Italia-Libia, le arrampicate sugli specchi del ministro dell'"indifesa" Guerini
Top

Italia-Libia, le arrampicate sugli specchi del ministro dell'"indifesa" Guerini

Il ministro della difesa intervistato alla festa de l'Unità dal direttore di Repubblica parla di aria fritta

Guerini in Libia da Serraj
Guerini in Libia da Serraj
Preroll

Umberto De Giovannangeli Modifica articolo

4 Settembre 2020 - 14.01


ATF

La domanda sorge spontanea: ma questi sanno di cosa parlano? Ma per non prendersela sempre e solo con i politici, un’altra domanda s’impone. E riguarda la nostra categoria, quella dei giornalisti: ma siamo ancora in grado di incalzare l’interlocutore di un dibattito o di una intervista, o siamo, ci siamo, ridotti a porgi microfono? Le due domande vengono di getto nel leggere i resoconti di agenzia del dibattito alla Festa de l’Unità di Modena (inciso dolorosamente personale: hanno fatto la “festa” a l’Unità giornale, cancellando una storia gloriosa e mettendo in mezzo a una strada più di 40 famiglie, ma poi continuano a usare la testata per le feste) , dove il direttore di Repubblica, Maurizio Molinari, ha intervistato il ministro della Difesa Lorenzo Guerini (PD).  Uno dei temi centrali del dibattito ha riguardato la Libia.

Chiacchiere a volontà

Il nulla ripetuto all’infinito. La partenza è tutto un programma: sarebbe “sbagliato” per l’Italia “immaginare di non essere in campo pienamente dentro la vicenda libica”, afferma il serafico ministro. Già quel verbo, “immaginare”, racconta di un vuoto pneumatico. Immaginare? E che vuol dire? E a chi si riferisce, il buon Guerini? Ma il proseguo, quanto ad aria fritta, è degno dell’incipit iniziale. Per il ministro della Difesa, il nostro Paese deve “riappropriarsi di un ruolo dentro la vicenda libica, un ruolo” all’interno “della dimensione di un impegno collettivo europeo”.

Riappropriarsi E qui, facendo l’esegesi politica del verbo, significa che il membro del governo Conte II ammette, sia pure implicitamente, che l’Italia quel ruolo l’ha perso, visto che deve riappropriarsene. A questo punto, un giornalismo all’americana (terra che è nel cuore del bravo Molinari) avrebbe incalzato il ministro: perché abbiamo perso di peso, e a vantaggio di chi? Non è che questo Governo, con Di Maio agli Esteri, non ha uno straccio di visione e di strategia sul Mediterraneo che non sia l’ossessione di contrastare una inesistente “invasione” di migranti?

Niente di tutto questo. Ecco allora Guerini continuare nello show delle considerazioni ad “aria fritta”: la vicenda in Libia offre uno “spazio di opportunità” ed “è interesse della comunità internazionale sapere che ci può essere un Paese come l’Italia” che ha un approccio basato su iniziative volte ad abbassare i toni. Si tratta di “un’opportunità da cogliere, con il rafforzamento della cooperazione bilaterale, ad esempio”. Per Guerini è necessario “riappropriarci di un ruolo nella vicenda libica” e “riaffermare il ruolo strategico della Libia per l’Italia” con la dovuta consapevolezza. 

Ed ancora: “C’è bisogno che si abbia la consapevolezza che in Libia una partita non possiamo non giocarla. Immaginare di non essere in campo pienamente dentro la vicenda libica, con tutto il carico di impegno e responsabilità che l’Italia – dentro anche lo sforzo collettivo di una dimensione europea deve assumersi in Libia – credo che sia sbagliato”. E, secondo il ministro, sarebbe “sbagliato anche per l’Ue”. Infatti “quando l’Europa ragiona in relazione alla sua capacità di immaginarsi come player globale, non può farlo non tenendo conto di quello che avviene a poche centinaia di chilometri dai propri confini”.

Ora, per usare la metafora sportiva del titolare della Difesa, l’Italia, come Globalist ha documentato in decine di articoli ed interviste, dalla partita libica è ai margini da tempo, relegata in panchina se non sbattuta in tribuna. Ma per non autocelebrarci, usiamo titoli e considerazioni de Il Foglio, che in politica estera è una lettura spesso preziosa. Titolo dell’editoriale: La sai quella dell’Autostrada della pace? Occhiello:

In Libia ha vinto Erdogan, che usa il petrolio libico per finanziare i suoi debiti. Inizio del pezzo: Per farsi un’idea di come l’Italia sia stata sorpassata dalla Turchia in Libia, basta guardare alla mole di accordi economici che Tripoli e Ankara stanno siglando da mesi. 

Riflette il generale Vincenzo Camporini, già capo di Stato maggiore della Difesa, tra i più brillanti analisti italiani di geopolitica e strategia militare: “Purtroppo l’Italia tutta presa dalle problematiche interne, non sta dando alla politica internazionale la necessaria attenzione. E’ un vizio antico degli italiani considerare con una certa indifferenza quello che accade fuori dalle nostre frontiere. Negli ultimi due anni la cosa si è acuita in modo assolutamente intollerabile, noi siamo praticamente usciti da qualsiasi tipo di gioco e la posizione di Roma non è considerata rilevante per la soluzione delle controversie internazionali anche nel quadrante vitale per noi come è quello del Mediterraneo. Potremmo chiaramente fare un cambio di passo, ma una volta che si è usciti da un “club”, rientrarci non è così facile, richiede uno sforzo determinato e una saggezza politica, un’abilità politica, che purtroppo i nostri governanti di oggi non hanno dimostrato. A proposito di questo, sembra che l’unica preoccupazione di coloro che governano il nostro Paese, ma non parlo solo dell’attuale Governo, sia quella di contenere i flussi migratori”.

“La ritirata dell’Lna (il cosiddetto Esercito nazionale libico, al comando del generale Khalifa Haftar, ndr) suggella il successo militare turco e premia il governo di Recep Tayyip Erdogan che ha saputo giocare in modo spregiudicato la carta militare ponendo così il governo di Tripoli sotto la stretta tutela di Ankara e scalzando il residuo ruolo di influenza che l’Italia poteva forse ancora vantare. La recente visita del premier Fayez al-Sarraj in Turchia (vedi foto) ha visto Tripoli spalancare la porta a ogni tipo di aziende turche per attuare la ricostruzione della Tripolitania e la ricerca, in terra e in mare, di nuovi giacimenti di gas e petrolio: segnale inequivocabile che, quasi 110 anni dopo lo sbarco italiano a Tripoli del 1911, i turchi hanno ricacciato gli italiani dalla loro ex colonia”, rimarca Gianandrea Gaiani, direttore di AnalisiDifesa.it

Affari miliardari per il Sultano

Nel 2011, anno della caduta di Gheddafi, i cittadini turchi residenti in Libia erano circa 25.000. Fredde in precedenza, le relazioni tra Ankara e Libia si rafforzarono quando, a seguito dell’embargo militare decretato dagli Usa alla Turchia per l’intervento a Cipro nel 1974, fu la Libia a garantire all’aviazione turca i pezzi di ricambio per i caccia di fabbricazione statunitense in dotazione. D’allora, l’incidenza turca in Libia è cresciuta esponenzialmente.

Quando l’allora primo ministro e attuale presidente della Turchia, Recep Tayyp Erdogan, nel settembre 2011 fece visita a Tripoli, ricevette un’accoglienza da star da parte dei libici. Oggi, la Libia è il terzo partner commerciale della Turchia in Africa. Sono innumerevoli i trattati bilaterali tra i due paesi, tra i quali vanno ricordati l’Accordo per il rafforzamento della cooperazione economica e tecnica (1975) e l’Accordo bilaterale per gli investimenti e la protezione (2009). 

Non basta. La Turchia è tra i maggiori investitori in Libia. Sono stati firmati accordi per realizzare progetti d’intervento in Libia, in particolare nel settore delle infrastrutture, che superano i venti miliardi di dollari. In termini di quantità di lavoratori impiegati nella realizzazione di opere all’estero da parte della Turchia, la Libia è il secondo mercato dopo la Russia.

La crisi siriana ha fortemente indebolito le rotte del petrolio da Arabia Saudita, Iran, Iraq e stati del Golfo. E questo ha portato Ankara a puntare decisamente, nella “battaglia del petrolio”, al sud del Mediterraneo e dunque alla Libia. Mentre altri patteggiavano sotto traccia con milizie o andavano alla ricerca, in terra libica, di improbabili uomini forti a cui affidare il ruolo di gendarme del Mediterraneo, la Turchia ha sviluppato una penetrazione a trecentosessanta gradi, dalla cultura all’alimentazione. 

I turchi hanno aperto a pioggia ristoranti e negozi, mentre diciannove miliardi di dollari sono stati investiti nel campo delle costruzioni attraverso la Turkey Contractors’ Association. Quel che è certo è che ora Erdoğan giocherà qualche asso nella manica per ribadire la presenza necessaria di Ankara sul tavolo libico. E questa carta potrà essere, inevitabilmente, quella dei Fratelli musulmani. Una carta fondamentale, condivisa dalla Turchia e dal Qatar, alleati in Medio Oriente e anche nella partita libica.

Il 7 dicembre 2019, La Turchia ha annunciato l’entrata in vigore dei memorandum di intesa con il Governo libico di Accordo Nazionale, firmati ad Ankara il 27 novembre 2019, da Erdogan e il primo ministro Fayez al-Serraj.

L’accordo, che ha innescato una serie di polemiche culminate con l’espulsione dell’ambasciatore libico dal suolo ellenico, prevede l’istituzione di un’area marittima condivisa tra Libia e Turchia nel Mar Mediterraneo a scopo securitario e commerciale, compresa l’esplorazione e la gestione delle risorse. ’articolo 4 del Memorandum prevede che “nel caso in cui vi siano fonti di ricchezza naturale nella zona economica di una delle parti che si estendono alla regione dell’altra parte, le due parti possono concludere accordi allo scopo di sfruttare congiuntamente queste risorse”.

Inoltre, “nessuna delle due parti può concludere accordi con uno stato terzo senza aver preventivamente avvertito la controparte”.

Il testo così formulato esclude quindi la partecipazione di altri Stati allo sfruttamento dei giacimenti naturali. Particolare che viene esplicitato ulteriormente. 

Secondo il memorandum infatti né la Libia del Governo di Accordo Nazionale, né la Turchia possono, nel caso le esplorazioni si estendano a Stati diversi, concludere accordi con altri, senza che le parti ne siano informate preventivamente. 

Un patto di ferro, dunque, che stabilisce una linea preferenziale tra le due nazioni, che esclude categoricamente da ogni attività le isole greche, come Cipro, unico punto di interruzione di questo corridoio in pieno Mediterraneo. 

La questione riguarda anche i confini territoriali marittimi di Cipro. L’accordo peraltro sottintende una estensione di oltre un terzo della piattaforma continentale turca, attraverso i diritti sull’area libica e va a coprire territori importantissimi dal punto di vista estrattivo. Si tratta di zone destinate alle estrazioni offshore che però Cipro considera “Zona Economica Esclusiva”.

 

Game over

“In Tripolitania c’erano due attori principali: l’Italia e la Turchia. L’Italia negli ultimi 9 mesi ha smesso di giocare quella partita – annota ancora Gaiani – mentre i turchi sono tornati in forze nel loro vecchio possedimento: in pochi mesi hanno liberato Tripoli dall’assedio di Haftar fornendo truppe, mezzi, armi e oltre 15mila mercenari siriani e adesso giocano da una posizione di forza, specie dopo aver firmato col Qatar e il governo di Tripoli l’accordo per l’uso di due basi militari in Libia per 99 anni”.

I nuovi accordi per lo sfruttamento energetico in Libia, infatti, vanno di pari passo con la cooperazione di tipo militare e difensivo. L’obiettivo del “Sultano” di Ankara è di stabilire una presenza massiccia e duratura delle sue forze armate sul territorio libico conquistato dall’alleato al-Sarraj. Nello specifico, l’intento di Ankara è di entrare in possesso di due basi militari controllate dal Governo di accordo nazionale: quella aerea di al-Watiya e quella navale di Misurata, città strategia dalla quale i militari italiani presenti sono stati invitati “gentilmente” a sloggiare per far posto ai turchi.

Ma di tutto questo, il ministro Guerini ne è a conoscenza?

 

 

 

 

Native

Articoli correlati