L'audacia della pace: a Berlino dialogo, intelligenza artificiale e crisi umanitarie
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L'audacia della pace: a Berlino dialogo, intelligenza artificiale e crisi umanitarie

Assai arduo rendere adeguatamente conto della ricchezza dei contenuti scaturiti dall’incontro internazionale di preghiera per la pace “L’audacia della pace”, promosso dalla Comunità di Sant’Egidio

L'audacia della pace: a Berlino dialogo, intelligenza artificiale e crisi umanitarie
Il meeting della pace a Berlino
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15 Settembre 2023 - 14.56


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di Antonio Salvati

Assai arduo rendere adeguatamente conto della ricchezza dei contenuti scaturiti dall’incontro internazionale di preghiera per la pace “L’audacia della pace”, promosso dalla Comunità di Sant’Egidio, svoltosi recentemente a Berlino dal 10 al 12 settembre. Il Meeting è terminato dinanzi la Porta di Brandeburgo con un accorato appello di Papa Francesco: «Continuiamo a pregare per la pace senza stancarci, a bussare, con spirito umile e insistente alla porta sempre aperta del cuore di Dio e alle porte degli uomini (…) Occorre l’audacia della pace: ora, perché troppi conflitti perdurano da troppo tempo, tanto che alcuni sembrano non avere mai termine, così che, in un mondo in cui tutto va avanti veloce, solo la fine delle guerre sembra lenta». Chiediamo che si aprano vie di pace, soprattutto per la cara e martoriata Ucraina». I leader religiosi e i rappresentanti della cultura e della politica, radunati da Sant’Egidio, in questi tre giorni, hanno avvertito la chiara consapevolezza di vivere un momento storico, perché — come ha osservato Andrea Riccardi — Berlino «parla di grandi dolori», ma testimonia anche che «si può far cadere il Muro a mani nude».

Molti interventi sono stati caratterizzati dalla tensione e dal desiderio autentico di lavorare per ricostruire un senso profondo di fraternità e comunanza alla stessa famiglia umana. Nel tempo dei nuovi nazionalismi, dei sovranismi – e di questa massificazione edonista tanto diffusa e naturale da essere quasi senza antidoti – ritorna attuale l’auspicio del filosofo ebreo Martin Buber, secondo il quale il mondo «ha il desiderio nostalgico di divenire comunità», impegnandosi per «fare il possibile e desiderare l’impossibile».

Anche Zygmunt Bauman – anche lui di origini ebraiche – sosteneva che c’è una voglia di comunità attorno a noi e in noi. Anche se oggi – come sostiene Vincenzo Paglia – la dimensione comunitaria è qualcosa da reinventare visto il “crollo del noi” dei nostri tempi. Non a caso Bauman, nel suo saggio intitolato Retrotopia, propone di riprendere a coltivare una dimensione dialogica e comunitaria nella vita quotidiana. Auspicio che Bauman ha fortemente espresso alla fine della sua vita intrecciando il suo pensiero con quello di Papa Francesco togliendo «i destini e le speranze dell’integrazione dell’umanità dalle mani di coloro che comandano le truppe dello Scontro di civiltà … per affidarli agli incontri quotidiani tra vicini e colleghi … come genitori attenti o insensibili, compagni fedeli o sleali, vicini premurosi o gretti, colleghi sgradevoli o noiosi, e non certo in veste di rappresentanti di civiltà, tradizioni, fedi religiose o etnie separate da reciproca estraneità».

A Berlino ne ha parlato anche la filosofa Donatella Di Cesare che si è soffermata sulla crisi del nostro mondo «dove l’io domina sovrano. È un io pieno di sé, chiuso in sé stesso, che teme tutto ciò che è fuori. Vive, o meglio, sopravvive giorno per giorno, senza progetti per il futuro, quasi da sonnambulo, in uno spazio attraversato da immagini fantasmatiche, dove tutto sembra possibile e nulla lo è. Questo io non fa che ripetere “ma io”. Questo io ripiegato su sé stesso non è il vecchio individualista della modernità, ma un io che è sprofondato narcisisticamente al proprio interno. Potrebbe salvarlo dal naufragio solo l’altro, a cui, però, ha chiuso la porta». All’origine del mondo, nel racconto del Libro della Genesi, è posto un progetto e un comandamento sintetico: «Non è bene che l’uomo sia solo», che non riguarda solo il rapporto tra l’uomo e la donna, ma è – ha sottolineato Mario Marazziti – la chiave per essere signori del creato e della storia. La relazione è posta dentro l’essenza dell’essere umanità.  Si tratta di una consapevolezza che attraversa la storia e il pensiero umano, da Aristotele, che sapeva bene che felicità e amicizia, realizzazione personale, sono strettamente legate, e che «l’uomo è un animale sociale». Una consapevolezza che sembra essersi smarrita. Teodor Todorov ha osservato come “l’individuo narcisista” si è preso ormai la scena e il self-made man concepisce la propria autonomia come realizzazione dell’ego, fino a una società di rapporti desertificati. Dove l’isolamento e la solitudine sono diventate tra le principali concause di morte. Il modello di comunità – sottolinea la Di Cesare – in cui noi oggi siamo immersi è purtroppo permeato da una logica immunitaria. La stessa democrazia «è fondata su ciò: sul principio noli me tangere, “non mi toccare”. È tutto quello che l’io del cittadino chiede: non partecipazione, bensì solo protezione, sicurezza. Si riduce la comunità democratica a un sistema d’immunità. Godere della democrazia non vuol dire altro che beneficiare in maniera sempre più esclusiva di diritti, garanzie, difese. E spesso in questa «battaglia dei diritti» si crede di scorgere il fronte più avanzato del progresso». Diceva un grande filosofo ebreo-tedesco Franz Rosenzweig, che quando il noi esclude, allora si erge il terribile “voi”.  Nell’Europa del XXI secolo, reduce dai crimini più efferati, non vogliamo una necropolitica immunitaria che dividerà sempre di più e porterà a nuovi conflitti. Vogliamo – è l’auspicio espresso dalla filosofa italiana – invece un’Europa all’altezza del compito per cui è nata: essere una comunità di comunità, favorire la coabitazione tra i popoli. Il che poi vuol dire costruire la pace.

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Un altro tema che ha tenuto banco è stato quello dell’Intelligenza Artificiale. Infatti è convinzione diffusa delle religioni abramitiche – ha sostenuto Oded Wiener del Gran Rabbinato di Israele – che la regolamentazione apportata non sia sufficiente: «maggiore trasparenza permetterebbe di promuovere le opportunità e prevenire i rischi». Le nuove tecnologie emergenti e convergenti – e tra esse l’Intelligenza Artificiale – possono trasformare radicalmente l’umano, ad esempio, cambiando il Dna, oppure controllando in maniera totale la vita umana. C’è chi parla di capitalismo della sorveglianza, del rischio di soggiacere alla “dittatura della tecnica”. Per Vincenzo Paglia dobbiamo affrettare la realizzazione di un’assise internazionale per il governo delle nuove tecnologie. Del resto, per il nucleare c’è stato un patto di non proliferazione; per il clima, dopo decenni, c’è stata la conferenza di Parigi. In questa prospettiva la Pontificia Accademia per la Vita, presieduta da Paglia, ha promosso nel 2020 un manifesto – la Rome Call for AI Ethics – con il quale si chiede a tutti gli stakeholder e alla società civile nel suo complesso di adottare principi etici, pedagogici e giuridici, nella realizzazione delle intelligenze artificiali. Il Papa ha parlato della necessità di passare dal pericolo di una algocrazia alla necessità di perseguire una algoretica. Non a caso, Papa Francesco, per la Giornata Mondiale della Pace del 1° gennaio 2024, ha preparato un testo che ha per titolo “Intelligenze artificiali e Pace”. Un settore nel quale l’applicazione dell’intelligenza artificiale è rischiosissima è il settore militare. Oggi con l’intelligenza artificiale – ha ricordato Paglia – si possono prendere decisioni e compiere azioni in campo militare senza un intervento umano diretto.

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Per Paolo Benanti, docente alla Pontificia Università Gregoriana, «dal tempo della clava, utensile e arma al tempo stesso la tecnologia è un mezzo per scopi diversi. La novità dell’AI è che, per la prima volta, la macchina può scegliere anche i mezzi».

L’Intelligenza Artificiale rischia di diventare “un oracolo perfetto” e, proprio i leader religiosi, ne colgono la sfida: «se noi prestiamo fede all’IA, gli algoritmi possono darci un fine e i mezzi, senza chiederci quale è il nostro fine; altre forme di intelligenze possono farci fare guerre senza motivo, paci senza fondamento». Tuttavia, Paglia ha sottolineato che – evitando «la condanna della modernità con la cecità di chi non vuol comprendere» – le intelligenze artificiali possono diventare strumento di sviluppo umano e di promozione della pace. Infatti, l’utilizzo delle AI può facilitare e migliorare la qualità della comunicazione e la comprensione tra diverse culture, superando le barriere linguistiche e culturali. Un esempio di tecnologia AI utilizzata in questo contesto «è ChatGPT-4, che utilizza l’elaborazione del linguaggio naturale per facilitare la risoluzione delle controversie. Comprendendo il contesto delle conversazioni, il sistema può aiutare a ridurre i malintesi. Ancora: l’intelligenza artificiale può essere utilizzata per analizzare e prevedere potenziali conflitti a livello internazionale, permettendo agli attori internazionali di intervenire in modo proattivo per prevenire l’escalation delle tensioni». Può essere anche un prezioso supporto alla diplomazia: «tramite il monitoraggio e l’analisi delle relazioni internazionali, l’AI può fornire informazioni preziose ai diplomatici e ai responsabili politici per prendere decisioni informate e promuovere la pace». In campo medico, l’intelligenza artificiale «può essere utilizzata per analizzare grandi quantità di dati medici, per identificare modelli e tendenze utili per i medici per fare diagnosi importanti; può contribuire allo sviluppo di nuovi farmaci e di una medicina personalizzata. Può migliorare la nostra vita».

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Degno di nota, l’intervento di Gaël Giraud, gesuita ed economista francese, che in merito alle emergenze umanitarie del nostro tempo, ha indicato quella della crescente carenza d’acqua nel nostro pianeta. Nell’anno 2030, cioè domani mattina, il “gap di domanda” di acqua potabile sarà probabilmente del 40%, se non facciamo qualcosa entro quella data. Ciò significa che due persone su cinque non avranno accesso

all’acqua potabile, vale a dire più di 3 miliardi di persone. Coloro che non hanno accesso all’acqua potabile saranno malnutriti e soffriranno la fame. Secondo Giraud, per combattere la mancanza di acqua potabile, ci sono diverse opzioni. In primo luogo, ovunque sia possibile, l’acqua dovrebbe essere trattata come un bene comune e la sua privatizzazione dovrebbe essere impedita. Ma possiamo anche pensare di ridurre la produzione agricola su scala globale. Noi produciamo oggi per 12 miliardi di persone. Poiché siamo solo 8 miliardi di persone, «ciò significa che un terzo del cibo prodotto viene buttato via, soprattutto nel Nord del mondo. Se ponessimo fine a questa cultura dello spreco alimentare in Europa, negli Stati Uniti e in Giappone, potremmo risparmiare miliardi di litri di acqua potabile ogni anno, che potremmo utilizzare per dare da bere alla popolazione umana che ne ha bisogno». Ancora una volta, «le risorse sotterranee fanno parte delle soluzioni. Sappiamo che nel sottosuolo c’è una quantità d’acqua trenta volte superiore a quella presente in superficie». La questione è dove si trova e come permettere alle popolazioni locali di estrarla. Potrebbe aiutarci anche l’intelligenza artificiale che può essere anche nella salvaguardia ambientale, dalla gestione delle risorse idriche alla conservazione della biodiversità, dall’utilizzo dello spazio attorno alla terra al fondo marino.

Anche Mario Giro, profondo conoscitore delle questioni africane ed esperto di relazioni internazionali, si è soffermato sull’insicurezza alimentare che aumenta. L’underfunded report dell’Alto Commissariato per i Rifugiati dà i dati, i dati dell’aggravamento della vulnerabilità globale e della diminuzione degli aiuti. Ma – sottolinea Giro – non è solo una questione di generosità. È anche una questione di generosità, ma è anche una questione di impossibilità di intervenire. Infatti, nel corso del 2023 tutte le agenzie dell’ONU, tutte, ma anche le grandi ONG private sono state costrette a ridurre i livelli di assistenza. In passato, c’è stata molta generosità. Però non è più così. Ma soprattutto pesano la crisi degli stati, la crisi del multilateralismo, l’impossibilità di intervento. Il multilateralismo – sostiene Giro – «è fondamentale, dobbiamo ricrearlo, non c’è aiuto possibile senza il sistema multilaterale che la crisi politica globale sta mettendo a rischio».

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