No alla pena di morte: all'assemblea dell'Onu vince il 'contagio' dei diritti umani
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No alla pena di morte: all'assemblea dell'Onu vince il 'contagio' dei diritti umani

Sono stati 123 i voti favorevoli alla moratoria universale (2 in più rispetto all’ultima votazione), 38 contrari e 24 astenuti.

L'assemblea generale dell'Onu
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18 Dicembre 2020 - 20.29


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di Antonio Salvati

 

Mentre il mondo intero è attraversato dalla crisi provocata dall’epidemia del Covid-19, la grande maggioranza dei paesi del mondo si è nuovamente schierata contro la pena di morte rispondendo con un “contagio” positivo di sensibilità che tuteli i basilari diritti umani e la vita di ogni persona, senza rinunciare alla giustizia. Il voto del 16 dicembre all’Assemblea generale dell’Onu conferma, per gli abolizionisti, un trend in crescita per l’ottava volta dal 2007, con 123 voti favorevoli alla moratoria universale (2 in più rispetto all’ultima votazione), 38 contrari e 24 astenuti. Seppur anche recentemente Papa Francesco ha invitato tutti, non solo i cristiani, a impegnarsi per diffondere una sensibilità e cultura contrarie alla guerra e alla pena di morte – definita «una misura disumana che umilia, in qualsiasi modo venga perseguita, la dignità personale» – l’esito della votazione non era scontato, nell’anno della pandemia, segnato da forti generosità, ma anche forti chiusure, nonché dalla terribile ripresa delle esecuzioni federali decisa dall’amministrazione americana a ridosso delle elezioni, dopo 17 anni di moratoria, e la conferma di sei esecuzioni prima del passaggio di consegne al presidente eletto Joe Biden, che promette una svolta importante.

Il numero dei voti favorevoli avrebbe potuto essere più consistente. Infatti, erano assenti alla votazione il Gabon e Palau (che avevano sempre votato a favore nelle precedenti votazioni), il Burundi e Senegal (due paesi abolizionisti de jure). 

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Due pesi mantenitori, Pakistan e Libia, che nel 2018 avevano votato a favore sono tornati al voto contrario. Nel 2018 Congo, Gibuti, Filippine, Sierra Leone, Guinea, si erano astenuti; nel 2020 hanno votato a favore. Degni di nota il Libano e la Repubblica di Corea con il loro voto favorevole dato per la prima volta. La Giordania, paese mantenitore, che aveva votato contro nel 2007 e poi si era sempre astenuta, questa volta ha votato a favore. Lo Yemen, che aveva sempre espresso un voto contrario, si astiene per la prima volta.

La Comunità di Sant’Egidio – da molti anni impegnata per l’abolizione della pena di morte e reduce dalla straordinaria mobilitazione internazionale Giornata Internazionale Città per la Vita – Città contro la Pena di Morte che promuove ogni 30 novembre in collaborazione con migliaia di Municipalità – si è particolarmente rallegrata per l’esito della nuova votazione, soprattutto per le decisioni di numerosi paesi africani e di tutti quegli Stati che hanno permesso questo nuovo passo avanti. È il frutto di un paziente lavoro multilaterale, a più livelli, che sta accompagnando un cambiamento epocale. Si è passati da un’opposizione alla pena di morte di appena 16 paesi negli anni ‘70 agli attuali 142 che non la usano più, per legge o di fatto, e al risultato di ieri all’Onu. L’Africa sostiene il cambiamento, con un prezioso lavoro svolto in sinergia, fra gli altri, con Burkina Faso, Centrafrica, Repubblica del Congo e Guinea Conakry, e registra con favore il voto di astensione di Zimbabwe e Sud Sudan, paesi mantenitori.

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Nel corso del 2019 in tutto il mondo si è registrata un’ulteriore diminuzione del ricorso alla pena di morte nel mondo. Tuttavia le esecuzioni proseguono, così come le condanne alla pena capitale, comminate spesso su basi razziali, politiche, non di rado segnate da carattere discriminatorio verso i più poveri e fragili. 

La battaglia contro la pena di morte che meritoriamente conducono numerose organizzazioni toglie di per sé stessa ogni legittimità a qualunque morte, omicidio, violenza e, soprattutto, a qualunque guerra dichiarata o non dichiarata, giustificata o non giustificata. Battersi per questo diritto alla vita – ha sostenuto Marco Impagliazzo«sempre e in ogni caso, anche in quello del colpevole condannato da un giusto processo (facendo in modo che non sia possibile togliergli la vita quand’anche l’avesse tolta egli stesso) lancia un potente segnale contro tutte le altre violenze, morti per guerra o uccisione extra legale, in affannosa cerca di legittimazione. Il nichilismo che c’è dietro a chi si batte per togliere la vita agli altri non è contestato ma avvalorato dalla pena di morte. L’abolizione della pena di morte nei sistemi giuridici, toglie, cancella, abolisce in radice ogni tentativo giustificatorio, giuridico-legale, storico, antropologico, etnico o ideologico che sia. Si tratta quindi di un messaggio culturale di estrema importanza». Vale la pena combattere contro la pena di morte: è una battaglia assoluta per la vita e per tutte le vite, una contestazione radicale contro ogni morte violenta. La morte viene dichiarata sempre ingiusta, ingiustificata, ingiustificabile e – di conseguenza – assolutamente evitabile. La battaglia contro la pena di morte restituisce la voce a coloro che sono stati uccisi e a tutti coloro che hanno lottato per la vita e l’hanno persa perché noi potessimo preservarla comprendendone l’assoluto valore. Infine, esiste umanità – sostiene Impagliazzo – finché c’è vita, anche poca, anche debole, anche limitata: «come rispettiamo la vita in tutte le sue forme, così dobbiamo credere anche che la vita del condannato può avere un valore. Chi siamo noi per giudicare quanta vita è rimasta e quanto vale? Una nazione che abolisce l’uso della pena capitale, è una nazione che non ha posto limiti al futuro, che dà ai propri cittadini un segnale di speranza: nulla è già scritto o è irreversibile».

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