Il racconto degli ex militari afghani: "Così ci siamo sentiti venduti e ci siamo arresi ai talebani"
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Il racconto degli ex militari afghani: "Così ci siamo sentiti venduti e ci siamo arresi ai talebani"

Il quotidiano spagnolo "El Pais" ha incontrato alcuni membri dell'esercito che hanno spiegato il crollo di fronte all'avanzata talebana.

Esercito afghano prima dell'arrivo dei talebani
Esercito afghano prima dell'arrivo dei talebani
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3 Ottobre 2021 - 18.12


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Il drammatico racconto dei militari dell’esercito afghano durante i giorni della caduta di Kabul.
Il morale crollato dopo l’annuncio della partenza dei soldati americani; l’impressione di essere stati “venduti” dei loro leader; le suppliche, accolte dai Talebani, di avere salva la vita in cambio della resa delle armi; la sensazione di aver dato al nemico “le chiavi della macchina”: queste le storie raccontate dai soldati afghani sopravvissuti al passaggio dal vecchio al nuovo Afghanistan governato dagli Studenti del Corano, raccolte dal quotidiano El Pais.
“Consegniamo le nostre armi e ci arrendiamo con i nostri compagni morti e feriti”, ha dichiarato ai miliziani islamici vincitori un ex membro della Nds , il braccio militare dell’intelligence afghana: l’organismo incaricato delle operazioni più rischiose, con le lacrime agli occhi.
La sua resa è avvenuta a Ghazni un paio di giorni prima della presa di Kabul da parte dei talebani il 15 agosto.
Protagonista è Mohsin, magazziniere di 27 anni con gli occhi chiari, che al cronista spagnolo mostra imbarazzo nel racconto. Con l’orgoglio ferito ma la vita salva, ha attraversato per mesi l’Afghanistan verso casa, situata nella provincia di Parwan, con la vecchia uniforme appallottolata in una busta di plastica.
Di cinque cinque ex militari – di grado, mansione e provenienza diversi – intervistati dal giornale spagnolo, uno in agosto riuscì a riparare in Pakistan: “Il nostro morale quando gli Stati Uniti hanno annunciato la loro partenza, è crollato ai minimi” e “si cominciò a combattere sempre meno”, ammette un ex colonnello.
“Alcuni funzionari della guardia presidenziale) avevano già trattato con i Talebani, che avevano acconsentito che in cambio della consegna delle armi e della resa non ci avrebbero ucciso.
Come soldati, eseguivamo solo degli ordini”, afferma Elham, ufficiale di 27 anni che, prima di entrare nella guardia presidenziale due anni fa, ha combattuto i guerriglieri talebani in diverse province.
Il pomeriggio del 15 agosto Elham si trovava a Camp Watan, una struttura di addestramento vicino all’aeroporto.
“Cercavo di tenere alto il morale, ma alcuni miei colleghi tremavano e temevano per la loro vita”. Da qui è maturata la decisione di consegnare al nemico tutto: uniformi, armi, munizioni, attrezzature, veicoli, ma non prima di aver bruciato tutta la documentazione che avrebbe potrebbe compromettere i militari locali e le forze internazionali. “Abbiamo dato loro le chiavi delle macchine”, dice un altro soldato.
“Siamo ancora sotto shock (…) I leader ci hanno venduto”, rivela al Pais Selab, un ex ufficiale che e’ stato ferito e ha perso diversi compagni nella provincia di Wardak.

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