La minaccia di Hamas: "Gli Emirati pagheranno il prezzo del tradimento"
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La minaccia di Hamas: "Gli Emirati pagheranno il prezzo del tradimento"

Parla Fawzi Bahoum, portavoce del movimento: "“Israele è stata premiato per i suoi crimini contro i palestinesi. Chi ha stretto la mano al nemico sionista se ne dovrà assumere tutte le responsabilità".

Fawzi Bahoum portavoce di Hamas
Fawzi Bahoum portavoce di Hamas
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Umberto De Giovannangeli Modifica articolo

17 Agosto 2020 - 11.03


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Un primo risultato, lo “storico” accordo di pace tra Israele ed Emirati Arabi lo ha raggiunto in Palestina: realizzare l’unità delle due maggiori fazioni palestinesi, al-Fatah e Hamas, nella resistenza al “tradimento” emiratino A darne conto, in questa intervista esclusiva concessa a Globalist, è Fawzi Bahoum, portavoce di Hamas. “Israele – ribadisce Bahoum – è stata premiato per i suoi crimini contro i palestinesi. Chi ha stretto la mano al nemico sionista se ne dovrà assumere tutte le responsabilità.

Per una volta almeno, tutti i gruppi, partiti, movimenti, che compongono il variegato arcipelago politico palestinese, sembrano essere d’accordo: rifiutare l’accordo di pace tra Israele ed Emirati Arabi. Ma le autorità emiratine sostengono che grazie a quell’accordo, Israele ha dovuto fermare il piano di annessione di parti della Cisgiordania.

E questo sarebbe un successo, una conquista, una vittoria da celebrare?  E, per giunta, chiedere al popolo palestinese di celebrarla come tale? Al tradimento si accompagna la presa in giro. Chi ha siglato quel vergognoso accordo con coloro che da sempre occupano la Palestina, che hanno ucciso, ferito, incarcerato decine di migliaia di palestinesi “colpevoli” di aver resistito all’occupazione sionista, deve assumersene tutte le responsabilità. Quale sarebbe questo straordinario risultato millantato? La sospensione del piano di annessione? In quell’accordo della vergogna non c’è una parola una di critica al regime di apartheid imposto dagli israeliani nei Territori occupati palestinesi, non c’è un rigo, una parola sul diritto del popolo palestinese ad uno Stato indipendente con Al-Quds (Gerusalemme, ndr) come capitale. Quell’accordo è uno spregio alla memoria dei migliaia di shaid (martiri, ndr) che hanno sacrificato la loro vita per la causa palestinese. Non c’è un accenno alla fine dell’assedio di Gaza. Quanto poi alla fine del piano di annessione, è stato uno dei contraenti (il primo ministro israeliano Benjamin Netanyahu, ndr) a chiarire che si tratta solo di una “sospensione”. Ma di fatto l’annessione è già iniziata da tempo: cos’altro è la colonizzazione ebraica della Cisgiordania, i villaggi palestinesi spezzati dal muro dell’apartheid. Come altrimenti definire le continue aggressioni armate dei coloni israeliani agli abitanti palestinesi considerati da questi criminali come degli intrusi di cui liberarsi?

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Il presidente degli Stati Uniti Donald Trump ha incoraggiato altri Paesi arabi a seguire la strada di Abu Dhabi.

Già questo dovrebbe dirla lunga sul senso di quell’accordo. A sostenerlo è il più stretto alleato d’Israele, l’amico personale di Netanyahu, colui che avallato ogni crimine compiuto dagli israeliani contro il popolo palestinese. Vedremo chi avrà l’ardire di seguire gli Emirati sulla strada del tradimento. Ma i popoli arabi e quelli musulmani hanno già in passato dimostrato da che parte stanno. E hanno compreso bene, forse meglio dei loro leader, che i palestinesi si battono non solo per un loro Stato, ma contro l’ebraizzazione di Al-Quds portata avanti dai sionisti. Hanno compreso che la nostra battaglia è anche la loro battaglia.

Nei giorni scorsi Ismail Haniyeh, il leader di Hamas a Gaza, ha annunciato, cito testualmente: Hamas ha deciso di unirsi ad Abu Mazen nella lotta per costruire uno Stato palestinese sovrano con Gerusalemme capitale e di respingere ogni accordo unilaterale che ha come obiettivo di liquidare gli inalienabili diritti del popolo palestinese. Siamo alla vigilia di un governo di unità nazionale in Palestina?

La questione vitale oggi è costruire una resistenza dal basso che unisca tutte le fazioni palestinesi. Dovremmo avere imparato tutti che le divisioni interne favoriscono il nemico, che lavora per questo. E l’unità si costruisce a partire dalla resistenza, in tutte le sue forme. La resistenza contro chi da dodici anni assedia Gaza, contro chi porta avanti la pulizia etnica a Gerusalemme Est, contro chi spaccia per diritto di difesa, le punizioni collettive, il furto di terre palestinesi, di chi detiene per mesi e anni prigionieri palestinesi senza neanche un processo. Tutto questo non è diritto di difesa, è terrorismo di Stato.

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Il presidente Abbas (Abu Mazen) ha accusato Israele di aver tradito gli Accordi di Oslo

Quegli accordi non dovevano essere firmati, perché frutto di una strategia rivelatasi fallimentare. Israele li ha usati per coprire la colonizzazione, per mantenere l’occupazione, e avere la copertura internazionale. Quegli accordi non sono serviti neanche a ottenere la liberazione di prigionieri palestinesi. Quando ciò è avvenuto, è stato grazie alle azioni della resistenza palestinese.

Perché gli Emirati Arabi hanno scelto di siglare un accordo di pace con Israele?

Per un loro interesse, non certo per quello dei palestinesi. D’altro canto, era da tempo che andavano avanti trattative “segrete” per realizzare questo “capolavoro”. Avranno avuto un tornaconto economico, o contropartite in campo militare. Una cosa, però, i traditori di Abu Dhabi devono avere ben chiaro in testa: nessuno ha dato loro il mandato di parlare e trattare a nome dei palestinesi. Nessuno.

In precedenza, lei ha parlato di una resistenza che può essere portata avanti in varie forme. Anche quella armata?

Il diritto alla resistenza armata da parte di un popolo sotto occupazione è contemplato anche dalla Convenzione di Ginevra. Per Israele chiunque si opponga all’occupazione è un terrorista che va eliminato. In questa storia chi è il vero “terrorista”? La nostra resistenza è contro l’occupante israeliano e per la liberazione della Palestina, e l’occupante israeliano conosce e pratica solo il linguaggio della forza.

Israele ribatte che i terroristi sono quelli che non distinguono tra militari e civili…

Ma questa è una confessione non una denuncia. Negli attacchi a Gaza, gli israeliani hanno ucciso o ferito migliaia di civili, hanno raso al suolo case, scuole, e non si sono certo posti il problema se in quelle case vivevano donne e bambini. Vi sono decine, centinaia, di rapporti di organizzazioni umanitarie e delle stesse agenzie delle Nazioni Unite, che documentano questi crimini. Si può uccidere in tanti modi, non solo bombardando ma anche facendo mancare l’energia elettrica agli ospedali, non permettendo l’ingresso di aiuti umanitari, facendo in modo che il 90% dell’acqua a Gaza non sia potabile…Eppure, solo ai palestinesi si chiede conto di quelli che in Europa considerate “crimini” ma che per noi sono atti di eroismo. Noi non abbiamo i caccia, l’artiglieria pesante, i più sofisticati strumenti di guerra che ha Israele. Eppure non ci arrendiamo. Combattiamo per la liberazione della Palestina con ciò che abbiamo, con i nostri corpi, perché la resa è peggio della morte.

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Ma davvero ritenete che la liberazione della Palestina possa avvenire attraverso una vittoria militare contro uno degli eserciti più agguerriti e meglio armati al mondo?

La propaganda sionista ha costruito il mito dell’invincibilità del suo esercito. Ma questa è una favola. A Gaza, nonostante abbiano utilizzato tutto il loro armamentario, non sono riusciti a debellare la resistenza, e così è stato nel 2006 in Libano. Non siamo stupidi, né ci crediamo dei “super man”. Ma sappiamo che stiamo lottando per una causa giusta, per la quale siamo disposti a dare la vita.

Nel vocabolario di Hamas esiste la parola “pace”?

Con chi dovremmo fare questa “pace”. Con i nostri carnefici? Con chi fa di tutto per ridurci a schiavi? Per gli israeliani pace è sinonimo di resa. E noi non ci arrenderemo mai. Noi resteremo in Palestina, che è la nostra terra, la terra dei nostri avi. Ci resteremo perché è nostro diritto e perché non saremo mai un popolo di deportati. La nostra “pace” è la liberazione della Palestina. Non sarà domani, ci vorranno anni, generazioni, ma alla fine il nostro sogno si trasformerà in realtà.

(ha collaborato Osama Hamdan)

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

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