Mediterraneo, il mare della morte e i silenzi del Palazzo (Chigi)
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Mediterraneo, il mare della morte e i silenzi del Palazzo (Chigi)

In altre faccende affaccendato il presidente del Consiglio non sembra trovare del tempo per occuparsi della tragedia umanitaria che si consuma senza soluzione di continuità nel mare nostrum 

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Umberto De Giovannangeli Modifica articolo

24 Febbraio 2021 - 16.07


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Quei morti sono usciti fuori dai radar della comunicazione mainstream. Non fanno più notizia. Cosa grave. Ma lo è ancor di più il silenzio dei palazzi della politica e istituzionali di Roma. A cominciare da Palazzo Chigi

Quei silenzi assordanti

In altre faccende affaccendato, tutte importanti ci mancherebbe, il presidente del Consiglio non sembra trovare del tempo per occuparsi della tragedia umanitaria che si consuma senza soluzione di continuità nel Mediterraneo. 

Eppure, “Salvare la vita di rifugiati e migranti alla deriva nel Mediterraneo deve tornare ad essere una priorità dell’Unione europea e della comunità internazionale”. E in questa comunità c’è anche l’Italia, aggiungiamo noi.
Questo è l’appello che l’Oim, Organizzazione Internazionale per le Migrazioni e l’Unhcr, Agenzia Onu per i Rifugiati, lanciano dopo aver raccolto le testimonianze dell’ultimo ed ennesimo naufragio.
Il team di Unhcr, presente a Porto Empedocle in attesa dello sbarco dalla nave mercantile Vos Triton di 77 migranti e rifugiati, ha raccolto testimonianze accurate circa il naufragio avvenuto sabato 20 febbraio nel Mediterraneo Centrale che confermano come almeno 41 persone sarebbero annegate e sono ora disperse.
120 persone si trovavano su un gommone partito dalla Libia giovedì 18 febbraio, fra le quali 6 donne, di cui una in stato di gravidanza, e 4 bambini. Dopo circa 15 ore il gommone ha cominciato ad imbarcare acqua e le persone a bordo hanno provato in ogni modo a chiedere soccorso. In quelle ore, 6 persone sono morte cadendo in acqua mentre altre due, avendo avvistato un’imbarcazione in lontananza hanno provato a raggiungerla a nuoto, annegando. Dopo circa tre ore la Vos Triton si è avvicinata per effettuare un salvataggio ma nella difficile e delicata operazione moltissime persone hanno perso la vita in mare. Solo un corpo è stato recuperato. Fra i dispersi ci sarebbero, 3 bambini e 4 donne, di cui una lascia un neonato attualmente accolto a Lampedusa.
Un bilancio in crescita

Ad oggi sarebbero già circa 160 le vittime del 2021 nel Mediterraneo centrale. Lungo tutta la rotta che porta, attraverso la Libia, al Mediterraneo centrale, sono decine di migliaia le persone vittime di inenarrabili brutalità per mano di trafficanti e miliziani.
Secondo i dati pubblicati da Unhcr, su un totale di oltre 3800 persone arrivate in Italia via mare dal 1 gennaio al 21 febbraio, 2527 sono partite dalle coste libiche.
Secondo i dati raccolti dall’Oim, nello stesso periodo sono state oltre 3.580 le persone intercettate in mare e riportate in Libia, dove – costrette a subire una condizione di detenzione arbitraria   – corrono il rischio di diventare vittime di abusi, violenze e gravi violazioni di diritti umani.
Oim e Unhcr reiterano che la Libia non è da considerarsi un porto sicuro e deve essere fatto ogni sforzo affinché le persone recuperate in mare non vi vengano riportate. In linea con gli obblighi internazionali il dovere di salvare persone alla deriva in mare deve sempre essere rispettato, indipendentemente dalla loro nazionalità e dello status giuridico.
Il fatto che rifugiati e migranti continuino nel tentativo disperato di raggiungere l’Europa attraverso il Mediterraneo Centrale è la riprova della necessità di uno sforzo internazionale immediato per offrire ad essi alternative valide. Le soluzioni ci sono, ciò che serve è un cambio di passo per rafforzare l’accesso all’istruzione e per aumentare i mezzi di sostentamento disponibili nei Paesi lungo la rotta”.

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Un cambio di passo che il “Governo dei migliori” ad oggi non ha compiuto. 

Da novembre a febbraio +81%

I numeri del ministero dell’Interno dicono tutto. In gran parte da Tunisia e Libia, gli sbarchi dal 1° gennaio al 18 febbraio 2020 erano stati 2.065; quest’anno siamo già a 2.696 con un aumento del +30,5%. Dalle coste libiche nel periodo 1° novembre 2020-18 febbraio 2021 sono arrivati 4.807 migranti: a distanza di un anno, nello stesso periodo, siamo a +81%. Le autorità costiere libiche hanno soccorso 1.859 migranti nel 2020 e 2.233 quest’anno: attività, va detto, non priva di molte polemiche. Ma altri Stati, intanto, cominciano a riconoscere la legittimità del Jrcc (Joint rescue coordination centre), centro di coordinamento del soccorso di Tripoli.

Le sfide di governo

“La scommessa italiana con l’Unione europea sul rinnovo del regolamento di Dublino – scrive Marco Ludovico sul Sole24Ore – è inserire l’aggettivo «obbligatorio» nella definizione del meccanismo di redistribuzione degli immigrati soccorsi. Sul tavolo del ministro Luciana Lamorgese c’è anche il rinnovo del memorandum con la Libia, il testo ormai è alla quarta revisione. Il punto centrale per l’Italia è il rispetto nello Stato nordafricano dei diritti umani violati a più riprese nei centri di detenzione. In salita il confronto con la Tunisia, lacerata da crisi politica irrisolta e recessione devastante”.

Nel 2020 l’anno segnato dallo scoppio della pandemia Covid-19 si è registrato in Italia un aumento degli sbarchi che sono stati 34 mila. Lo rileva il XXVI Rapporto sulle migrazioni 2020, elaborato da Fondazione Ismu e presentato online. La crescita degli sbarchi è avvenuta dopo due anni di diminuzione (sono stati 23 mila nel 2018 e 11 mila nel 2019). Sono calate invece nel 2020 le richieste d’asilo che sono state 28 mila (contro le 43.783 del 2019). In calo anche il numero di nuovi permessi di soggiorno: nei primi 6 mesi del 2020 (ultimi dati disponibili) sono stati concessi a cittadini non comunitari circa 43 mila nuovi permessi di soggiorno, meno della metà del primo semestre 2019.

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Rimarca su Avvenire Nello Scavo, uno che la Libia e il dossier migranti li conosce come pochissimi altri: “Nel rimpallo di contabilità e responsabilità c’è solo una certezza: si sono perse le tracce di 90 persone che erano state segnalate alla deriva nel Canale di Sicilia, nell’area di competenza maltese. Dopo gli 8 morti di Lampedusa, a un passo dalle acque territoriali italiane, il timore è che altri lutti debbano aggiungersi ai 169 migranti che nel Mediterraneo l’Oim, l’agenzia Onu per le migrazioni, dà per morti nei primi cinquanta giorni del 2021.

Se il maltempo per qualche giorno rallenterà i trafficanti, di certo l’instabilità sul terreno fa da innesco. Domenica il ministro dell’Interno Fathi Bashagha, perdente nella corsa quale nuovo premier ma intenzionato a restare nel dicastero che di fatto controlla gran parte delle “milizie riconosciute”, è rimasto coinvolto in quello che viene definito come un tentato omicidio. Secondo altre fonti l’azione è invece da interpretare come un avvertimento. La massiccia scorta del politico ha travolto l’auto dei tre presunti assalitori, tutti collegati con la città di Zawyah, la località costiera che ha visto proprio per ordine di Bashagha l’arresto del “comandante Bija”. 

Tuttavia, osserva tra gli altri Tarek Megerisi, analista dell’European Council for foreign relations (Ecfr) presentare questo episodio «come un tentativo di omicidio è esagerato: la realtà è diversa ma non per questo meno inquietante». Più che un tentato omicidio, «sembra sia stata l’escalation incontrollata di un tentativo di intimidire il ministro da parte di una milizia di Tripoli recentemente “istituzionalizzata” dal premier uscente Fayez al–Serraj». Regolamenti di conti che hanno un effetto diretto sui traffici illeciti, a cominciare dal commercio di esseri umani, petrolio e armi.

Non è infatti una coincidenza, neanche una novità, la cospicua ripresa delle partenze in coincidenza delle fibrillazioni nel sistema di potere libico che tiene insieme esponenti politici, emissari delle tribù, signori della guerra e capimafia. A intervenire nel fine settimana nel Canale di Sicilia sono stati tre rimorchiatori, tutti di supporto alle piattaforme petrolifere, che hanno raccolto i migranti a bordo e, su indicazione del centro di coordinamento dei soccorsi di Roma, li hanno condotti in diversi porti siciliani. In mancanza di navi delle organizzazioni umanitarie e nella totale assenza di assetti istituzionali europei, è toccato alla marineria privata intervenire con una quantità di interventi come non se ne vedevano da tempo. Da venerdì sono state più di mille le persone salpate dalla sola Libia, la metà delle quali riportate a terra da un’unica motovedetta della cosiddetta guardia costiera di Tripoli. In un caso il pattugliatore libico, dopo avere soccorso una quarantina di persone, si è allontanato con il motore al massimo salvo poi tornare indietro come se avesse dimenticato qualcosa o qualcuno”.

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Meglio di così è difficile “fotografare” la situazione. Come è impossibile, se si ha un minimo di onestà intellettuale, non essere d’accordo con le conclusioni di Scavo: “Le mosse in mare hanno ricadute sulle due sponde del Mediterraneo. Due nuovi governi, a Roma e Tripoli, per rafforzare ulteriormente «una relazione privilegiata». È l’auspicio del premier libico designato, Abdul Hamid Dbeibah, che salutando la nascita dell’esecutivo di Mario Draghi ha auspicato un rilancio dei rapporti bilaterali. 

A cominciare «dalla questione migratoria», ha sottolineato Dbeibah. Tema finora utilizzato dalle fazioni libiche anche come arma non convenzionale per negoziare con Roma e Bruxelles. Ottenendo solo da Roma la cifra record di 785 milioni «per bloccare – si legge in diversi studi dell’Ong Oxfam – i flussi migratori in Libia e finanziare le missioni navali italiane ed europee»”.

Settecentoottantacinque milioni Una enormità. Come una enormità sono i milioni di euro che l’Italia continua a versare alla cosiddetta “Guardia costiera libica”, quella a cui affidiamo il lavoro sporco: quello dei respingimenti in mare. 

Come una goccia cinese, implacabile, Globalist continuerà a porre al professor Draghi la stessa domanda: “Perché l’Italia non pone fine a quei finanziamenti?”.  Continueremo a chiederlo, fino a quando non otterremo risposta. Nei fatti, non a parole. 

Scrive Filippo Miraglia su Il Manifesto: “Garantire che non si torni indietro sui risultati importanti ottenuti durante il Conte2 e presidiare alcuni dossier delicati, come quello del salvataggio in mare e del rispetto dei diritti umani alle frontiere, è un obiettivo che va perseguito con forza, senza lasciare alcuno spazio alle destre e all’ideologia sovranista”.

Presidiare significa anche non fare sconti, neanche al premier “salva Italia” quando in ballo è la vita di migliaia di disperati. I più indifesi tra gli indifesi. 

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