Egitto, i tanti "Patrick Zaki" ostaggi del presidente-carceriere al-Sisi
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Egitto, i tanti "Patrick Zaki" ostaggi del presidente-carceriere al-Sisi

La tanto a lungo auspicata fine dello stato d’emergenza in vigore dal 2017, è caratterizzata dal proseguimento di decine di processi di difensori dei diritti umani e attivisti

Egitto, i tanti "Patrick Zaki" ostaggi del presidente-carceriere al-Sisi
Repressione in Egitto
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Umberto De Giovannangeli Modifica articolo

13 Dicembre 2021 - 17.03


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Lacrime di gioia. Di chi spera di essere uscito definitivamente da un incubo. “È grazie a tutti voi se sono a casa”, ha detto un commosso Patrick Zaki in collegamento, ieri sera, con “Che tempo che fa” su Rai 3. Lo studente egiziano dell’Università di Bologna, che ha passato 22 mesi in carcere prima di essere rilasciato da un commissariato di Mansura, ha proseguito: “Adesso sto proprio bene, sto cercando di capire che mi è successo ma mi sembra di essere in un sogno, grazie a quello che tutti voi e il vostro programma ha fatto per me”. “Quando sono stato in grado di guardare la strada, uscire dalla stazione, quando mi hanno tolto le manette… ero molto confuso. Quando siamo saliti in macchina mi sono detto ‘ma cosa sta succedendo? ma davvero mi hanno lasciato libero?'”.

“Credevo nella mia innocenza, ho cercato di virarla a mio favore”, ha detto Zaki aggiungendo che è stato aiutato “dall’amore di tutti, della mia famiglia, dell’Italia, di tutti i miei bolognesi che mi hanno aiutato”, ha aggiunto. E poi: “Quello che so di sicuro è che per ora non ho nessun divieto di viaggiare. Voglio essere a Bologna, che è un sogno se ci potessi arrivare. Spero di farcela”. “Ho passato tempo con la mia famiglia, con i giornalisti… sono davvero grato di tutto quello che è stato fatto per me”. “Vorrei ritornare molto presto. Continuo a pensare al mio futuro, a Bologna. Vorrei davvero completare i miei studi là”. “Voglio vivere a Bologna, voglio sentire quel calore meraviglioso che mi ha riservato. Voglio fare qualcosa per questa città che mi ha sostenuto in tutti questi mesi”. “Poiché l’udienza non è stata ancora tenuta non riesco a lasciare il Paese ma di sicuro per il momento non ho nessun divieto di viaggiare, vorrei essere a Bologna anche domani”, ha sottolineato. “Non so cosa accadrà all’udienza del processo tengo le dita incrociate, spero che mi succeda una bella cosa: non faccio altro che pensare di tornare a Bologna e rivedere i miei amici”. 

“La cosa che mi ha permesso di andare avanti è stata ogni piccolo passo, ogni cosa… ho cercato di virarla a mio favore, soprattutto chiunque si sia interessato a me, l’amore della mia famiglia, amici, di tutti i miei bolognesi”, ha sottolineato Zaki.  “Per me davvero un grandissimo onore essere citato da una persona come Liliana Segre, che ha una visione incredibile. Avrò il grandissimo piacere se potrò di incontrarla. È stata di grande ispirazione. Grazie ancora per ciò che ha fatto e detto su di me”, ha concluso il giovane. 

La vicenda

Patrick Zaki stava frequentando un master in Studi di Genere e delle Donne presso l’Università di Bologna quando, il 7  febbraio del 2020, era stato arrestato in aeroporto al suo arrivo in Egitto, dove contava di trascorrere un breve periodo di vacanza con la famiglia. Immediatamente dopo l’arresto, aveva raccontato il suo avvocato, , era stato torturato: dopo essere stato bendato, era stato portato a Mansura, la sua città natale, dove era stato picchiato, spogliato, sottoposto a scosse elettriche sulla schiena e sull’addome, oltre che abusato verbalmente e minacciato di stupro.

Nei mesi successivi, era stato trasferito dal carcere di Mansura alla prigione di Tora, al Cairo, nota per ospitare i prigionieri politici, ed era stato detenuto in condizioni dure e degradanti. Per molti mesi gli era stata negata la possibilità di comunicare con l’esterno e di ricevere visite dalla famiglia (ufficialmente a causa dell’emergenza coronavirus) e c’erano stati gravi polemiche sul fatto che le autorità egiziane gli stessero negando le necessarie cure mediche (Zaki soffre di asma).

All’inizio del processo, a settembre, sembrava che le accuse più gravi contro Zaki, per “istigazione a commettere atti di violenza e terrorismo” e “appello al rovesciamento dello stato”, per le quali sono previste pene fino a 25 anni di carcere, fossero state fatte cadere. Nella seconda udienza, tenuta a fine settembre, i legali di Zaki avevano però detto che erano state riconfermate entrambe le accuse. Per il momento non ci sono informazioni certe e confermate al riguardo.

La tanto a lungo auspicata fine dello stato d’emergenza in vigore dal 2017, annunciata dal presidente egiziano Abdel Fattah al-Sisi il 25 ottobreè caratterizzata dal proseguimento di decine di processi di difensori dei diritti umani, attivisti, esponenti politici di opposizione e manifestanti pacifici presso i tribunali d’emergenza per la sicurezza dello stato, le cui procedure sono profondamente inique. Lo ha dichiarato Amnesty International alla vigilia della nuova udienza del processo che vede imputati di fronte a uno di questi tribunali il blogger e attivista Alaa Abdel Fattah, il bloggerMohamed “Oxygen” Ibrahime l’avvocato e direttore del Centro Adalah per i diritti e le libertà Mohamed Baker con l’accusa, politicamente motivata, di aver “diffuso informazioni false per minacciare la sicurezza nazionale” sui loro social media.I tre imputati hanno trascorso oltre due anni in detenzione preventiva in condizioni terribili, privati di contatti regolari con le loro famiglie e del diritto di avere colloqui privati con i loro avvocati. “La buona notizia della fine dello stato d’emergenza è che non potranno più essere assegnati nuovi casi ai tribunali d’emergenza. Ma i processi in corso, aumentati negli ultimi tre mesi col rinvio a giudizio di una ventina di attivisti, esponenti politici di opposizione e difensori dei diritti umani, continueranno”, ha dichiarato Philip Luther, direttore delle ricerche sul Medio Oriente e sull’Africa del Nord di Amnesty International.

“Se volessero affrontare davvero la crisi dei diritti umani in corso, le autorità egiziane dovrebbero rilasciare immediatamente e senza condizioni tutti coloro che sono sotto processo presso i tribunali d’emergenza per aver esercitato pacificamente i loro diritti umani. Questi tribunali dovrebbero cessare di funzionare del tutto, dato che le loro procedure violano i più elementari standard sui processi equi, compreso il diritto degli imputati ad appellarsi a un tribunale di grado superiore in caso di condanna”, ha aggiunto Luther.

Dettagli sui processi in corso presso i tribunali d’emergenza

Alaa Abdel Fattah e Mohamed Baker sono imputati di “diffusione di notizie false”per aver criticato le autorità circa il trattamento dei detenuti e per alcuni decessi in custodia avvenuti in circostanze sospette; Mohamed “Oxygen” Ibrahim, inveceper aver denunciato sui social media il mancato rispetto dei diritti sociali ed economici da parte del governo. I loro scritti non hanno in alcun modo incitato alla violenza e all’odio e sono dunque protetti dalla costituzione egiziana e dagli obblighi internazionali in materia di libertà d’espressione.

Alaa Abdel Fattah è stato arrestato il 29 settembre 2019 così come Mohamed Baker, suo avvocato, proprio mentre si era recato a incontrare il suo cliente in un ufficio della procura. In occasione del loro trasferimento in carcere, nel mese di ottobre, Alaa Abdel Fattah è stato bendato, denudato, preso a calci e a pugni e, insieme a Mohamed Baker, sottoposto a insulti e minacce. La procura non ha disposto indagini.

Mohamed “Oxygen” Ibrahm è stato arrestato il 21 settembre 2019.

Il 19 novembre 2020 un tribunale del Cairo ha arbitrariamente aggiunto Alaa Abdel Fattah e Mohamed Baker alla “lista dei terroristi” per cinque anni. A seguito di questa decisione, per quel periodo di tempo sarà loro vietato viaggiare all’estero o prendere parte ad attività politiche e civili.

Alaa Abdel Fattah, Mohamed “Oxygen” Ibrahim e Mohamed Baker sono detenuti nella prigione di massima sicurezza Tora 2in condizioni punitive che violano il divieto assoluto di torture e altri maltrattamenti.

A differenza di altri detenuti, Alaa Abdel Fattah e Mohamed Baker sono confinati in celle piccole e scarsamente ventilate, non possono svolgere esercizi fisici, accedere ad aria fresca e leggere qualsiasi tipo di materiale. Dormono sul pavimento, senza letti né materassi, e soffrono di dolori alla schiena. Hanno denunciato questi trattamenti come violazione dei diritti di prigionieri ai sensi della legislazione egiziana sulle prigioni, ma i loro ricorsi stati ignorati così come le richieste di essere vaccinati contro il Covid-19. Non vengono loro forniti gel disinfettanti e mascherine nonostante si trovino in celle sovraffollate.

Le conseguenze sulla loro salute mentale sono devastanti.Ad agosto Mohamed “Oxygen” Ibrahim ha tentato il suicidio dopo mesi in cui gli era stato impedito di incontrare i familiari e di nominare un avvocato. A settembre Alaa Abdel Fattah ha espresso intenzioni suicide e continua a non avere corrispondenza regolare con i suoi familiari.

Oltre a questi tre processi, Amnesty International ha ricostruito altri 143 procedimenti assegnati ai tribunali d’emergenza dal 2017, compresi quelli derivanti unicamente dal pacifico esercizio dei diritti alla libertà di riunione e d’espressione.

Tra gli imputati attualmente sotto processovi sono il difensore dei diritti umani e studente presso l’Università di BolognaPatrick George Zaki, l’ex parlamentare e avvocato per i diritti umani Zyad el-Elaimy, i giornalisti Hisham Fouad e Gossam Moanis, il difensore dei diritti umani Ezzat Ghoniem, l’avvocata per i diritti umani Hoda Abdelmoniem, l’ex candidato alle presidenziali del partito “Masr al-Qawita” Abdelmoniem Aboulfotoh e il vicepresidente di questo partito, Mohamed al-Kassas. Prima del rinvio a giudizio, sono stati in detenzione preventiva per accuse di terrorismo per quasi due anni e in alcuni casi anche oltre quello che è il massimo previsto dalla procedura egiziana.

Il 22 giugno un tribunale d’emergenza aveva condannato a quattro anni di carcere, al termine di un processo clamorosamente iniquo, lo studente dell’Università centrale europea di Vienna Ahmed Samir Santawy per “diffusione di notizie false”, a causa di post pubblicati sui social media.

Oltre all’impossibilità di ricorrere in appello a un tribunale di grado superiore, le procedure dei tribunali d’emergenza non riconoscono i diritti a un periodo di tempo adeguato per preparare la difesa, a comunicare coi propri avvocati difensori e a un’udienza pubblica. Alaa Abdel Fattah e Mohamed Baker non hanno colloqui privati coi loro legali dal mese di maggio.

Inoltre, i giudici dei tribunali d’emergenza respingono abitualmente le richieste degli avvocati di fotocopiare i fascicoli, che in alcuni casi sono di oltre 2000 pagine, imponendo loro di esaminarli durante le udienze. I procuratori e i giudici non forniscono copie dei capi d’accusa agli imputati e ai loro avvocati, compromettendo il diritto di essere informati sull’esatta natura e sulle ragioni delle imputazioni mosse contro di loro.

Fin qui Amnesty

La vera vittoria per gli oppositori del regime sarebbe stata la cancellazione dei reati previsti dalla legge sul terrorismo, il passaggio decisivo. Come ricordato da Gamal Eid, la detenzione per i detenuti in attesa di giudizio non cambia, sia a livello processuale che formale. Inoltre, non è prevista alcuna novità sul giro di vite nei confronti dell’informazione e della censura verso giornali, siti e tv ostili al regime, sul sistema di spionaggio e di svuotamento dei diritti degli arrestati: “Certo questo è un segnale che va colto con ottimismo – spiega un portavoce di Ecrf, la ong che dal 2016 segue la famiglia di Giulio Regeni -, ma da solo non serve a nulla. Assieme ai colleghi delle altre organizzazioni abbiamo inviato una lista di 7 richieste al governo egiziano per pacificare davvero il Paese. Per ora, con la revoca dello stato d’emergenza siamo fermi a una. È chiaro che non ci basta”.

Ed eccole le richieste presentate dal ‘cartello’ di Ong egiziane, l’altro nemico del regime assieme alla Fratellanza Musulmana: “Liberare tutti i prigionieri politici – precisa un documento inviato da Afte, l’organizzazione che legalmente sta seguendo il caso di Ahmed Samir Santawi, quasi identico a quello di Patrick Zaki -, fermare i rinnovi periodici delle detenzioni e revocare l’azione criminale dello Stato verso la società civile, oltre a sbloccare la censura nei confronti dei mezzi di informazione ostili al regime, imbavagliati in questi anni”.

Repressione infinita

La comunità egiziana per i diritti umani sta soffrendo un “annientamento” da parte del governo del presidente Abdel Fattah al-Sisi: più di 100 importanti organizzazioni per i diritti umani di tutto il mondo lanciano l’allarme in una lettera ai ministri degli Esteri dei Paesi membri del Consiglio per i diritti umani delle Nazioni Unite.  

“I governi del Consiglio per i diritti umani delle Nazioni Unite dovrebbero dichiarare al governo egiziano che gli abusi sono e saranno monitorati e segnalati e che gli egiziani che con coraggio affrontano l’oppressione quotidianamente non sono soli nella loro lotta”, afferma John Fisher, Direttore di Ginevra dell’Human Rights Watch.

Dieci anni dopo la rivolta nazionale egiziana del 2011 che ha destituito il presidente Hosni Mubarak, gli egiziani vivono sotto un governo repressivo che soffoca ogni forma di dissenso e di espressione pacifica. “Solo attraverso un’azione internazionale sostenuta e impegnata possiamo garantire la sopravvivenza del movimento egiziano per i diritti umani nel prossimo futuro”, scrivono i gruppi nella loro lettera.

Forse Patrick Zaki è uscito dall’inferno. Ma quell’inferno imprigiona decine di migliaia di “Zaki”. Non dimentichiamolo mai. 

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