesse il suo corso in un paese importante come il Kazakhstan avrebbe inviato un pessimo segnale alla popolazione russa. Il 6 gennaio le voci dell’opposizione russa prevedevano di subire un nuovo giro di vite per scongiurare qualsiasi possibilità di contagio della “malattia” che ha colpito il Kazakhstan. 

Ma soprattutto Putin vuole restare il padrone nella “sua” zona d’influenza prima di negoziare con gli Stati Uniti. Il problema è che la sua tesi sulle garanzie di sicurezza risulta indebolita da questo nuovo intervento contro una rivolta: è evidente che sono i popoli ad aver bisogno di sicurezza, non gli autocrati”.

Così il direttore di France Inter.

Intanto, in Kazakhstan la rivolta viene repressa nel sangue. Sotto lo sguardo vigile dei paracadutisti russi. 

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