Primo Carnera, il gigante buono del ring che fece sognare l'Italia
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Primo Carnera, il gigante buono del ring che fece sognare l'Italia

Fu un povero Cristo che è stato strumentalizzato e derubato dei suoi guadagni, ma che ha dato gioia e orgoglio agli italiani

Primo Carnera, il gigante buono del ring che fece sognare l'Italia
Primo Carnera
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Giancarlo Governi Modifica articolo

29 Giugno 2023 - 09.50


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Il mito di Primo Carnera, scomparso trent’anni fa, resiste ancora. Chi era? Un gigante dai piedi d’argilla, come ci mostrò impietosamente un film con Bogart, o un vero campione? Un pugile diventato tale per fame o anche un uomo con qualità agonistiche? Di certo fu un povero Cristo che ha percorso le strade più difficili, che è stato strumentalizzato, derubato dei suoi guadagni, ma che ha dato gioia e orgoglio agli italiani d’Italia e soprattutto alle centinaia di migliaia di emigranti che grazie a lui ritrovarono il senso della parola «ITALIA» . La sua storia, densa di avvenimenti quasi sempre clamorosi ed eccessivi come il suo fisico, comincia in quel paese di antico ceppo che si chiama Friuli, sulla riva destra del fiume Tagliamento, in una terra che abbiamo imparato a conoscere più per le vicende legate alla prima guerra mondiale che per i suoi meriti reali. Primo Carnera, l’atleta che venne chiamato “l’uomo più forte del mondo”, nacque in un paese chiamato Sequals, in Friuli dove l’emigrazione è una tradizione dettata dalla necessità.


Nel 1924, in una Italia in camicia nera e piena di confusione i genitori di Primo decidono di farlo emigrare, non ci sono più possibilità a casa Carnera per questo diciottenne ingombrante e famelico.


Primo raggiunge uno zio a Le Mans, in Francia, e lavora come spaccalegna, mettendo a frutto la sua forza smisurata. Qualcuno lo nota e lo fa scritturare da un piccolo circo, di quelli che girano per i paesi dei Pirenei, dove viene esibito come un mostro, come l’uomo forzuto che tutti possono sfidare.


Queste sono le sue misure: altezza 2 metri e 5, peso 120/126 kg, quando sarà nel pieno delle sue forze, circonferenza torace 128, lunghezza della mano 22 cm, lunghezza del piede 32,1, scarpe numero 52, braccia che sembrano tronchi… Lo chiamano «Juan lo spagnolo, il terrore di Guadalajara». Apprende la noble art del pugilato e dopo un periodo di apprendistato in Francia Primo è destinato all’America.


L’America del 1930 si sta riprendendo dalla crisi provocata dal crollo di Wall Street. Le immagini di Carnera. trasportate da furgoni, sfilano per le strade di New York. Carnera vince una serie di incontri e diventa subito l’idolo degli italiani d’America, che vedono in lui il riscatto, colui che può vendicarli di tante umiliazioni.


Carnera oramai è lanciato e vorrebbe battersi per il campionato del mondo dei massimi. Alla fine ci riesce ma prima deve incontrare un altro pretendente al titolo, il tedesco Schaaf, che è stato battuto e ridotto davvero male da Max Baer, un pugile di talento. Schaff viene battuto anche da Carnera e finisce all’ospedale, due giorni dopo muore.

L’organizzazione della boxe viene messa sotto accusa: Schaff non avrebbe dovuto disputare l’incontro, perché glielo hanno permesso? Carnera si sente colpevole e va a trovare la madre di Schaaf che gli dice “non è colpa tua”. Ma il rimorso lo attanaglierà per tutta la vita. C’è un intervista di molti anni dopo, in cui Carnera, ormai pensionato, dice di avere sempre davanti agli occhi il volto del povero Schaaf.


Ogni tanto Carnera torna in Italia, nella sua Sequals, dalla quale riparte per farsi fotografare accanto ad attori, cantanti, ma anche in camicia nera. Siamo negli anni della piena affermazione del fascismo e Carnera si lascia travolgere. Perché lo fa? Ma anche Roosevelt e Churchill ammirano Mussolini e chi è lui, povero emigrato, per non sentirsi orgoglioso di questa Italia che incute timore?

Quando torna in America per l’incontro più importante della sua vita, quella della conquista del titolo dei massimi, non esita a proclamare di avere un grande stimolo per vincere. «Quale?», gli chiedono. «Se vinco, sarò ricevuto dal duce!»

E’ arrivato il momento della grande sfida. Carnera si allena durante la traversata atlantica in un ring allestito a bordo del Rex. Il suo avversario è Sharkey.


Il 26 giugno 1933 a Long Island il gigante friulano affronta Sharkey e lo batte per k.o. al sesto round conquistando il titolo mondiale! Sharkey, dopo l’incontro, appare frastornato, dice frasi sconnesse e si riprende solo dopo un paio d’ore: dunque Carnera ha picchiato sodo! Gli italiani esultano e sono gonfi di orgoglio, è la prima volta che un loro connazionale conquista la cintura di campione del mondo di pugilato. Carnera dedica la vittoria al Duce.

«L’ampia mano del pugilatore ha raccolto un ramoscello d’ulivo e lo ha umilmente deposto ai piedi di Mussolini», scrive il Corriere della Sera, con parole dettate dallo stile retorico dell’epoca. Mussolini telegrafa, mettendo “alt” al posto di “stop” alla fine di una frase: la lingua inglese comincia ad essere bandita.


Il fascismo strumentalizza al massimo la vittoria di Carnera e i giornali italiani descrivono il ‘gigante di Sequals’ come esempio di italica forza. Il suo nome, tra l’altro, suona bene per il tam-tam della propaganda: “Primo” è promessa di primato e simboleggia le ambizioni dell’Italia in camicia nera. “Carnera” riempie la bocca, diventa sostitutivo di un genere che scarseggia e che è il cibo-mito dei poveri.


Ma arriva il momento di difendere il titolo contro il suo grande rivale, Baer, il pugile ebreo, che porta stampata sui calzoncini la stella di Davide. Quando si incontrano sul ring, a Long Island, nel 1934, Baer, detto “il bello” (e in effetti ha un bel viso, un bel fisico e piace tanto alle donne, che invita a bordo ring), sfodera tutta la sua grazia pugilistica e lo mette k.o. Un ebreo ha battuto il gladiatore romano! E’ l’inizio della fine di un mito.
A Carnera restano incontri minori, in attesa di incontrare il pugile del momento, il nero Joe Louis, 21 anni (Carnera ne ha 29), nato in Alabama, nelle piantagioni di cotone. L’incontro si carica di parecchi significati: ormai l’Italia è in procinto di conquistare l’Africa e i neri diventeranno i nemici mentre a New York Harlem impazza per Louis. Alla sesta ripresa Louis finisce Carnera, umiliandolo.


Mussolini sembra ripudiare il suo campione, messo al tappeto da un ebreo e da un negro, e darà ordine di non parlare più di lui.


Dopo la guerra e qualche altro incontro-farsa, riceve la proposta di tornare in America dove è ancora popolare, soprattutto fra gli italo-americani, e darsi al catch, con il quale riesce a ricostituire in parte il suo patrimonio.

Nessuno immagina in quali condizioni sia ora, quando rientra a Roma il 20 maggio del 1967, ormai distrutto dal diabete e dalla cirrosi epatica.

All’aeroporto ci sono tutti i vecchi pugili ma l’Italia moderna lo ricorda soltanto per quel suo nome che è diventato proverbiale. La televisione italiana, con grande… sensibilità, lo accoglie in patria mandando in onda Il colosso d’argilla. Nino Benvenuti che poche settimane prima a New York ha conquistato il titolo mondiale battendo ai punti Emile Griffith, gli va a rendere omaggio. Ed è una delle poche consolazioni.


Il 29 giugno, alle sei del mattino, Carnera muore. Ha 60 anni. L’uomo più forte del mondo, come è stato chiamato, risulta battuto ancora una volta da un verdetto inappellabile. L’ultimo pensiero va ai figli. «Hanno potuto studiare», sussurra prima di spegnersi, «i pugni che ho preso sono serviti a qualcosa».

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