Brignone: "Bene restituire la legion d'onore, ma il problema è un governo silente e sodale con Al Sisi"
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Brignone: "Bene restituire la legion d'onore, ma il problema è un governo silente e sodale con Al Sisi"

La segretaria di Possibile: "Parliamo della Francia e della discutibile scelta di Macron, ma prima di tutto dovremmo guardare a casa nostra"

Conte e Al Sisi
Conte e Al Sisi
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Umberto De Giovannangeli Modifica articolo

15 Dicembre 2020 - 17.13


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I diritti umani non sono negoziabili. Restituire la legione d’onore è un atto politico importante, una meritoria assunzione individuale di responsabilità, ma che non sostituisce e non assolve un Governo silente se non sodale con l’Egitto del presidente-carceriere Abdel Fattah al-Sisi.

Globalist ne discute con Beatrice Brignone, Segretaria di Possibile. 

Che valutazione dai dei primi riscontri della campagna, lanciata da Globalist e sostenuta da Amnesty International Italia e da Possibile, della campagna “restituite quella legione del disonore” dopo che quell’importante onoreficenza è stata attribuita da Macron al al-Sisi?

Ho trovato, quello di Corrado Augias e delle altre e altri che lo hanno seguito, un gesto politico argomentato molto bene, in maniera toccante, si sente che è qualcosa si sentito, fatto da Augias in modo ragionato, che voleva cogliere nel segno. E credo che da questo punto di vista abbia funzionato più di tanti altri che hanno sprecato tante parole sul caso Regeni. Un’altra conseguenza che questo gesto ha avuto, è stata quella di smascherare un silenzio decisamente eloquente da parte di personalità che hanno avuto ruoli di primissimo piano nella politica e in passati governi: ricordo D’Alema, Prodi, Veltroni, Enrico Letta, persone che hanno un significato politico e non solo culturale giornalistico, e che ancora oggi continuano a dire la loro puntualmente sulle vicende del Governo e dei partiti della maggioranza. Il loro è un silenzio imbarazzante e molto grave da parte loro. Il gesto della restituzione della Legione d’onore è importante anche perché contribuisce a svelare certe ambiguità. Come dire, il “Re è nudo”.

Detto questo, va subito aggiunto che stiamo parlando della Francia, di un Paese che ha dato una onoreficenza a un personaggio come al-Sisi, e quindi era assolutamente giusto un gesto di questo genere da parte di chi ha a cuore non solo la causa di Giulio Regeni. Noi di Possibile sosteniamo ogni giorno anche la causa di Patrick Zaki, perché è assolutamente urgente farlo uscire da quel carcere di massima sicurezza dove è arbitrariamente recluso. Patrick è in una sorta di “ergastolo preventivo”, perché di volta in volta continuano a rimandarne il processo senza un motivo, e continua a stare in carcere e star male come ci ha fatto sapere anche in queste ore. Ben venga qualsiasi gesto che possa riportare l’attenzione su queste drammatiche vicende, e la restituzione della Legione d’onore è in questo meritoria, dopo di che parliamo della Francia, ma prima di tutto dovremmo guardare a casa nostra.

Guardando a casa nostra, ciò che emerge non sono solo certi silenzi assordanti, ma anche atti che il mondo della solidarietà e del pacifismo hanno denunciato a più riprese e con forza. La metto giù brutalmente: non richiamiamo l’Ambasciatore ma vendiamo fregate ad al-Sisi.

E’ tutto collegato. Se non ci fossero affari miliardari che ci legano ad al-Sisi o comunque all’Egitto, probabilmente avremmo tutt’altro atteggiamento nei confronti di una persona che ha compiuto atti gravissimi nei confronti di due nostri cittadini, Giulio Regeni ma anche Patrick Zaki, che seppure formalmente non è cittadino italiano ma vive e lavora a Bologna tra i nostri ragazzi, è di fatto lo è. Una ragione economica prevale su tutto il resto. Evidentemente una vita umana non vale una fregata. 

Il nostro ambasciatore fu rimandato in Egitto quando a Palazzo Chigi c’era Paolo Gentiloni, quindi un esponente del Partito democratico. Ed è stato confermato, con le stesse motivazioni in fondo, dal Conte I, quando guidava una coalizione gialloverde, ed è stato ribadito dal Conte II, con una coalizione di cui fanno parte forze progressiste e di sinistra. Cosa vuol dire sul piano politico questo continuismo diplomatico?

Siamo sempre lì. Evidentemente la ragion di Stato, dal punto di vista economico, è un collante che attraversa tutti i colori dell’arco costituzionale, chi era al Governo prima e chi lo è adesso. Si parla sempre di un cambio di passo, di un cambio di rotta, ma nella sostanza distinzioni significative col passato non ci sono state. Il filo rosso resta sempre quello della diplomazia degli affari. Sono convinta delle parole del presidente Fico, per dirne uno tra i tanti che si sono espressi, si sono impegnati e continuano a metterci la faccia nel chiedere verità e giustizia per Giulio Regeni e libertà per Patrick Zaki. Evidentemente, però, si tratta della buona volontà di singoli che si scontrano contro qualcosa che va oltre l’appartenenza politica, oltre a quello che si dice in campagna elettorale e oltre le stesse convinzioni personali. Gli interessi economici in questo caso sono il collante, nefasto, del comportamento dei vari governi di questi ultimi anni, indipendentemente dalla loro coloritura politica. Stiamo parlando dell’Egitto, ma potremmo allargare il discorso alla Libia. 

Facendo riferimento alla Libia, ma guardando più in generale alla nostra politica verso i Paesi della sponda Sud del Mediterraneo, l’impressione che si ha è che questa politica sia guidata da una sola e grande ossessione: quella di individuare in quella parte di mondo dei gendarmi delle nostre, nostre come Italia ed Europa, frontiere esterne. Ecco allora al-Sisi, Erdogan e prima di loro Gheddafi, Mubarak, Assad etc. Ma questa strategia non finisce per inficiare, come è il caso della Libia, anche gli interessi nazionali dell’Italia?

Penso di sì. Ogni tanto, soprattutto quando emergono vicende terribili di stragi in mare o di torture nei lager libici, ci si limita a chiedere il rispetto dei diritti umano, quando poi risulta evidente che il nostro unico interesse è quello di lasciarci sicuri all’interno dei nostri confini, e tutto quello che succede di là facciamo finta di non vederlo o di non saperlo. Ma questo, oltre che eticamente censurabile, è qualcosa di politicamente miope, perché ci lascia tante volte sotto scacco, succube dei ricatti di chi, penso ad Erdogan ma non solo a lui, dice all’Europa, e dunque anche a noi, se alzate la voce sui diritti umani, io vi “inondo” di migranti. Se tu continui a sottostare a quei ricatti e ad essere subalterno alla retorica di una “invasione” che non esiste, è ovvio che poi ti si ritorce contro anche in termini di sentimenti popolari e di gradimento elettorale che poi alla fine, inutile girarci intorno, purtroppo è la misura della questione. Pur di non rischiare nulla anche in termini di consensi, si continuano a foraggiare regimi che sappiamo essere sanguinari. E quando ci dicono, trionfalisticamente, che gli sbarchi sono diminuiti, sappiamo benissimo cosa c’è dietro: il respingimento forzoso di persone che avrebbero tutto il diritto di venire da questa parte. Invece di lavorare sui corridoi umanitari, sulla riforma del sistema di accoglienza, su una efficace politica d’inclusione, sbattendo i pugni su questo, noi li sbattiamo in faccia ai più deboli e finanziamo questi gendarmi più o meno corazzati.  E fino a quando questa roba qua non riusciremo a scardinarla, saremo da una parte legati a interessi economici e dall’altra parte alla paura che questi gendarmi aprano le “gabbie” e noi ci troviamo alle prese con una invasione che non esiste ma di cui continuiamo ad avere una narrazione distorta.

Allargando l’orizzonte ad altre tematiche, legate anche ad una drammatica e irrisolta crisi pandemica, non ritieni che ci sia una subalternità della sinistra al pensiero unico?

Francamente a me pare che ci sia una subalternità della sinistra al pensiero della destra. Oramai ci siamo abituati al populismo non all’essere popolari, ai peggiori impulsi che vivono nella nostra società. Invece di pensare al tweet o all’agenzia, o ai titoli dei giornali che vanno alla pancia del Paese, dovremmo cominciare a fare, in maniera compatta e continuativa, un lavoro culturale profondo, di valori e di conoscenza perché spesso è proprio l’ignoranza a creare mostri da tutti i punti di vista. Noi, sinistra, questo lavoro non lo facciamo, continuiamo a seguire la corrente. Il caso della Libia è emblematico di questo discorso.  Non ci sono parole chiare. Al Governo LeU è rappresentata da persone che erano le più a sinistra, eppure siamo tutti lì, fermi al cincischiare delle parole, a mediare, e al massimo ricicleremo le cose che ci ha detto il Capo dello Stato, Sergio Mattarella. Ma è poca roba. Quei decreti sicurezza avremmo dovuto cancellarli e non edulcorarli. Dobbiamo batterci per un diritto dell’accoglienza chiaro e pretendere che l’Europa ci sostenga, intanto, però, dobbiamo partire da noi, dalla convinzione che la cosa giusta da fare è quella, punto, senza nessun tipo di compromesso o di artifizio retorico. Sulla Libia, sull’Egitto, sui decreti sicurezza, non dobbiamo avere remore nel dire che continuano ad essere praticate politiche sbagliate e non c’è ragione, elettorale, economica, che tenga. Neanche la tenuta del Governo, che poi è sempre il più grande timore di chi teme di tornare a casa. Un po’ più di coraggio non guasterebbe, così come un lavoro culturale che servirebbe e tanto per la sinistra e per l’Italia.

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