Camporini: "L'Italia in Libia non conta più niente e vi spiego il perché"
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Camporini: "L'Italia in Libia non conta più niente e vi spiego il perché"

L'intervista al Capo di stato maggiore della Difesa, e prim’ancora dell’Aeronautica, consigliere scientifico dell’Istituto Affari Internazionali (Iai).

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Umberto De Giovannangeli Modifica articolo

22 Giugno 2020 - 10.36


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“In Libia, l’Italia si è messa in un angolo da sola, con posizioni assolutamente velleitarie, non sostenuto da una visione strategica. Il risultato è che oggi in Libia non contiamo più nulla”. Ad affermarlo, in questa intervista esclusiva a Globalist, è il generale Vincenzo Camporini, già Capo di stato maggiore della Difesa, e prim’ancora dell’Aeronautica, consigliere scientifico dell’Istituto Affari Internazionali (Iai).

Generale Camporini, il conflitto in Libia sembra trasformarsi sempre più da guerra per procura a guerra totale che rischia di vedere contrapposti l’Egitto di al-Sisi, dodicesimo esercito al mondo, e la Turchia di Erdogan, secondo esercito, per dimensioni, della Nato, dopo quello degli Stati Uniti. E tutto questo avviene alle porte di casa nostra. Il rischio di una guerra turco-egiziana si fa sempre più concreto?

Io credo che sia un rischio teorico, nel senso che abbiamo oggi una serie di questioni aperte tra Turchia ed Egitto, e non penso solo alla Libia ma anche allo sfruttamento dei giacimenti di gas nel Mediterraneo orientale, e non credo che esistano le condizioni per uno scontro armato. Queste dichiarazioni bellicose fanno parte del gioco diplomatico. D’altro canto, l’Egitto non si può permettere di perdere la sua influenza sulla Cirenaica, per proteggere il so confine occidentale. Non credo che al-Sisi abbia alcun interesse sulla Tripolitania e, a mio avviso, non sarebbe alieno dall’ipotesi di una spartizione della Libia. Va ricordato, a tal proposito, che la Libia è una creazione artificiale, voluta dall’Italia negli anni Trenta, ma le anime della Libia non sono mai state univoche.

L’Italia sembra essere stata messa ai margini della “partita libica”…

L’Italia si è messa in un angolo da sola, con posizioni assolutamente velleitarie, non sostenute da una visione strategica. Il risultato è che oggi in Libia non contiamo più nulla. Lo ha ammesso in queste ore anche Renzi, che però glissa sul fatto che fa parte, con Italia viva, del Governo.

Da cosa è dipeso questo autolesionismo geopolitico: un eccesso di tatticismo, il puntare sulla presunta italica furbizia…Cosa non ha funzionato, generale Camporini?

Non ha funzionato la storica incapacità italiana di usare in modo sinergico tutti gli strumenti a disposizione della politica estera, compreso quello militare. In Libia, poi, ci si è accontentati di tutto il buono fatto da Eni, a cui il Paese ha non può delegare la conduzione della politica estera, fermo restando che De Scalzi si sia mosso con straordinaria abilità

Il futuro della Libia è una partita a due. Turchia ed Egitto o a tre, la Russia di Putin, o sul tavolo, o meglio sul campo, politico, diplomatico, militare, esistono altri problemi e attori?

C’è tutto il problema legato al rapporto interno al mondo islamico, sia dal punto di vista dottrinario sia da quello del posizionamento dei diversi attori nazionali, non solo, ad esempio, tra il Qatar e gli Emirati arabi.

Generali, sultani, zar, emiri, rais…In Libia ci sono tutti ma manca l’inquilino della Casa Bianca. Da cosa nasce, a suo avviso, l’assenza, almeno in prima fila, degli Usa di Donald Trump dal palcoscenico libico?

L’America di Trump ha sempre considerato il Mediterraneo come un quadrante di importanza strategica secondaria, concentrando l’attenzione ai rapporti con quello che Trump e i suoi consiglieri di politica estera considerano il più pericoloso competitor dell’America su scala globale: la Cina.

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