Tripoli, spari sui manifestanti: iniziata la resa dei conti tra Sarraj e l'uomo di Misurata
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Tripoli, spari sui manifestanti: iniziata la resa dei conti tra Sarraj e l'uomo di Misurata

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Proteste a Tripoli
Proteste a Tripoli
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Umberto De Giovannangeli Modifica articolo

24 Agosto 2020 - 16.16


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Il Generale non ci sta. Il portavoce del sedicente Esercito nazionale libico (Lna), guidato da Khalifa Haftar, Ahmed al Mismari, respinge al mittente l’iniziativa di un cessate il fuoco annunciata dal presidente del Governo di accordo nazionale, Fayez a- Sarraj. “E’ solo marketing mediatico” per gettare “fumo negli occhi”, ha dichiarato in una conferenza stampa, riportata da Al Wasat, segnalando che “l’iniziativa è stata scritta in un’altra capitale”.  Secondo al Mismari, “la Turchia con le sue navi e fregate si prepara ad attaccare Sirte e Jufra. Delle forze sono state trasferite da Misurata alle zone di Al Hicha, a sud est della città, dopo una riunione tenutasi in mattinata tra il capo di stato maggiore turco e un numero di ufficiali e capi milizia di Misurata. Si sono riuniti presso l’Accademia aeronautica e hanno deciso di attaccare la città di Sirte”, ha detto al Mismari. “Venerdì sera, unità di Tripoli e di Al Wattyia ed altri hanno cominciato a dirigersi verso Gharyan e Alasaba. Dopo aver compiuto operazioni criminali hanno avanzato verso Mizda e Qaryat”. Al Mismari ha aggiunto che “è prevedibile che le forze e le milizie che avanzano ora si preparino ad attaccare le nostre unità a Sirte e Jufra, per avanzare poi verso la zona della Mezzaluna petrolifera, a Brega e Ras Lanuf. Le nostre forze armate sono pronte a fronteggiare il nemico se pensa di continuare ad avanzare verso Sirte”, ha avvertito ancora al Mismari.

Il primo elemento certo che arriva da Tripoli è che “non c’è posto per chi ha le mani sporche con il sangue dei libici e per chiunque abbia commesso violazioni che equivalgono a crimini di guerra e crimini contro l’umanità”. 

Haftar nel mirino

Il riferimento è chiaramente rivolto al l’uomo forte, ma ormai non più tanto, della Cirenaica, che nell’aprile 2019 aveva lanciato una violenta offensiva sulla capitale e che non si era ancora espresso sull’accordo annunciato dal presidente del Governo di accordo nazionale libico, Fayez al- Sarraj, e dal presidente del Parlamento di Tobruk, Aguila Saleh. Al-Sarraj, incontrando i suoi ministri oggi, ha chiarito che “non rinuncerà a chiedere l’applicazione della legge nei confronti dei responsabili dei crimini”.  

L’Alto Consiglio di Stato, l’altro organo costituzionale libico, è stato ancora più esplicito. Rifiutiamo categoricamente qualsiasi forma di dialogo con il criminale di guerra, il terrorista Haftar”, ha scritto l’organo che invita a “ricostruire l’istituzione militare, porre fine al caos della proliferazione di armi e dissolvere le formazioni irregolari”. Tutti d’accordo, inoltre, sulla necessità di ripristinare il prima possibile l’attività dei giacimenti petroliferi e dei porti per l’esportazione del petrolio.

E poi c’è il fattore esterno dei tanti attori protagonisti di una guerra per procura. E’ certamente vero che il cessate il fuoco sia stato accolto positivamente dai sei paesi membri del Consiglio di cooperazione del Golfo (GCC) — Arabia Saudita, Kuwait, Bahrain, Qatar, Emirati Arabi Uniti (EAU e Oman — ma è altrettanto vero che proprio il Qatar e gli Emirati Arabi Uniti , assieme all’Egitto e alla Turchia, sono i principali sponsor dell’attuale conflitto.

 Piazza in rivolta

E così, a regnare è sempre il caos. La Missione di sostegno delle Nazioni Unite in Libia (Unsmil) ha chiesto l’apertura di un’indagine sull’utilizzo eccessivo della forza da parte del personale di sicurezza del Governo di accordo nazionale (Gna) durante le proteste di ieri a Tripoli. “Il diritto di riunirsi pacificamente, di protestare e la libertà di espressione sono diritti umani fondamentali che rientra tra gli obblighi della Libia sotto le leggi umanitarie internazionali”, si legge in una nota della missione. Le dimostrazioni, prosegue l’Onu, “sono motivate dalla frustrazione per le scarse condizioni di vita, le interruzioni dell’elettricità e dell’acqua, e la mancanza della fornitura di servizi nel paese”. L’Unsmil esorta i leader libici a “mettere da parte le differenze e impegnarsi pienamente in un dialogo inclusivo, come delineato dal presidente del Gna, Fayez al Sarraj, e dal presidente della Camera dei rappresentanti di Tobruk, Aguila Saleh, nelle loro dichiarazioni della scorsa settimana”. 
Secondo quanto riferito da fonti libiche ad Agenzia Nova spari in aria e colpi di artiglieria sono stati esplosi dalle milizie libiche per disperdere le proteste delle scorse ore a Tripoli, la capitale della Libia, contro il Governo di accordo nazionale. In base a quanto riferiscono le fonti, almeno una persona è rimasta ferita in modo lieve. Diverse manifestazioni contro la mancanza di servizi, la corruzione e il ritardo nel pagamento degli stipendi si sono svolte in diverse zone sotto il controllo del Gna. La capitale Tripoli, la “città-Stato” di Misurata e le località costiere di Zawiya e Sabratha sono tutte state teatro di dimostrazioni per denunciare frequenti blackout elettrici (anche di 18-20 ore), disservizi nella fornitura di acqua corrente, il mancato pagamento degli stipendi arretrati e la presunta corruzione all’interno dell’organo esecutivo libico riconosciuto dalle Nazioni Unite.

I residenti in diverse regioni della Libia occidentale soffrono anche di carenza di carburante e crisi di liquidità in contanti. I dimostranti hanno condannato anche l’annuncio sul cessate il fuoco proclamato dal capo del Consiglio presidenziali venerdì scorso, 21 agosto, parlando di tradimento. 
Nella città di Misurata, i manifestanti hanno mostrato striscioni con la scritta “Febbraio (il mese della rivoluzione anti-Gheddafi) non rimarrà in silenzio, ladri” e “Niente acqua”, chiedendo giustizia contro “i corrotti nel governo Sarraj”.

Resa dei conti a Tripoli

La città di Al Zawiya è testimone di proteste da tre giorni a causa del deterioramento delle condizioni di vita. Qui i manifestanti hanno scandito anche contro il ministro dell’Interno, Fathi Bashagha. Le proteste si sono estese per gli stessi motivi alla vicina città di Sabratha, dove gruppi di manifestanti sono scesi in piazza per mostrare solidarietà ai giovani di Zawiya, denunciando essere stati colpiti da colpi d’arma da fuoco sparati dalle milizie. Le proteste si inseriscono anche nel solco dello scontro politico all’interno della compagine governativa di Tripoli, riesploso dopo il mancato rimpasto di governo. I due principali leader del fronte della Tripolitania, da una parte il premier Sarraj e dall’altro il ministro Bashaga, sono da tempo ai ferri corti. Non è un caso, forse, che a Tripoli – dove le Forze di deterrenza speciale (Rada) vicine al ministro dell’Interno sono molti forti – i manifestanti abbiano scanditi slogan contro Sarraj mentre a Zawiya, dove il premier è più forte, si siano levati cori contro il potente ministro dell’Interno, originario della città-Stato di Misurata. 
Nuove manifestazioni di protesta sono attese per questo pomeriggio in Piazza dei Martiri nel centro della capitale. Una situazione che preoccupa dal punto di vista securitario. Vale la pena ricordare che le forze di polizia non sono dotate né di proiettili di gomma, né di idranti anti-folla, per cui spesso l’unico modo per disperdere i dimostranti più facinorosi è il kalashnikov o (peggio ancora) il frastuono dell’artiglieria.

Non solo. Preoccupa anche la situazione sanitaria, già allo stremo per il lungo conflitto armato e ora sotto pressione per la pandemia di Covid-19. Le dimostrazioni, del resto, si tengono senza il minimo rispetto delle distanze di sicurezza e non tutti portano le mascherine protettive. Intanto il Centro per il controllo delle malattie della Libia ha registrato 572 nuovi casi di coronavirus su 2.101 campioni effettuati nelle ultime 24 ore. Si tratta del maggiore picco dall’inizio della pandemia di Covid-19 lo scorso marzo. Le autorità sanitarie hanno annunciato anche undici decessi e altrettante guarigioni. Il numero totale dei contagi da inizio pandemia è di 11.009 casi, di cui 9.714 attivi, 1.096 guariti e 199 morti.

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