Libia, la mafizzazione dell'economia e il metodo "hawala"
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Libia, la mafizzazione dell'economia e il metodo "hawala"

Ci sono interi settori del Ministero della Difesa, della Guardia Costiera e della Polizia che collaborano al grande sistema bipolare del traffico illegale di migranti o al contrabbando dei petroli.

Mercenari e milizie in Libia
Mercenari e milizie in Libia
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Umberto De Giovannangeli Modifica articolo

13 Settembre 2020 - 17.37


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“La ‘mafizzazione’ dell’economia, è l’ovvio risultato di uno Stato centrale o assente o sostanzialmente illegittimo, o percepito come tale. Haftar ha imposto il suo monopolio soprattutto per l’esportazione di rottami metallici e per la vendita dei prodotti raffinati del petrolio. Molti dei monopoli, dal cibo alla vendita di materiale tecnologico, sono stati garantiti allo Lna di Haftar, più o meno legalmente, dalla Camera dei Rappresentanti di Tobruk. L’attività di controllo e gestione delle linee di passaggio e di invio verso l’Italia dei migranti subsahariani sono collegate, in gran parte, alle reti parallele dello Lna di Haftar, ma anche alle reti tripoline di Zawiya e del gruppo dei “martiri di Al Nasr”, sempre operanti in quella città, ma ci sono interi settori del Ministero della Difesa, della Guardia Costiera libica, della Polizia e del ministero degli Interni che collaborano, direttamente o indirettamente, al grande sistema bipolare del traffico illegale di migranti.

Che è la seconda fonte di reddito illegale, dopo il contrabbando di prodotti petroliferi. Ecco cosa succede a destabilizzare uno Stato costiero africano, senza nessun altro progetto che non le chiacchiere di qualche pseudo-intellettuale francese sui “diritti umani”.

A sostenerlo è a uno che di Libia, Mediterraneo, geopolitica, geoeconomia se ne intende e tanto: Giancarlo Elia Valori.

Il metodo “hawala”

Una banda di trafficanti di esseri umani, con base “tra Milano e il Nord Est, che gestiva i viaggi dei migranti in arrivo dall’Africa e diretti in tutta Europa e anche negli Usa è stata sgominata nei giorni scorsi dalla Direzione Distrettuale Antimafia della Procura di Palermo. Quattordici stranieri sono stati arrestati, altri 4 indagati sono invece latitanti, tra cui il presunto capo dell’organizzazione. Le accuse nei loro confronti sono di associazione a delinquere transnazionale finalizzata al favoreggiamento dell’immigrazione clandestina, all’esercizio di attività abusiva di prestazione di servizi di pagamento e altri delitti contro la persona, l’ordine pubblico, il patrimonio e la fede pubblica; reati aggravati dal fatto di operare in diversi Stati.

Dalle indagini, condotte svolte dalla Squadra Mobile di Palermo e dal Servizio Centrale Operativo e coordinate dal Procuratore di Palermo Francesco Lo Voi, dal Procuratore Aggiunto Marzia Ssabella e dai Sostituti Procuratore Gery Ferrara, Claudio Camilleri e Giorgia Righi, è emerso che il gruppo agiva su due fronti diversi: il favoreggiamento dell’immigrazione clandestina e l’esercizio abusivo di attività di intermediazione finanziaria tramite il cosiddetto metodo “hawala“, che consente di trasferire denaro in maniera illecita utilizzando una rete di intermediari operanti in tutto il mondo, utilizzato principalmente per il pagamento dei viaggi dei migranti o come prezzo della loro liberazione dai centri lager in Libia.

“Sin dal 2017, l’organizzazione criminale ha supportato le attività di traffico sia nel corso del viaggio dei migranti sul continente africano che in occasione del loro concentramento presso i campi di prigionia in Libiadove venivano inflitte torture e violenze per ottenere più soldi dai loro parenti”, dicono gli inquirenti. In seguito, appena gli stessi sono finalmente giunti in Sicilia, a bordo delle navi impiegate in attività di soccorso in mare, gli indagati sono intervenuti, in un primo momento, “consentendo ai migranti ad allontanarsi dai centri di accoglienza, dove erano ospitati, nascondendoli in altri luoghi e fornendo loro in alcuni casi vitto, alloggio, titoli di viaggio e falsi documenti, e, in un secondo momento, curandone la partenza verso località del centro e nord Italia, da dove poi raggiungere agevolmente le località del nord Europa e talvolta gli Usa – meta finale del loro viaggio”.

L’indagine è la naturale prosecuzione delle operazioni “Glauco” 1, 2 e 3 condotte tra il 2013 ed il 2017 che hanno consentito, nel tempo, “di individuare ed identificare numerosi trafficanti di esseri umani operanti sulla cosiddetta rotta del Mediterraneo centrale, molti dei quali già condannati anche in via definitiva a pesanti pene detentive, ed i loro referenti sul territorio italiano”. Già nel corso delle indagini denominate Glauco era emerso il ruolo di Ghermay Ermias Alem Ermias- destinatario di più misure cautelari e tutt’ora latitante – e proprio dallo sviluppo delle indagini finalizzate alla sua ricerca, anche attraverso attività di cooperazione internazionale svolte ai sensi della Convenzione di Palermo sul crimine organizzato transnazionale, è stata ricostruita l’associazione a delinquere operante tra il Centro Africa (Eritrea, Etiopia, Sudan), i paesi del Maghreb (soprattutto la Libia), l’Italia (Lampedusa, Agrigento, Catania, Roma, Udine, Milano), nonché vari paesi del Nord Europa (Inghilterra, Danimarca, Olanda, Belgio e Germania) e numerosi reati-fine commessi dagli appartenenti alla stessa.

Al gruppo criminale è riconducibile l’arrivo di alcuni dei migranti giunti in Italia nell’ambito dei seguenti eventi S.A.R. e il loro successivo spostamento dal territorio nazionale verso l’estero (Nord Europa e Usa): lo sbarco del 14/07/2017 di 1422 migranti presso il porto di Catania; lo sbarco del 27/11/2017 di 416 migranti giunti a bordo della nave Acquarius presso il porto di Catania; lo sbarco del 16/12/2017 di 407 migranti presso il porto di Augusta; lo sbarco del 16/08/2018 di 190 migranti giunti a bordo della nave della Marina Militare “U. Diciotti” presso il porto di Lampedusa.

Il tesoro

“I soldi dei trafficanti  – scrive Salvo Palazzolo su Repubblica -sono al sicuro a Dubai, negli Emirati Arabi. L’indagine della squadra mobile di Palermo, diretta da Rodolfo Ruperti, dice anche questo. Un’indagine complessa, perché le richieste di rogatoria avanzate dalla procura non hanno avuto risposta. Come tutte le altre, fatte negli ultimi cinque anni. Perché già altre volte erano emerse tracce dei soldi dei trafficanti intercettando i signori della tratta in Libia. Tracce che si sono perse fra conti cifrati e codici hawala.

La vita di una persona vale 12.500 dollari nel lager libico di Bani Walid, 11.220 euro circa – annota Paolo Lambruschi in un documentato report su Avvenire –  È il prezzo fissato dai miliziani che appartengono alla tribù dei Warfalla e che controllano la città nel distretto di Misurata, circa 150 chilometri a sud est di Tripoli, uno dei principali snodi del traffico di migranti in arrivo dal sud della Libia e diretti verso la costa. L’economia dell’area si regge da anni sul traffico di petrolio e di esseri umani.

I banditi hanno ‘acquistato’ dal trafficante eritreo Abuselam Ferensawi, detto il francese, uno dei maggiori mercanti di carne umana in Libia – sparito probabilmente in Qatar per godersi i proventi del suo lavoro criminale pluriennale – un gruppo di 66 eritrei, tra cui 8 donne. Allo schiavista eritreo sono stati pagati 14mila dollari ciascuno. I sequestrati si trovavano in Libia da almeno un anno, nel corso del quale sono stati più volte venduti e schiavizzati.  Ma nessuno del gruppo è stato in grado finora di riscattare la propria vita e così, per “contenere” le perdite, i warfalla hanno abbassato il prezzo e lasciato ai prigionieri maggiore libertà di comunicare per chiedere aiuto con i social. Siamo riusciti a entrare in contatto con i rapiti attraverso il numero di un ragazzo di 18 anni, ucciso a colpi di mitra il 17 novembre mentre cercava di fuggire. Il suo nome era Solomon Teklay.

Funziona così il mercato della carne umana sulla sponda libica del Mediterraneo, nel silenzio complice dell’Europa. Come funzionava 10 anni fa nel Sinai, sempre con i subsahariani. Stesso copione, si fissa un prezzo e per sollecitare ai parenti il pagamento del riscatto si ricorre alle torture, ampiamente sperimentate, e agli stupri. I prigionieri vengono scarsamente nutriti per minimizzare i pericoli di fuga…”. Il report di Lambruschi è del 28 dicembre 2019. Nove mesi dopo, la situazione è peggiorata.  

 

 

 

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