Migranti tra Sahel e Canarie: le rotte della morte si moltiplicano
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Migranti tra Sahel e Canarie: le rotte della morte si moltiplicano

Le rotte dimenticate. Le rotte della morte. La denuncia arriva da Caminando Fronteras, una ong specializzata in migrazioni sulla rotta Africa-Isole Canarie

Migranti alle Canarie
Migranti alle Canarie
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Umberto De Giovannangeli Modifica articolo

7 Agosto 2021 - 10.49


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Le rotte dimenticate. Le rotte della morte. La denuncia arriva da Caminando Fronteras, una ong specializzata in migrazioni sulla rotta Africa-Isole Canarie: un naufragio con decine di morti e dispersi avvenuto martedì nei pressi della costa di Dakhla, nel Sahara Occidentale.

L’ennesima tragedia del madre. Secondo la ong, mancano all’appello 42 persone, tra cui 30 donne e 8 minori; mentre alcuni pescatori, come riporta anche il sito di notizie locali Dakhlanews.com, hanno tratto in salvo 10 persone prima che intervenisse la marina marocchina. Dakhlanews riporta che giovedì sono stati ritrovati su una spiaggia 12 corpi che potrebbero essere di migranti deceduti in questa tragedia. Helena Maleno, attivista nota in Spagna e portavoce di Caminando Fronteras, ha spiegato all’Ansa che la sua organizzazione ha rintracciato i sopravvissuti:attraverso le loro testimonianze; in particolare quella di una donna che ha perso due figli; è stato possibile ricostruire la dinamica del naufragio e quante persone mancavano, ha aggiunto. L’imbarcazione su cui viaggiavano sarebbe stata ribaltata da un’onda.    Le autorità marocchine e spagnole al momento non hanno confermato in via ufficiale i fatti riportati. “Si tratta di una zona di conflitto, molti dei naufragi che avvengono lì non sono riportati”, ha affermato Maleno. Il servizio di soccorso marittimo spagnolo ha attivato le ricerche di un’altra imbarcazione con migranti, che, secondo le segnalazioni ricevute, sarebbe salpata dalla stessa zona del Sahara Occidentale lunedì. 

Porti aperti, navi alla ricerca

Da una parta la Sea Watch che ha ricevuto l’indicazione di un porto sicuro in cui far sbarcare i migranti a bordo, dall’altra la Ocean Viking che chiede di avere notizie dalle autorità italiane per poter approdare in un porto con tutte le persone a bordo. Particolarmente complicata proprio la situazione sulla Ocean Viking, che non ha ancora ricevuto indicazioni: a bordo dell’imbarcazione ci sono 550 persone. “5 giorni fa, le nostre squadre hanno salvato questo bambino di 3 mesi. È tra i sopravvissuti attualmente a bordo di Ocean Viking – raccontano su Twitter postando anche una foto del piccolo – siamo ancora in attesa di un luogo sicuro per sbarcare le persone salvate in 6 operazioni di soccorso. Finora non abbiamo ricevuto alcuna istruzione”.

La situazione a bordo della Ocean Viking

Sempre dalla Ocean Viking viene raccontata la situazione a bordo: “Dopo una notte difficile fra onde alte e mal di mare, Ocean Viking non ha ancora ricevuto alcuna indicazione su dove e quando sbarcare. Le condizioni dei sopravvissuti peggiorano di ora in ora: ferite infette, dolore generale, mal di testa e debolezza aumentano”. Ancora: “Il mal di mare porta alla perdita di liquidi e all’inappetenza. Le donne incinte si indeboliscono ogni giorno di più. Quasi tutti i bambini soffrono di dolori addominali, vomito e perdita di appetito. Tutti i sopravvissuti devono sbarcare urgentemente in un luogo sicuro”. La richiesta di un porto sicuro era già stata avanzata con urgenza nelle ore precedenti: “La situazione a bordo continua ad aggravarsi. Con il meteo in peggioramento, temiamo per la salute delle persone salvate nei giorni scorsi”.

Sea Watch fa rotta verso Trapani per sbarco migranti

Altra situazione è quella della Sea Watch 3, che ora è in viaggio verso Trapani, “il porto sicuro che ci è stato finalmente assegnato”. Sempre su Twitter anche la Sea Watch: “Dopo una notte particolarmente dura a bordo, anche a causa delle condizioni del mare, le 257 persone che abbiamo soccorso sono felici di sapere che potranno presto sbarcare”. Precedentemente la stessa Ong aveva inviato una segnalazione al tribunale di Catania “per notificare la presenza di oltre 70 minori a bordo di Sea Watch 3, la maggior parte non accompagnati. Le condizioni meteo si deteriorano insieme a quelle dei 257 naufraghi. Sono disidratati, feriti, traumatizzati”.

Sahel, tragedia dimenticata

In occasione della Giornata mondiale contro la tratta di esseri umani, l’Unhcr, l’Agenzia Onu per i Rifugiati, in una nota ufficiale aveva rilevato come “vi siano lacune potenzialmente letali nell’assistenza alle vittime di tratta e ad altre persone vulnerabili bisognose di protezione, lungo diverse rotte che attraversano il Sahel e l’Africa orientale.
Migliaia di persone in fuga da persecuzioni, conflitti armati, violenze e povertà, ogni anno subiscono abusi terribili nel corso del viaggio attraverso Sahel e Africa orientale per raggiungere l’Africa settentrionale, secondo il rapporto  pubblicato da Unhcr e MMC nel 2020. I sopravvissuti riferiscono di abusi sessuali e stupri, rapimenti a scopo d’estorsione, persone lasciate morire nel deserto, e oggetto di torture fisiche e psicologiche.
Grazie al sostegno dei donatori, Unhcr e le organizzazioni partner hanno intensificato gli sforzi volti a individuare le persone bisognose e ad aiutarle a accedere alle procedure di asilo e ad altri meccanismi per mettersi in salvo. Eppure, un nuovo rapporto di mappatura redatto dall’Unhcr mostra come i servizi fondamentali per assicurare protezione alle persone vulnerabili in transito siano ancora tristemente insufficienti.
Nella maggior parte dei Paesi, il sostegno legale è quasi inesistente e si registra una grave carenza di opportunità di accedere ad alloggi sicuri, servizi di salute mentale e sostegno psicosociale, e assistenza medica. Le vittime di tratta, in pratica, non hanno nessuno a cui potersi rivolgere per ricevere assistenza di base, e tanto meno specialistica, lungo tali rotte.
“Quando questi servizi non esistono, un viaggio intrinsecamente pericoloso alla ricerca di sicurezza od opportunità può trasformarsi in una lotta infernale per la mera sopravvivenza”, dichiara Vincent Cochetel, Inviato Speciale dell’Unhcr per il Mediterraneo occidentale e centrale. “È necessario fare di più, collettivamente, per porre fine a questi abusi e incrementare il numero di servizi lungo queste rotte per le persone che necessitano di accedere alle procedure di asilo”.
Tra alcune delle aree geografiche in cui i servizi di protezione sono particolarmente limitati, e in cui sono presenti pochi attori umanitari, vi sono le remote regioni di frontiera di Mali, Niger e Sudan, lungo il limitare del Sahara. Tra quanti sono esposti a rischio maggiore, che potrebbero essere portatori di esigenze di protezione particolari, vi sono minori separati e non accompagnati, donne, anziani e persone LGBTIQ+ che necessitano di un rifugio.
“È necessario assicurare con urgenza più fondi e a più lungo termine da destinare ai servizi di protezione, affinché si possano salvare vite umane e alleviare le sofferenze delle persone sopravvissute”, rimarca Cochetel. “Tale necessità diventerà probabilmente ancora più importante, se i conflitti in corso o quelli intensificatisi recentemente nella regione – dall’Etiopia al Burkina Faso – continueranno a costringere le persone a fuggire”.
La maggior parte delle persone in fuga resta in aree vicine alla propria terra di provenienza. Secondo statistiche raccolte dall’Unhcr su scala mondiale, il 73 per cento di queste resta nella regione di origine. Sono oltre 3 milioni i rifugiati e sfollati interni che cercano protezione nel solo Sahel. Tuttavia, l’assenza di servizi lungo le rotte percorse può innescare pericolose prosecuzioni dei viaggi.
L’Unhcr chiede di profondere sforzi duraturi per far fronte alle cause alla radice delle migrazioni forzate. L’Agenzia, inoltre, rivolge un appello affinché sia ampliata l’offerta di canali d’ingresso sicuri e regolari a favore dei rifugiati, fondamentali per assicurare alternative percorribili rispetto al rischio di ricorrere alle reti del traffico e della tratta.
“La collaborazione con le organizzazioni locali e con le comunità della diaspora è parimenti essenziale, dal momento che apportano le proprie conoscenze del territorio e spesso la capacità unica di instaurare rapporti di fiducia con sopravvissuti, autorità e comunità”, aggiunge  Cochetel.
Apocalisse umanitaria

Sono 29 milioni le persone in bisogno di assistenza umanitaria nella regione del Sahel. I sei paesi che si affacciano sul deserto del Sahara sono di fronte ad una situazione di insicurezza “senza precedenti”, oltre ad una crisi alimentare imperante. L’avvertimento è giunto dalle Nazioni Unite e dalle ong presenti sul territorio.

In una dichiarazione del 27 aprile, i firmatari hanno affermato che ai numeri già impietosi dello scorso anno, si aggiungono altre cinque milioni di persone in Burkina Faso, Camerun settentrionale, Ciad, Mali, Niger e Nigeria nord-orientale.

 “Il conflitto nel Sahel si sta ampliando, divenendo più complesso e coinvolgendo sempre più attori armati”, le parole di Xavier Creach, coordinatore per il Sahel dell’Agenzia delle Nazioni Unite per i rifugiati (Unhcr) e vicedirettore per l’Africa occidentale e centrale. “I civili finiscono per pagare il prezzo più alto. Di fronte alle violenze, alle estorsioni o alle intimidazioni sono spesso costretti a fuggire lasciando la propria terra”.

La dichiarazione, firmata anche dal Consiglio norvegese per i rifugiati e dalla ong Plan international, afferma che circa 5,3 milioni di persone sono sfollate e necessitano di protezione. La violenza ha portato alla chiusura di migliaia di scuole in tutta la regione, mentre si prevede che circa 1,6 milioni di bambini soffriranno di malnutrizione acuta grave.

“Abbiamo visto la fame aumentare di quasi un terzo in Africa occidentale”, ha affermato Chris Nikoi, direttore regionale del Programma alimentare mondiale delle Nazioni Unite.

I firmatari hanno chiesto maggiori finanziamenti per affrontare il deterioramento della situazione umanitaria. “Dietro i numeri e i dati, ci sono storie di sofferenza umana”, ha affermato Julie Belanger, direttrice regionale dell’Ufficio delle Nazioni Unite per il coordinamento degli affari umanitari. “Senza risorse sufficienti, la crisi si intensificherà ulteriormente, erodendo la resilienza delle comunità e mettendo a rischio altri milioni di bambini, donne e uomini”, ha concluso.

Mix esplosivo

Luca Raineri ricercatore presso la Scuola Superiore Sant’Anna di Pisa, ha svolto diverse ricerche sul campo per lo più nel Sahel, in Mali, in Niger e nel Senegal. Questa la sua riflessione: “L’industria del traffico di esseri umani contribuisce all’aumento del reddito del Niger e alla stabilità del suo attuale Governo. Ad esempio, si dice che le società di autobus – che sono strettamente legate al contrabbando di esseri umani – appoggino l’attuale governo. Così, qualora quest’ultimo volesse interrompere tale traffico, queste persone – che sono molto potenti e rappresentano, forse, la fonte di economia più importante del Paese, indirizzerebbero altrove il loro sostegno, il che comprometterebbe la stabilità del regime. Inoltre, coloro che guidano le auto, i pullman e i furgoni con a bordo i migranti attraverso la città di Agadez, alle porte del Sahara, sono spesso anche le stesse persone che alcuni anni prima prendevano parte a insurrezioni e rivolte. Pertanto, si capisce come il Governo non abbia intenzione di lasciare questi individui senza lavoro, nonostante non svolgano la loro attività in modo legale. Il terzo elemento – prosegue Raineri – che vale la pena sottolineare è che anche l’esercito, approfittando dell’industria del traffico umano, sta facendo tanti soldi. Un esempio di questo fiorente mercato è dato dall’applicazione di una tassa che viene fatta pagare a tutti coloro che passano sulle principali rotte di contrabbando nel Paese. Il Niger, in realtà, è una nazione in cui hanno avuto luogo diversi colpi di Stato, cinque o forse di più, e tutti hanno provocato il rovesciamento dei precedenti regimi. Da questo si può capire quanto sia fondamentale la stabilità dei poteri al fine di assicurare la tranquillità del sistema di sicurezza. Ed è dunque, forse, questo il motivo per cui coloro che sono al potere vedano il perpetrarsi di tale istigazione sistematica alla corruzione o ad attività di traffico, a scapito dei migranti, come una sorta di male minore rispetto a un’eventuale destabilizzazione del Paese...”.

Nel Mediterraneo le “rotte della morte”, si moltiplicano. Come i disperati che fuggono da conflitti, pulizie etniche, stupri di massa, lager, torture, disastri ambientali, sfruttamento disumano, povertà assoluta. E l’Europa sta a guardare. Silente quando non complice dei “gendarmi” del mare, aguzzini in divisa. 

 

 

 

 

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