Un politico palestinese continua presso la Corte irlandese l’azione di accusa ai danni di Facebook
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Un politico palestinese continua presso la Corte irlandese l’azione di accusa ai danni di Facebook

Gli avvocati del politico palestinese Mohammed Dahlan hanno dichiarato che il loro difeso continuerà la sua azione legale per diffamazione contro Facebook presso l’Alta Corte di Dublino.

Mohammed Dahlan
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26 Settembre 2019 - 16.19


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Gli avvocati del politico palestinese Mohammed Dahlan hanno dichiarato che il loro difeso continuerà la sua azione legale per diffamazione contro Facebook presso l’Alta Corte di Dublino.

Il sig. Dahlan ha preso la decisione il 10 settembre, dopo aver concluso in Inghilterra la sua richiesta di giudizio per diffamazione contro la testata giornalistica Middle East Eye con sede a Londra.

Paul Tweed, avvocato del sig. Dahlan, ha dichiarato: “Il sig. Dahlan ha avviato un procedimento per diffamazione nei confronti del Middle East Eye presso l’Alta Corte di Londra, accusato di aver pubblicato un articolo in cui la testata affermava che il mio cliente sarebbe segretamente coinvolto nel finanziamento del fallito golpe militare in Turchia del Luglio 2016. L’articolo ha anche fatto false affermazioni sulle sue attività in Libia. Conteneva inoltre la ridicola e ovviamente falsa affermazione secondo cui il sig. Dahlan sarebbe stato esiliato dagli Emirati Arabi Uniti.

“Il Middle East Eye non ha mai provato a verificare nessuna di queste affermazioni contattando Mohammed Dahlan. Nell’azione legale non ha cercato di difendere nessuna delle affermazioni riportate nella testata come vere. Ha ammesso che le affermazioni si basavano su informazioni fornite da un’unica fonte non identificata e proveniente dai servizi di intelligence turchi.

“Mohammed Dahlan ha ora raggiunto i suoi obiettivi nel procedimento inglese il quale ha dato i risultati sperati. Continuerà con forza a perseguire la sua azione legale contro Facebook presso l’Alta Corte di Dublino, colpevole di un’ulteriore e più ampia diffusione internazionale di queste false accuse e per aver diffuso in modo inesatto i suoi dati”.

La vicenda aveva alzato un vero e proprio polverone nel luglio del 2016. Infatti la testata giornalistica Middle East Eye (MEE) aveva fatto uscire un pezzo in esclusiva dove veniva indicato Dahlan come ago della bilancia nello scacchiere mediorientale. Aveva infatti dichiarato che lo stesso avrebbe fatto segretamente arrivare finanziamenti in Turchia per fomentarne il fallito colpo di stato ai danni del presidente Erdogan; questo in combutta con altri stati del golfo oppositori del Qatar.

Successive indagini avevano confermato che il pezzo del MEE non aveva nessuna prova a conferma delle pesanti accuse sostenute. Gli investigatori inglesi avevano riscontrato un totale disinteressamento alle fondamentali regole giornalistiche sull’approvvigionamento di accurate fonti. Tutta la storia è risultata basata su di un’unica fonte, perdipiù non verificata, proveniente da una non meglio precisata sezione dello spionaggio turco.

Lo scalpore iniziale delle dichiarazioni aveva per di più contribuito a insabbiare maggiormente la reale vicenda del fallito golpe in Turchia. Complice di questa vicenda di cattivo giornalismo la scoperta di pesanti indizi rivelanti la non imparzialità della testata, di fatto foraggiata per la maggior parte dallo stato del Qatar. A prova di ciò era infatti stato svelato come spesso ci sia stato un travaso di dirigenti ed operativi tra il MEE e il network mediorientale Al Jazeera, che come ben noto segue e difende gli interessi del Qatar nel golfo e spesso ne sostiene le cause a livello internazionale.

Lo stesso rifiuto di David Hearst, ex veterano della testata britannica The Guardian e fondatore del MEE, di dichiarare le proprie fonti di finanziamento, pongono seri dubbi sulla reale imparzialità della propria creatura giornalistica e sul fatto che le vicende riportate sulle sue pagine abbiano il solo scopo di rivelare la verità, invece di perseguire fini politici di parte.

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