Kosovo, espianto di organi ai prigionieri serbi
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Kosovo, espianto di organi ai prigionieri serbi

Un ex componente dell’Armata di liberazione del Kosovo, l’Uck, da mesi sta raccontando al procuratore serbo che indaga sui crimini di guerra e il traffico di organi.

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12 Settembre 2012 - 14.56


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Il pentito anonimo e col viso coperto è comparso su Rts. la tv di Stato serba, per rendere una testimonianza agghiacciante. “Venni addestrato a maneggiare organi umani – ha detto – allora la spiegazione era che essendo le forze serbe dappertutto se uno dei nostri fosse rimasto ferito avremmo dovuto sapere come salvargli la vita. Quindi imparai come espiantare un organo e come conservarlo sottovuoto in un contenitore di plastica, come proteggerlo con fluidi ed olii speciali”.

L’uomo ha raccontato come venne asportato il cuore ad un prigioniero serbo di una ventina d’anni di eta’.“Certamente non era un soldato dell’Armata di liberazione ma non ho domandato chi fosse, chi ero io per chiederlo? Ero giovane e lì c’erano i comandanti, due uomini portarono un giovane in barella e lo stesero su un tavolo, poi chiamarono altri due perché gli tenessero le gambe per non farlo muovere”.

“Un dottore, uno di quelli che mi avevano addestrato, aveva una borsa nera e ne tirò fuori un’attrezzatura per le operazioni: mi diede in mano uno scalpello ed in quel momento mi sentii male. Male, dico, come in una situazione che rassomiglia ad un incubo senza fine, lo ricordo ancora adesso. Il medico mi disse cosa ero supposto fare su quel corpo, cioè tracciare una linea, poi tagliare quel ragazzo e fare un’incisione dalla gola fino alla fine delle costole”.

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“Mi accorsi che quel giovane non era albanese quando in lingua serba si mise a gridare:”Oddio, per favore, non tagliatemi, non ammazzatemi!”. “Il comandante mi ordinò di fare presto, impugnai lo scalpello nella sinistra e voltai la faccia per non vedere il prigioniero. Cominciai a tagliare, al termine dell’incisione comincio’ a zampillare il sangue ed il ragazzo smise di gridare, aveva perso conoscenza, non so se era svenuto o morto”.

“Quella fu la prima volta che vidi un cuore. Il comandante approvò dicendo ‘ben fatto, questo è il genere di soldati che vogliamo in Kosovo ed e così che vinceremo’. Il cuore fu messo in una scatola che mi fu affidata, assieme ad un soldato partii per Tirana a bordo di una “Volvo” ma anziché in città ci recammo direttamente all’aeroporto. Alcuni militari albanesi in divisa salutarono, c’era un aereo privato in attesa con davanti una persona, un bell’uomo che non mi pareva albanese. L’aereo portata insegne turche”.

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Il racconto è stato interrotto dal procuratore, Bruno Vekaric con le seguenti parole: “Questa è solo una piccola parte di quanto il testimone ci ha raccontato, da sedici mesi lavoriamo per verificare le sue informazioni in tutti i modi possibili. Qualsiasi rappresentante di istituzioni internazionali può interrogare il teste per rendersi conto di quanto è realmente accaduto”. Il procuratore ha poi spiegato che è stato deciso di far apparire il testimone in tv perché si temono ostruzioni nell’indagine.

“Alcuni intoppi si sono già verificati e questo si collega al lungo tempo che è trascorso da quando è stato formato il team internazionale di investigatori diretto da John Williamson. Il tempo passa e non accade assolutamente nulla: non voglio indicare le nazioni responsabili di questo blocco, ma certamente esistono forze che non saranno avvantaggiate dalla luce che su tali mostruosità si sta facendo”.

L’uomo che sta svelando gli orrori del traffico d’organi in Kosovo sarà protetto in ogni modo, dice a “B 92” Aleksandar Vulin, capo dell’ufficio belgradese per la regione: “Dobbiamo essere particolarmente attenti poiché nel processo contro Ramush Haradinaj (ex primo ministro del Kosovo, n.d.r) ed altri esponenti del “Kla” alcuni testimoni sono stati uccisi ed altri hanno sperimentato perdite della memoria”.

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“In questo Paese cose di questo genere non devono accadere – continua Vulin – nessun testimone è stato messo in pericolo, cosa che racconta del nostro Paese ma anche di altri, che invece consentono la sparizione di testi importanti. Nel caso Haradinaj non uno di essi è sopravvissuto: qualcuno è stato ucciso in Montenegro, qualcun altro nell’Unione europea, qualcun altro altrove ed altri ancora si sono dissolti in Kosovo”.

“Vi ricordo ancora che molte prove materiali sono state distrutte: se parliamo della “Casa gialla” (dove venivano effettuati gli espianti di organi su prigionieri di guerra vivi), o del caso di Gorazdevac dove tutti i documenti sono stati presi dalla comunità internazionale ed in gran parte sono scomparsi. Di recente qualcuno in Kosovo ha appicato il fuoco in un luogo in cui era stata scoperta una fossa comune che si pensava contenesse corpi di serbi”.

(da Italintermedia)

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