Ashrawi :"In Israele Trump ha vinto le elezioni, noi palestinesi resisteremo"
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Ashrawi :"In Israele Trump ha vinto le elezioni, noi palestinesi resisteremo"

La dirigente palestinese preoccupata per l'esito delle elezioni: "I falchi porteranno avanti una politica colonizzatrice e militarista"

Hanan Ashrawi
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Umberto De Giovannangeli Modifica articolo

4 Marzo 2020 - 14.14


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Il post voto, è il giorno più nero per l’Israele che aveva sperato nella fine dell’era Netanyahu. A dar conto del clima di sconcerto che pervade una parte del Paese, è Haaretz, il quotidiano progressista di Tel Avv: “Una disfatta per lo Stato di diritto” e “un giorno nero per chi cercava di mettersi alle spalle l’incubo degli anni di Netanyahu al potere, caratterizzati da istigazione, divisione e razzismo”. è il fatto che stavolta il premier non fosse solo sospettato, ma ormai incriminato per corruzione e altri reati in tre diversi casi: che milioni di persone abbiano continuato a votarlo appare dunque come «un voto di sfiducia al sistema giudiziario, alla polizia e al Procuratore generale» che hanno braccato per anni “Re Bibi”, fino a costringerlo al processo in programma il 17 marzo.  

Svolta autoritaria

Quella che teme Haaretz è di fatto una svolta autoritaria, con una maggioranza di estrema destra che metta il Parlamento al di sopra della Corte Suprema per consentire al premier di sopravvivere ai propri misfatti. E con un governo iper-sovranista «che annetterebbe territori in violazione della legge internazionale, ruberebbe terra palestinese e stabilirebbe di fatto un regime di apartheid». Insomma, una «politica corrotta che necessita di un primo ministro corrotto”. Toni da fine della democrazia.

Benjamin Netanyahu canta vittoria, anche se il distacco con lo sfidante Benny Gantz è ampio ma non sufficiente per formare un governo. All’indomani delle elezioni, le terze in meno di dodici mesi, in Israele. Il leader del Likud è già al lavoro per creare un esecutivo che faccia ripartire il Paese e metta lui al riparo dalle beghe giudiziarie. L’ex capo di Stato maggiore alla guida di Blu e Bianco ha assicurato che rispetterà “la decisione degli elettori”, sottolineando tuttavia che il primo ministro “non ha la maggioranza”.   
Con il 99% dei voti scrutinati, il blocco di destra guidato da Netanyahu scende da 59 a 58 seggi portando così a tre il distacco dalla maggioranza di 61 su 120 alla Knesset. Inoltre, Blu-Bianco di Benny Gantz sale a 33 seggi riducendo il distacco dal Likud di Netanyahu che si attesta a 37. A scendere è il partito religioso Shas che perde un seggio fermandosi a 9. La Lista Araba Unita è a 15 seggi, terzo partito di Israele. Il piano, lo ha detto chiaramente il portavoce Ulrich, è conquistare il sostegno di qualche transfuga e mettere insieme nel giro di “pochi giorni” un esecutivo. “E’ la più ‘ grande vittoria della mia vita, un successo enorme”, ha scandito ieri notte Netanyahu dal palco, con accanto la moglie Sara, circondato dai sostenitori festanti. I colloqui sono partiti immediatamente, e sono continuati oggi: l’incontro con il leader di Shas, Aryeh Deri c’è già stato, un altro appuntamento allargato a tutti i partiti del blocco di destra ci sarà nel pomeriggio.    I risultati ufficiali non sono ancora stati diffusi, manca il conteggio dei voti degli elettori in quarantena per il coronavirus (le conteranno membri della stessa Commissione elettorale centrale dopo che erano state sollevate preoccupazioni per possibile contagio attraverso le schede) ma i numeri lasciano poco spazio a sorprese: Netanyahu porta a casa 36 seggi contro i 32 di Gantz, Shas 10, Utj 7, Yamina 6; dall’altra parte, oltre al Blu e Bianco c’e’ la coalizione di sinistra Labor-Gesher-Meretz che ne ha presi 7. Grande risultato per la Lista Unica araba che ha ottenuto 15 seggi, una “conquista straordinaria” come ha sottolineato il leader della coalizione arabo-israeliana Ayman Odeh, mentre il partito ultranazionalista russofono Yisrael Beiteinu di Avigdor Lieberman, considerato l’ago della bilancia, si è fermato a 7, uno in meno rispetto alle scorse elezioni di settembre ma sempre due in più rispetto ad aprile.     E su quella che farà, l’ex ministro della Difesa ha continuato a mantenere il riserbo, inviando segnali contrastanti: da una parte ha assicurato che Israele non tornerà alle urne per la quarta volta, ma ha anche ribadito con un messaggio su Twitter di non voler sedere in un governo con gli ultra-ortodossi. 

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Insomma, i giochi sono tutti aperti. Ma quel che certo è che a dirigerli sarà sempre lui, l’intramontabile “King Bibi”. Le elezioni a ripetizione – annota Aluf Benn, direttore di Haaretz, il giornale progressista di Tel Aviv –  sono un meccanismo che Netanyahu usa per rimanere al governo in maniera indefinita, con il parlamento che dovrebbe fare da contrappeso del tutto fuori gioco”. E ancora: “La cosa più probabile, visti i risultati elettorali  è che rimanga al potere, in questo caso potrebbe cercare di deragliare i suoi processi. “Come? Nominando un nuovo procuratore generale dello Stato di fiducia, che potrebbe ordinare l’interruzione dei processi, spiega Benn. Per farlo servono però anche delle leggi che svuotino di potere la Corte Suprema, che per legge dovrebbe convalidare l’intervento del procuratore”.  

Governo senza pace

Alla fine, concordando gli analisti politici a Tel Aviv, la strada più percorribile sembra quella di un Governo di unità guidato da lui, Bibi, in questo caso al quinto mandato, a cui si aggiungerà Blu e Bianco, o parte di esso. Un’operazione gradita al presidente della Repubblica, Reuven Rivlin.  Che tuttavia di solito richiede tempo, anche qualche mese. Stavolta deve essere portata a termine in pochi giorni. Non ha tempo Netanyahu. Vuole a tutti i costi formare quell’esecutivo entro due settimane. Prima di un appuntamento decisivo. Martedì 17 marzo il leader del Likud dovrà infatti recarsi in Tribunale per partecipare alla prima Udienza che lo vede incriminato per tre casi di corruzione. Non era mai accaduto nella giovane storia di Israele vedere un capo di Governo correre con un’incriminazione sulla testa. Tuttavia, in teoria, la legge israeliana consentirebbe di governare anche a chi è stato condannato in primo grado. Fino all’esaurimento dei gradi di giudizio. 
Una volta al potere, è verosimile che Netanyahu cercherà di far di tutto per rafforzare la propria posizione. Ed ora Netanyahu, 70 anni, si appresta a portare avanti, unilateralmente, il più grande cambiamento territoriale di Israele dal 1981 (data della formale annessione delle Alture del Golan) se non dalla guerra del 1967. E questo grazie al presidente americano Donald Trump. L’ultimo, ed ennesimo regalo, fatto dall’amico Donald a Bibi, è stato l’annuncio, a poco più di un mese del voto israeliano, del piano di pace americano per il conflitto israelo-palestinese.  Quello che lo stesso Trump ama definire “Accordo del Secolo”. E che, agli occhi della parte palestinese, che lo ha prontamente rigettato, viene considerato il fallimento del secolo. Il piano prevede l’annessione delle colonie israeliane nei territori palestinesi della Cisgiordania, inclusa la Valle del Giordano, il confine orientale di quello che avrebbe dovuto essere il futuro Stato palestinese. Bibi aveva promesso di annetterle subito, una volta eletto. Gli abitanti delle colonie (500mila in Cisgiordania e 250mila a Gerusalemme Est) hanno subito risposto all’appello riversandosi nei seggi. Probabile che Netanyahu mantenga la parola. Ma se così fosse, Israele avrà, forse, un Governo ma certamente non avrà pace.  A lasciarlo intendere sono anche le prime reazioni all’esito del voto in Israele da parte della dirigenza palestinese: “A vincere sono state ile colonie, l’occupazione, l’apartheid”, afferma Saeb Erekat, storico negoziatore dell’Autorità palestinese ed oggi segretario generale dell’Olp (Organizzazione per la liberazione della Palestina). A Erekat fa eco Hanan Ashrawi, più volte ministra dell’Anp, paladina dei diritti umani nei Territori, la prima donna ad essere stata portavoce della Lega araba e oggi membro dell’esecutivo dell’Olp: “Israele – dice a Globalist Hashrawi, che l’ha raggiunta telefonicamente nel suo ufficio a Ramallah  – ha scelto di affidarsi a un primo ministro che ha lavorato sistematicamente, col sostegno del suo amico americano (Donald Trump, ndr) per distruggere ogni opzione di pace fondata sulla soluzione a due Stati. Ed ora i falchi israeliani si sentiranno ancor più legittimati nel portare avanti una politica colonizzatrice e militarista destinata a infiammare il Medio Oriente. Una cosa è certa: il voto israeliano seppellisce il dialogo ma non piegherà la resistenza del popolo palestinese”.

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