Il Qartargate e l'emiro della Fifa Gianni Infantino
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Il Qartargate e l'emiro della Fifa Gianni Infantino

La petromonarchia del Qatar ha un altro “emiro” da mostrare al mondo. Il suo nome è Gianni Infantino e di mestiere fa il presidente della Fifa.

Il Qartargate e l'emiro della Fifa Gianni Infantino
Gianni Infantino presidente della Fifa
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Umberto De Giovannangeli Modifica articolo

17 Dicembre 2022 - 15.01


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Chissà se qualche servizio segreto indagherà su di lui. Di certo, la sua faccia tosta non ha prezzo. Altro che i Panzeri, le vice presidenti carneidi del Parlamento europeo. La petromonarchia del Qatar ha un altro “emiro” da mostrare al mondo. Il suo nome è Gianni Infantino e di mestiere fa il presidente della Fifa.

L’emiro Infantino

Alla vigilia della finale dei mondiali, l’”emiro” Infantino tira un bilancio della manifestazione calcistica. Una conferenza stampa trasformata in un mega stop planetario per i munifici padroni di casa.  Quello di Infantino è uno show imbarazzante, un insulto continuo a quanti hanno denunciato le malefatte dei regnanti qatarioti. 

La Fifa “difende i diritti umani in ogni parte del mondo”, ma prima viene il pallone: “Noi giochiamo a calcio e proteggiamo il calcio e i suoi tifosi“. Così Infantino in conferenza stampa risponde alle critiche per il mancato rispetto dei diritti umani in Qatar e per il suo no alla fascia arcobaleno che volevano indossare i capitani di alcune Nazionali durante i Mondiali. Il presidente della Fifa traccia un bilancio entusiastico sulla Coppa del Mondo che volge al termine, negando anche che ci siano state troppe vittime nella costruzione degli stadi: “Le cifre sugli operai morti non sono reali“, sostiene Infantino.

Parole che hanno provocato la durissima reazione di Amnesty International: “Infantino ha annunciato che la Fifa ha guadagnato 7,5 miliardi di dollari dalla Coppa del Mondo, oltre un miliardo in più del previsto”, e che “le entrate Fifa saliranno a 11 miliardi in 4 anni. Eppure non ha offerto nulla di nuovo ai tanti lavoratori e alle loro famiglie che continuano a vedersi negare il risarcimento per salari rubati e vite perse”, dice Stephen Cockburn. “I lavoratori migranti dietro questo Mondiale” in Qatar “hanno contribuito enormemente all’incredibile ricchezza Fifa, che ora ha la chiara responsabilità di risarcirli” invece di “continuare a ignorare le richieste di giustizia“. Per Amnesty Italia è intervenuto il portavoce Riccardo Noury: “Penso che sempre più gente non sia disposta a godersi le partite e ad esultare per i gol quando il prezzo è 6.500 lavoratori migranti morti. E’ inutile che Infantino sminuisca dicendo che viene prima il divertimento e poi la vita, prima i gol e poi i diritti, perché a questa cosa non ci crede ormai più nessuno. Ha perso un’altra occasione per fare bella figura”.

La sua è una difesa del Qatar e dei Mondiali a tutto tondo, senza autocritica. Infantino sostiene che “il messaggio contro la discriminazione è chiaro” e che “la Fifa è un’organizzazione che difende i diritti in ogni parte del mondo in cui è rappresentata”. Poi però arrivano le precisazioni: “Tutti possono esporre le proprie idee, ma noi giochiamo a calcio e proteggiamo il calcio e i suoi tifosi”. Insomma, Infantino chiarisce senza vergogna che gli interessi del pallone vengono prima dei diritti: “Quando parliamo di regolamento, non si tratta di proibire qualcosa, ma di rispettare appunto il regolamento. Che dice una cosa chiara: sul terreno di gioco si gioca a calcio e lì dentro bisogna rispettare le regole del calcio. Ci sono tifosi che vanno allo stadio e un miliardo di persone che guardano il Mondiale sugli schermi: dobbiamo pensare a loro“. Infantino ricorda che “la Fifa rappresenta 211 paesi in tutto il mondo. Sono grato a tutti loro. Possiamo avere discussioni su qualsiasi argomento. Ci sono preoccupazioni in diversi paesi perché ci sono culture diverse. La Fifa è un’organizzazione globale e dobbiamo ascoltare tutti. Dobbiamo andare tutti insieme. Quando parliamo di divieti o mancanza di divieti non si tratta di vietare, si tratta di rispettare”. Per il presidente della Fifa, quindi, “ognuno può esprimere la propria opinione“, ma “fuori dal campo“.

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 Anche sullo sfruttamento dei lavoratori migranti Infantino si difende: “Ogni morte è una tragedia per tutti. Una morte è sempre una disgrazia. Le cifre sugli operai nella costruzione degli stadi non sono reali. Quando si parla di cifre bisogna essere molto precisi per evitare di generare l’immagine di qualcosa che in la realtà è un’altra. Devi prestare attenzione a come presentiamo queste cifre. Chiunque muoia è una tragedia e cosa possiamo fare per proteggere e migliorare la salute dei lavoratori lo abbiamo fatto”, sostiene Infantino. Che quindi contesta il lavoro d’inchiesta di diverse organizzazioni e testate giornalistiche nel mondo, che stimano ci siano stati durante gli anni di preparazione ai Mondiali tra i 6mila e gli 8mila lavoratori morti in Qatar.

Infantino invece in conferenza stampa continua a tessere le lodi del Paese che ha ospitato i Mondiali: “Aspetterò fino alla fine per apprezzare questa Coppa del Mondo, ma il potere di trasformazione e l’eredità di questa Coppa del Mondo sta nel fatto che molte persone sono venute in Qatar per scoprirlo e hanno scoperto il mondo arabo. Allo stesso tempo, i qatarioti e i sauditi hanno accolto molti fan da tutto il mondo e si sono preparati ad accogliere il mondo. Hanno aperto le loro case e il loro paese per accogliere il mondo. Questa è l’eredità. Hanno scoperto che ciò che si pensava e quello che è stato detto non è vero“, sostiene ancora Infantino.

Incredibile ma vero. 

Le sei cose da sapere

Le svela Amnesty International, in un rapporto precedente l’inizio dei mondiali di calcio. 

“Dal 20 novembre, quando inizieranno i Mondiali di calcio, il Qatar sarà sotto i riflettori del mondo. Dal 2010, anno dell’assegnazione del torneo da parte della Federazione internazionale delle associazioni calcistiche, la drammatica condizione del lavoro migrante è stata oggetto di crescente attenzione. I lavoratori e le lavoratici migranti continuano a essere vittime di sfruttamento e lavoro forzato e a non ricevere salari.

Ma quella ai danni dei lavoratori e delle lavoratrici migranti è solo una delle violazioni dei diritti umani in Qatar: le autorità reprimono la libertà d’espressione, di stampa e di associazione; quello dei processi iniqui continua a essere tema di preoccupazione; le donne subiscono discriminazioni nelle leggi e nella prassi così come le persone appartenenti alla comunità Lgbtqia+.

Libertà d’espressione e di stampa 

Le autorità del Qatar utilizzano leggi repressive nei confronti di chi critica le istituzioni, tanto cittadini locali quanto lavoratori migranti. Cittadini del Qatar sono stati arrestati arbitrariamente per aver criticato il governo e poi condannati al termine di processi iniqui. 

Malcolm Bidali, addetto alla sicurezza, attivista per i diritti dei lavoratori migranti e blogger originario del Kenya, è stato sottoposto a sparizione forzata e poi detenuto in isolamento per un mese solo per aver rivelato le sofferenze patite dai suoi colleghi.

In Qatar c’è poco spazio per l’informazione indipendente. La libertà di stampa è limitata da crescenti vincoli imposti agli organi d’informazione, come ad esempio il divieto di girare riprese in edifici governativi, ospedali, università, alloggi per lavoratori migranti e abitazioni private.

Libertà d’associazione e di manifestazione

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I lavoratori migranti non possono formare sindacati né aderirvi. Possono far parte dei cosiddetti comitati congiunti, organismi diretti dai datori di lavoro nei quali è consentita una rappresentanza dei lavoratori. I comitati congiunti non sono imposti per legge e oggi ne fa parte solo il due per cento dei lavoratori.

Cittadini locali e lavoratori migranti rischiano ripercussioni se vogliono esercitare il diritto alla libertà di manifestazione. Nell’agosto 2022 centinaia di lavoratori migranti sono stati arrestati ed espulsi per aver fatto un corteo nella capitale Doha contro l’azienda che non aveva versato loro i salari.

Processi iniqui 

Nell’ultimo decennio vi sono stati processi iniqui nei quali gli imputati hanno denunciato di essere stati torturati e condannati sulla base di “confessioni” estorte. Spesso le persone arrestate vengono interrogate in assenza degli avvocati, isolate dal mondo esterno e senza neanche l’ausilio di un interprete.

Diritti delle donne 

Le donne continuano a subire discriminazioni per legge o nella prassi. Il sistema del tutore maschile (di solito il marito, il padre, un fratello, un nonno o uno zio) prevede che le donne debbano chiedere il permesso per sposarsi, studiare all’estero, lavorare nell’amministrazione pubblica, viaggiare all’estero se hanno meno di 25 anni e accedere ai servizi di salute riproduttiva.

Il diritto di famiglia rende molto complicato il divorzio che, nei pochi casi in cui viene ottenuto, produce ulteriori discriminazioni di natura economica. Le donne non sono protette adeguatamente dalla violenza domestica e sessuale.

Diritti delle persone Lgbtqia+ 

L’articolo 296.3 del codice penale criminalizza vari atti sessuali consensuali tra persone dello stesso sesso e prevede il carcere, ad esempio, per chi “guidi, induca o tenti un maschio, in qualsiasi modo, a compiere atti di sodomia o di depravazione”. L’articolo 296.4 criminalizza chiunque “induca o tenti un uomo o una donna, in qualsiasi modo, a compiere atti contrari alla morale o illegali”.

Nell’ottobre 2022 le organizzazioni per i diritti umani hanno segnalato casi in cui le forze di sicurezza hanno arrestato persone Lgbtqia+ in luoghi pubblici, solo sulla base della loro espressione di genere, controllando i contenuti dei loro telefoni. Le transgender arrestate sono obbligate a seguire terapie per la conversione come condizione per la loro scarcerazione.

Diritti dei lavoratori e delle lavoratrici

Nonostante i tentativi in corso di riformare il sistema del lavoro, mancato o ritardato versamento dei salari, condizioni di lavoro insicure, diniego dei giorni di riposo, ostacoli alla ricerca di un nuovo lavoro e accesso limitato alla giustizia restano una costante nella vita di migliaia di lavoratori. La morte di migliaia di lavoratori non è mai stata indagata. Sebbene sia stato istituito un fondo locale per risarcire i salari non versati, centinaia di migliaia di lavoratori migranti devono ancora ricevere un risarcimento per i danni subiti nello scorso decennio.

Il lavoro forzato domina ancora, soprattutto ai danni dei lavoratori del settore della sicurezza privata e delle lavoratrici domestiche. Il pagamento di somme sproporzionate per ottenere un impiego (da 1000 a 3000 euro) è causa di debiti che a ripagarli ci vogliono mesi se non anni, contribuendo così a intrappolare i lavoratori in un ciclo di sfruttamento.

Cosa ne pensi l’emiro Infantino è chiaro. Fa testo la sua, metteteci voi gli aggettivi più consoni, conferenza stampa.

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Rimarca Valerio Moggia in un documentato e incalzante report per Linkiesta.it: “Non c’è un continente che non abbia ricevuto soldi dal Qatar, a quanto pare, e pure le ultime rivelazioni sull’Europa in realtà suonano nuove fino a un certo punto. Nell’estate 2015, Joseph Blatter, a sua volta al centro all’epoca di accuse di corruzione, assicurò che dietro l’assegnazione del Mondiale al Paese arabo c’era lo zampino addirittura del Presidente della Repubblica francese Nicolas Sarkozy. Sarebbe stato lui a organizzare il famigerato pranzo all’Eliseo a cui erano presenti, oltre allo stesso Blatter, anche il capo della Uefa Michel Platini e l’allora principe qatariota (oggi emiro) Tamim bin Hamad Al Thani. E in quell’occasione si sarebbero formalmente decise sia l’impegno della UEFA per indirizzare il voto delle federazioni europee verso Doha, sia l’acquisizione del PSG da parte del fondo sovrano qatariota. Blatter dice che, oltre a questo, ci fu un altro intervento decisivo della politica europea in favore del Qatar, e fu portato avanti da Christian Wulff, ai tempi Presidente federale della Germania.

Il quadro che ne emerge è abbastanza inquietante, e racconta bene la pervasività del potere qatariota nel mondo. Attraverso l’economia, Doha ha saputo rendersi indispensabile in varie aree strategiche del pianeta, e i Mondiali sono stati solo uno dei banchi di prova di questa rete di relazioni. Ma parlare di corruzione non è mai facile. Tutte le accuse piovute addosso al Qatar in questi ultimi dodici anni non hanno infatti avuto alcuna conseguenza legale concreta.

La Fifa aveva anche affidato un’inchiesta interna all’avvocato indipendente Michael Garcia, che si era avvalso della collaborazione di Phaedra Almajid, la fonte della prima inchiesta del Sunday Times del 2011, poi costretta a ritrattare (pare) dietro minacce. Nel settembre 2014, dopo oltre due anni di lavoro, Garcia consegnò il suo report sulla controversa assegnazione dei Mondiali in Qatar al responsabile etico della Fifa Hans-Joachim Eckert, ma quando il documento venne pubblicato l’autore lamentò che fosse stato pesantemente tagliato, alterando il senso del suo lavoro. Lo scandalo che sembrava aver provato la volontà della Fifa di nascondere la polvere sotto il tappeto finì però per sgonfiarsi nel 2017, quando la Bilddiffuse il report completo, rivelando che non conteneva nulla più che supposizioni e testimonianze, e nessuna prova.

Per cui, mentre i Mondiali in Qatar stanno per terminare, l’unica cosa certa che possiamo dire sulla corruzione di Doha è che tutti assicurano esista, ma nessuno l’ha mai dimostrato. Ogni probabilità di ribaltare questo trend risiede oggi nelle borse piene di contanti rinvenute in casa dei funzionari di Bruxelles”.

Così Moggia.

Quanto a noi di Globalist, ci sentiamo di condividere le riflessioni del direttore del Domani, Stefano Feltri. 

  • “Nello scandalo Qatar-Europarlamento c’è un grande assente: si parla sempre dei presunti corrotti, mai del presunto corruttore. 
  • L’Unione europea e gli Stati uniti hanno deciso che è un paese strategico per la politica energica e non soltanto nell’area del Golfo. 
  • Dunque, ci saranno un po’ di strepiti in questi giorni, ma poi tutto continuerà come prima”.

Amen. 

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