Casi Regeni e Zaki: toc, toc, c'è qualcuno alla Farnesina?
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Casi Regeni e Zaki: toc, toc, c'è qualcuno alla Farnesina?

Dalla Libia all’Egitto, dalla Turchia alla Palestina l’azione di Di Maio è stata caratterizzata da cambi di posizione, giravolte, hanno sconcertato, per usare un eufemismo, la nostra valente diplomazia

Patrick George Zaky e Regeni in un murale
Patrick George Zaky e Regeni in un murale
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Umberto De Giovannangeli Modifica articolo

23 Novembre 2020 - 16.07


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Toc, toc. C’è qualcuno alla Farnesina? Quella che leggerete è la storia di sollecitazioni cadute nel vuoto, di richieste di chiarimenti sollecitati e mai ottenuti. Ma a volte, e questa è una di quelle, i silenzi dicono più di tante parole.
Toc toc
La storia. Armati di santa pazienza, noi di Globalist abbiamo cercato di “scavare” su un retroscena legato alla presa di posizione del presidente del Consiglio, Giuseppe Conte, sulla vicenda Regeni, seguita alla importante decisione della Procura di Roma di istruire il processo ai membri dei servizi egiziani individuati come responsabili, o comunque parte attiva, nell’omicidio del giovane ricercatore italiano, ed andare a processo anche in contumacia.

Dopo questo pronunciamento, Conte ha telefonato al presidente egiziano Abdel Fattah al-Sisi chiedendogli di agire perché fosse reso possibile il processo, aggiungendo, secondo una ricostruzioni di Repubblica mai smentita da Palazzo Chigi, che nel caso in cui l’Egitto avesse perseguito una linea ostracista, il Governo italiano avrebbe preso decisioni conseguenti, tra cui anche il richiamo del nostro Ambasciatore.

Ora, si dà il caso che del governo Conte faccia parte anche Luigi Di Maio. E che parte. Visto che il leader, o forse ex, dei 5 Stelle è il ministro degli Esteri del Conte II. Sempre il quotidiano di Largo Fochetti rivelava, anche qui senza essere smentito dalla presidenza del Consiglio, che il premier aveva agito senza informare prima il titolare della Farnesina. E qui scatta la prima richiesta di chiarimento. Chi scrive, per una età non più giovane, ha seguito tanti ma tanti ministri degli Esteri, di ogni coloritura politica, nella prima, nella seconda e pure nella “terza” Repubblica. In questa attività, visto la delicatezza della materia, esistono le vie ufficiali di risposta – intervista, comunicato, dichiarazione – e vie ufficiose, con note, giudizi, ricostruzioni che vengono rilasciate con la garanzia dell’anonimato.

In questo caso, nisba. Il fatto che un presidente del Consiglio su una vicenda così importante e delicata, che chiama in causa i rapporti bilaterali con un Paese cruciale per la stabilità del Mediterraneo, qual è l’Egitto, non abbia sentito la necessità di condividere una linea (telefonica) con il “suo” ministro degli Esteri, beh, è davvero grossa. Tanto grossa da meritare di essere approfondita. E allora, scattano le telefonate. Che diventano ancora più pressanti alla luce dello schiaffo in faccia, l’ennesimo, sferrato al nostro Paese, e al Governo che lo rappresenta, dalle autorità egiziane, con la decisione di prolungare di altri 45 giorni la detenzione di Patrick Zaki. Una decisione, quella del tribunale egiziano, presa poche ore dopo la nota del portavoce del presidente al-Sisi, nella quale si parlava della “cooperazione senza precedenti tra le magistrature dei due Paesi”. Nonostante le proteste delle più importanti organizzazioni impegnate nella difesa dei diritti umani, a cominciare da Amnesty International, e la richiesta di una decisa presa di posizione del Governo italiano, a regnare alla Farnesina è il silenzio. Un silenzio sepolcrale che nulla, ma proprio nulla, ha a che fare con quella “diplomazia sotterranea” che è parte, importante, del fare diplomazia.

Qui siamo alla reticenza. Non c’è uno che sia uno che si assuma le sue responsabilità. A cominciare dal titolare di “casa”. Ora, chi scrive ha dovuto fare i conti, in tempi diversi, con ministri degli Esteri che centellinavano interviste, che usavano con il contagocce le dichiarazioni pubbliche, e che, ma erano altri tempi, non smanettavano tutti i giorni in preda ad una insaziabile voracità da Twitter. Quanto a “cinguettii”, l’attuale ministro degli Esteri non è secondo a nessuno. Così come il suo staff. Eppure, stavolta, silenzio. “Guarda, non è il caso, non è il momento”, ci siamo sentiti ripetere a iosa in questi giorni. E ancora “Sai, c’è la pandemia…”. Come se anche i tweet fossero andati in quarantena, in un lockdown mediatico totale. Ma non è così. E a testimoniarlo è lo stesso Di Maio che, silente sulla sua defenestrazione, operata da Conte, dal dossier-Regeni, e altrettanto silente sull’ultima provocazione egiziana nel caso Zaki, ha continuato a intervenire sui social sulla Calabria, sul caso Morra, sulla pandemia e via twittando. Su tutto, meno che sui rapporti con l’Egitto. Qui non è questione di fare esercizio di “dietrologia” o peccare di “retroscenismo”, generi giornalistici che hanno avvelenato il mestiere, ma è di guardare la scena e pesare parole e silenzi. E valutare i comportamenti di chi ha responsabilità di Governo senza il paraocchi di pregiudizi politici o ideologici, basandosi sulla coerenza o meno dell’atteggiamento tenuto. Di certo, la coerenza non è una delle “virtù” dell’attuale ministro degli Esteri, sempre restando nell’ambito della politica internazionale, senza voler sconfinare in altri campi. Dalla Libia all’Egitto, dalla Turchia alla Palestina, per restare solo allo scenario mediterraneo, l’azione di Di Maio è stata caratterizzata da cambi di posizione, giravolte, improvvisazioni che hanno spiazzato, sconcertato, per usare un eufemismo, la nostra valente diplomazia. Ma noi non ci arrendiamo. E continueremo a fare “toc, toc” alla Farnesina. Chi la dura, la vince. O no?

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