La Fondazione Med-Or e Leonardo donano al Niger 50 concentratori di ossigeno per...
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La Fondazione Med-Or e Leonardo donano al Niger 50 concentratori di ossigeno per...

“Sul Sahel pesanti effetti non solo sanitari, ma anche economico-sociali della pandemia" ha detto Marco Minniti

La Fondazione Med-Or e Leonardo hanno donato cinquanta concentratori di ossigeno alla Repubblica del Niger
La Fondazione Med-Or e Leonardo hanno donato cinquanta concentratori di ossigeno alla Repubblica del Niger
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29 Ottobre 2021 - 12.44


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La Fondazione Med-Or e Leonardo hanno donato cinquanta concentratori di ossigeno alla Repubblica del Niger.
La cerimonia si è tenuta presso la sede della Fondazione a Roma, alla presenza del Ministro di Stato alla Presidenza della Repubblica del Niger Rhissa Ag Boula, del Consigliere del Presidente della Repubblica Salim Mokaddem, dell’Amministratore Delegato di Leonardo Alessandro Profumo, cui hanno dato il benvenuto Marco Minniti, Presidente di Med-Or, e Letizia Colucci, Direttrice Generale della Fondazione.
Nello specifico, i cinquanta concentratori di ossigeno saranno destinati ad alcune strutture sanitarie presenti nel Paese impegnate nell’assistenza a malati di Covid-19.
“Il Sahel è una regione particolarmente colpita dalla pandemia da Covid-19, non solo per i suoi effetti sanitari, ma anche per quelli di natura economica e sociale – ha affermato Marco Minniti, Presidente della Fondazione Med-Or –. Confidiamo che questa nostra iniziativa di solidarietà verso la Repubblica del Niger, un Paese centrale nel Sahel e in tutta l’Africa Sub-sahariana, possa rappresentare un utile contributo alla lotta contro la pandemia. Si tratta per noi di un’azione orientata a perseguire le finalità della nostra Fondazione, sviluppando forme di cooperazione e dialogo con i Paesi del Mediterraneo allargato e dell’Africa. In particolare – ha spiegato Minniti – il tema della sicurezza sanitaria è certamente oggi, ma lo sarà sempre di più in futuro, un tema fondamentale in tutta la regione su cui è indispensabile rafforzare iniziative di collaborazione internazionale”.
“C’è un convitato di pietra al G20 che domani, formalmente, si aprirà a Roma: l’Africa. Un pezzo importante, cruciale, delle questioni che i grandi del mondo affronteranno si gioca lì. In quel continente. Ma del G20 fa parte un solo paese africano, il Sud Africa” scrive l’ex ministro su Repubblica, sottolineando come “bene abbia fatto l’Italia a invitare l’Unione Africana”, una “scelta importante che rivela, insieme, consapevolezza e sensibilità”. “Il mondo – scrive Minniti – non uscirà mai dalla pandemia se non lo farà insieme con l’Africa. Condividendo cura e prevenzione. Superando, così, ogni miope egoismo sulla condivisione e fruizione dei vaccini”. Minniti indica “due parole chiave: sicurezza, intesa nel senso più ampio del termine, e prosperità economica”. Nelle ultime settimane, rileva, “in Africa nulla è rimasto fermo” e “dopo la Libia e la Repubblica Centroafricana i contractor russi della Wagner possono arrivare a Bamako, in Mali”. “Evocati dalla giunta militare di quel Paese. Ultima espressione di un colpo di stato dentro un colpo di stato – osserva – Nel cuore del Sahel, prima linea nella lotta contro le varianti autoctone di Al Qaida e Islamic State. Con una importantissima missione militare europea sempre più immersa in uno scenario in cui il Niger appare il solo caposaldo, insieme, di sicurezza e democrazia”. Minniti segnala il colpo di stato in Sudan “guidato dall’ala militare del presidente Burhan” che “ha spezzato il tentativo, forse, più importante in Africa di un difficile equilibrio istituzionale tra militari, milizie e rappresentanze politiche della società civile” e sottolinea come “gli sviluppi rafforzino i legami tra Khartoum e il Cairo, alleanza chiave non solo per la Libia ma anche nella delicatissima questione della Gerd, la grande diga sul Nilo azzurro”.
E il Corno d’Africa, “la sanguinosa guerra civile tra i ribelli del Tigrai e l’Etiopia che sta drammaticamente segnando il destino politico e personale di Ahmed Abiy, soltanto due anni fa premio Nobel per la pace e oggi, anche con il decisivo supporto dei droni turchi, protagonista di un conflitto per reprimere una rottura secessionista che si è rivelata più forte del previsto”. Una “sequenza di scosse sismiche difficilmente controllabili che, in combinato disposto con gli effetti dei cambiamenti climatici, possono generare una drammatica crisi umanitaria alle porte dell’Europa”, prosegue, evidenziando “uno strano paradosso” perché “i due Paesi, la Russia e la Cina, i cui leader salvo ripensamenti dell’ultima ora non saranno presenti a Roma hanno, tuttavia, sviluppato negli anni e nei mesi passati forse il più organico tentativo di una politica verso l’Africa”.
“Un obiettivo storico-strategico della Cina. Con un occhio ai metalli delle terre rare (Rees) – continua – La Russia dal Nord Africa al Corno d’Africa persegue un disegno antico, in qualche modo imperiale. L’approdo prima nel Mediterraneo, già realizzato e oggi da consolidare. E poi nel Mar Rosso. L’accesso ai mari caldi a sud di Suez e nell’oceano Indiano. Questo, tutto da realizzare. Ma che, tuttavia, ha prodotto nelle scorse settimane una ripresa di interlocuzione tra Emirati Arabi Uniti e Qatar”. Infine, “la Turchia di Erdogan, presente a Roma, che dall’intervento in Libia in poi sta modellando un suo autonomo approccio a vari quadranti africani. Secondo un modello di relazioni con la Russia che, abusando un pò di Cartesio, potremmo definire di ‘Discordia Concors’. Così come già sperimentato in Siria”. E l’Europa? “Non ha ancora una visione comune verso un continente sempre più strategico per il suo futuro – conclude – Tuttavia il G20, presieduto da un grande Paese europeo, può essere un’occasione per agire insieme su un grande obiettivo: l’Africa. Da convitato di pietra a protagonista. Sarebbe un bene per l’Europa e l’intero pianeta”.

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