Ashrawi : "Grazie alla Corte de l'Aja ci sarà legalità in Palestina. Israele risponderà dei suoi crimini"
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Ashrawi : "Grazie alla Corte de l'Aja ci sarà legalità in Palestina. Israele risponderà dei suoi crimini"

La Corte penale internazionale ha deciso che la giurisdizione della Corte sulla situazione in Palestina si estende ai Territori occupati da Israele, vale a dire Gaza e Cisgiordania, compresa Gerusalemme est.

Hanan Ashrawi
Hanan Ashrawi
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Umberto De Giovannangeli Modifica articolo

6 Febbraio 2021 - 17.33


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C’è una legge in Palestina. E non è quella dell’occupante israeliano. 

La Sezione preliminare I della Corte penale internazionale dell’Aja ha deciso, a maggioranza, che la giurisdizione territoriale della Corte sulla situazione in Palestina, uno Stato parte dello Statuto di Roma della Cpi, si estende ai Territori occupati da Israele dal 1967, vale a dire Gaza e Cisgiordania, compresa Gerusalemme est. Lo si legge sul sito ufficiale della Corte dell’Aja. La decisione apre alla possibilità che la procuratrice Fatou Bensouda avvii indagini per crimini di guerra sulle azioni militari israeliane. Bensouda nel 2019 aveva dichiarato che esistono “basi ragionevoli” per aprire tali indagini su azioni nella Striscia di Gaza e sugli insediamenti israeliani nella Cisgiordania occupata. Aveva chiesto però alla Corte di stabilire se avesse la giurisdizione territoriale, prima di procedere. La Corte ha quindi approvato la richiesta del procuratore Fatou Bensouda di aprire un procedimento contro Israele e Hamas per crimini di guerra in Cisgiordania, Gerusalemme est e Striscia di Gaza, scrive il quotidiano israeliano Haaretz.  

L’”Intifada della legalità”

I palestinesi, che hanno aderito al tribunale nel 2015, hanno spinto per l’indagine. Israele, che non è membro, ha affermato che la Corte non ha competenza perché i palestinesi non hanno uno Stato e perché i confini di un eventuale futuro Stato devono essere decisi in colloqui di pace. I palestinesi hanno chiesto al tribunale di indagare sulle azioni israeliane nella guerra del 2014 nella Striscia di Gaza, così come sulle attività di costruzione di insediamenti in Cisgiordania e Gerusalemme Est. La comunità internazionale considera ampiamente gli insediamenti illegali secondo la legge internazionale, ma non ha pressoché fatto pressione su Israele perché li congeli o li ridimensioni.

Immediata la durissima, sprezzante reazione delle autorità di Tel Aviv:  “Oggi (ieri per chi legge, ndr)  la Corte ha dimostrato ancora una volta di essere un organo politico e non un’istituzione giudiziaria”. Così il primo ministro di Israele, Benjamin Netanyahu, secondo quanto riporta Haaretz dopo il verdetto. “La Corte ignora i veri crimini di guerra, e invece perseguita Israele, un Paese con un regime democratico stabile che sostiene lo Stato di diritto e non è un membro della Corte. Con questa decisione – ha aggiunto – la Corte ha danneggiato il diritto delle nazioni democratiche di difendersi dal terrorismo”. “Continueremo a proteggere i nostri cittadini e i nostri soldati in ogni modo dalla persecuzione legale”, ha sottolineato Netanyahu. 

Sul Jerusalem Post si sostiene che il via libera all’indagine penale è stato dato dal procuratore capo Fatou Bensouda, gambiana il cui mandato termina a giugno. Lei aveva condotto un’indagine preliminare sui presunti crimini di guerra e afferma che l’indagine può esaminare le azioni intraprese in Giudea e Samaria, Gaza e Gerusalemme est. Secondo Bensouda, gli insediamenti israeliani in Cisgiordania sono illegali, e Israele ha violato le leggi di guerra durante l’operazione Protective Edge nel 2014 e le rivolte al confine di Gaza del 2018. Il procuratore ha anche accusato Hamas e altri gruppi terroristici palestinesi di prendere di mira i civili israeliani e di usare i palestinesi come scudi umani.  

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La soddisfazione palestinese

“Una vittoria della verità, della giustizia, della libertà e dei valori morali del mondo”. Così l’Autorità nazionale palestinese, per bocca del ministro degli Affari civili, Hussein Al-Sheikh, commenta la decisione della Corte penale internazionale dell’Aja. Lo riportano media locali.

  Gli Stati Uniti si sono detti “seriamente preoccupati” per la decisione della Corte penale internazionale (CPI) che potrebbe spianare la strada a un’indagine sui crimini di guerra. “Siamo seriamente preoccupati per i tentativi di esercizio di giurisdizione da parte della Corte penale internazionale sull’esercito israeliano. Abbiamo sempre adottato la posizione secondo la quale dovrebbe essere riservata la giurisdizione del tribunale ai paesi che lo accettano o sono deferiti dal Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite “, ha detto ai giornalisti il ​​portavoce del Dipartimento di Stato americano, Ned Price. 

La lista dei coinvolti

Gli israeliani che potrebbero ricevere un mandato di cattura dall’ICC includono: il Primo Ministro Benjamin Netanyahu; g ex ministri della difesa Moshe Yaalon, Avigdor Lieberman e Naftali Bennett; ex capi di stato maggiore delle forze di difesa israeliane Benny Gantz  (attuale ministro della Difesa) e Gadi Eisenkot e l’ex capo di stato maggiore Aviv Kochavi; e l’ex e attuale capo del servizio di sicurezza interna Shin Bet, rispettivamente Yoram Cohen e Nadav Argaman. Dal momento che anche la questione degli insediamenti illegali di rientra nell’ambito delle indagini richieste dalla Corte Penale Internazionale (ICC), potrebbero essere incluse persone in posizioni non di vertice, compresi ufficiali dell’esercito di basso rango e funzionari coinvolti nel rilascio di vari tipi di permessi agli insediamenti e agli avamposti di insediamento, ha riferito Haaretz. Per quanto riguarda gli insediamenti, Bensouda ha scritto: “Esiste una base ragionevole per credere che […] le autorità israeliane […] trasferiscano civili israeliani in Cisgiordania dal 13 giugno 2014”.

Il j’accuse di Falk

L’ex relatore speciale delle Nazioni Unite sui diritti umani dei palestinesi (2008-2014), il professor Richard Falk, ha scritto nel 2009, subito dopo la seconda guerra a Gaza condotta da Israele, che: “Israele ha avviato la campagna di Gaza senza un’adeguata base legale o una giusta causa, ed è stato responsabile della stragrande maggioranza delle devastazioni e della sofferenza dei civili nel suo complesso. Il fatto che Israele si sia basato su un approccio militare per sconfiggere o punire Gaza è stato intrinsecamente ‘criminale’ e come tale ha dimostrato sia violazioni della legge di guerra che la perpetrazione di crimini contro l’umanità”.

Oltre ai crimini di guerra e ai crimini contro l’umanità, Falk estese la sua argomentazione legale a una terza categoria. “C’è un altro elemento che rafforza l’accusa di aggressione. La popolazione di Gaza era stata sottoposta a un blocco punitivo per 18 mesi quando Israele ha lanciato i suoi attacchi”.

Il diritto penale internazionale è sempre stato un sistema imperfetto perché non si applica agli Stati che godono di un certo livello di impunità. Dopo la seconda guerra mondiale, i tribunali di Norimberga e Tokyo giudicarono solo i crimini commessi dagli sconfitti, non quelli commessi dai vincitori, penso alle atomiche su Hiroshima e Nagasaki. Quei crimini non furono perseguiti, ma «legalizzati»: l’atomica si è tradotta nella proliferazione di armi nucleari. La struttura del diritto penale internazionale si basa su un doppio standard che si esprime sul piano istituzionale nel potere di veto riconosciuto ai vincitori della guerra, veto che li esenta dall’obbligo di rispondere delle proprie azioni e che si estende ai paesi amici. Possiamo chiederci da cosa derivi l’impunità israeliana attuale: da una parte dai paesi arabi preoccupati da quella che percepiscono come la minaccia iraniana e che li spinge a normalizzare i rapporti con Israele; dall’altra dall’amministrazione Usa che sta ringraziando i sostenitori interni della campagna di Trump. Su questi altari si sacrifica la visione degli ebrei liberali che vogliono una soluzione politica”. Considerazioni puntuali contenute in una intervista di Falk a Chiara Cruciati de Il Manifesto (19 maggio 2018).

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Giustizia, non vendetta

 “Ottenere giustizia è essenziale per le vittime palestinesi, sia che esse siano vive o morte -Oggi la Palestina è qui per chiedere giustizia, non vendetta”,  aveva dichiarato  il ministro degli Esteri Riad al Malki uscendo dalla sede del tribunale all’Aia nel giorno, il 19 marzo 2019, l’Autorità nazionale palestinese aveva presentato all’ICC la richiesta di rinviare a giudizio i responsabili politici e militari israeliani con l’accusa di crimini di guerra e contro l’umanità commessi contro la popolazione civile della Striscia di Gaza.

Ashrawi a Globalist: “Un messaggio al mondo”

Giustizia, non vendetta. Legalità e non impunità. Concetti che Hanan Ashrawi – una delle figure più rappresentative della dirigenza palestinese, più volte ministra e membro del comitato esecutivo dell’Olp – ribadisce in esclusiva a Globalist, che l’ha raggiunta telefonicamente nel suo ufficio a Ramallah. “La decisione assunta dall’ICC è di portata epocale – afferma Hashrawi – perché sancisce che Israele non è al di sopra della legalità internazionale ma deve rispondere dei crimini commessi contro la popolazione palestinese. Nei Territori occupati vige ormai da tempo un regime di apartheid che concede di fatto impunità ai coloni che si macchiano di abusi, che commettono crimini contro civili palestinesi senza essere inquisiti dalle autorità israeliane”.

Quanto poi all’affermazione di Netanyahu secondo cui la decisione de L’Aia è una espressione di antisemitismo, la leader palestinese ribatte: “Ritengo vergognoso che Netanyahu, e non solo lui, tiri fuori l’antisemitismo ogni qual volta Israele viene accusato per le politiche che porta avanti. Cosa c’entra l’antisemitismo con le documentate accuse di crimini di guerra e contro l’umanità accertate da giudici internazionali e ribadite in decine di rapporti delle più importanti organizzazioni per i diritti umani anche israeliane? E’ antisemitismo denunciare la colonizzazione forzata della Cisgiordania, il furto di terre palestinesi compiuto dagli occupanti? Sono antisemiti personalità come Jimmy Carter, Desmond Tutu, Mairead Maguire, premi Nobel per la Pace che hanno preso posizione contro l’occupazione e denunciato il regime di apartheid instaurato da Israele in Palestina? L’antisemitismo è cosa troppo seria per essere utilizzata strumentalmente da Netanyahu e dai falchi israeliani a giustificazione dell’ingiustificabile”. 

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La riflessione si allarga poi ai caratteri della resistenza palestinese: “Chi governa Israele  – dice Ashrawi – conosce solo il linguaggio della forza e dell’arroganza. Vorrebbe trascinarci di nuovo sul terreno della violenza, quello che loro praticano da decenni. Ma non dobbiamo cadere nella trappola. La resistenza più incisiva è quella della disobbedienza civile, del sostegno alla campagna BDS per il boicottaggio dei prodotti israeliane delle colonie. E’ portare l’occupazione israeliana in ogni consesso internazionale, rivendicando giustizia e rispetto della legalità”. “E’ una vittoria per la giustizia e l’umanità, per i valori di verità, equità e libertà e per il sangue delle vittime e delle famiglie”, le fa eco il premier palestinese Mohammed Shtayyeh.

La guerra della legittimità
“Alla fine, il problema non eludibile è capire se i crimini di guerra ascrivibili al comportamento di Israele a Gaza interessano, ed in tale caso, quanto. Io credo che siano importanti in considerazione di quella che potrebbe chiamarsi “la seconda guerra”, la guerra della legittimità, che spesso finisce per dare forma alle conseguenze politiche più dei risultati del campo di battaglia. Gli Stati Uniti vinsero ogni battaglia in Vietnam e persero la guerra; lo stesso vale per la Francia in Indocina e Algeria, e per l’Unione Sovietica in Afghanistan. Lo Scià dell’Iran crollò, come fece il regime dell’apartheid in Sudafrica, a causa delle sconfitte nella guerra della legittimità.
A mio giudizio l’affiorare di queste imputazioni contro Israele, durante e dopo i suoi attacchi su Gaza, hanno dato luogo ad importanti successi per i palestinesi sul fronte della legittimità. La percezione popolare molto diffusa della criminalità israeliana, specialmente l’aver intrapreso una guerra usando un armamento moderno contro una popolazione indifesa, ha spinto le persone in tutto il mondo a proporre il boicottaggio, il disinvestimento e le sanzioni. Questa mobilitazione esercita una pressione su governi ed imprese perché abbandonino le relazioni con Israele, e richiama alla memoria la campagna mondiale anti-apartheid che tanto fece per mutare il panorama politico in Sudafrica. Vincere la guerra della legittimità non è garanzia di realizzazione dell’autodeterminazione palestinese nei prossimi anni, ma cambia l’equazione politica in una misura non pienamente apprezzabile in questo momento.
L’ordinamento globale offre una struttura legale capace di imporre il diritto penale internazionale, ma non si migliorerà senza la presenza della volontà politica. Israele sarà probabilmente immune da iniziative giudiziarie formali per accuse di crimini di guerra, ma affronterà le conseguenze che hanno origine dalla veridicità che queste accuse possiedono per l’opinione pubblica mondiale. Questa ricaduta sta rimodellando i fondamenti dello scontro Israele/Palestina e sta dando, rispetto al passato, di gran lunga più importanza alla guerra della legittimità (combattuta su un campo di battaglia politico globale)”. Così scriveva Richard Falk il 15 marzo 2009 in un artico dal titolo I crimini di Israele. Appello per un’indagine sugli attacchi a Gaza.

Undici anni dopo, e migliaia di vittime dopo, quell’appello è stato finalmente accolto.

PS: Richard Falk, professore emerito di diritto internazionale all’Università di Princeton, è di origine ebraica. Anche lui è un antisemita?

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