L'assurdità della responsabilità oggettiva
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L'assurdità della responsabilità oggettiva

Considerazioni a margine dell'inchiesta su Mauri. Punire una società per il comportamento scorretto di un suo giocatore è come condannare il derubato e non il ladro.

L'assurdità della responsabilità oggettiva
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Giancarlo Governi Modifica articolo

16 Gennaio 2013 - 17.05


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di Giancarlo Governi

Oramai siamo all’assurdo e all’arbitrio. Ci sono organi di stampa che non si limitano a dare anticipazioni sui procedimenti ma emettono sentenze di condanna e ipotizzano addirittura la pena. E questo ai danni di una società quotata in borsa. Mi riferisco ovviamente alla Lazio e alle anticipazioni sul procedimento che la giustizia sportiva dovrebbe iniziare sul caso Mauri, prima ancora che la procura di Cremona abbia concluso le sue indagini e abbia emesso la sua sentenza di rinvio a giudizio o di non luogo a procedere.

Siccome sono laziale e rischio di essere accusato di parlare pro domo mea, mi vorrei limitare a due considerazioni di carattere generale su fatti che possono interessare tutte le società di calcio (a cominciare dal Napoli che deve rientrare dei due punti scippati) e tutti i cittadini della Repubblica. Il primo punto è quello a cui ho già fatto cenno che riguarda la stampa che anticipa addirittura le sentenze. Il secondo riguarda la famigerata “responsabilità oggettiva” che fa sì che le società da parte lesa vengono trasformate in reo e per questo condannate. Mi verrebbe da pensare a Pinocchio dove il giudice condanna il derubato e non il ladro.

Eppure c’è ancora qualcuno autorevole come Palazzi, il procuratore federale, che definisce la responsabilità oggettiva “l’architrave su cui poggia da anni la giustizia sportiva”, oppure come Gianni Petrucci, da presidente del Coni, che la definisce “caposaldo del calcio e dello sport”.

Sono posizioni arretrate e retrive da medio evo del diritto che non tengono conto delle mutate condizioni che sono state conseguenza di vertiginose rivoluzioni tecnologiche e sociali di cui il diritto non può non tenere conto. Mentre fior di giuristi si sono resi conto benissimo come pure il Tnas (il tribunale di arbitrato dello sport) che ha ritenuto in più di un caso che dovrebbe fare giurisprudenza, non doversi applicare automaticamente e ciecamente il principio della responsabilità oggettiva.

Infatti il quadro entro il quale si consumò il primo scandalo scommesse è profondamente mutato. Allora le scommesse erano proibite e quindi gestite clandestinamente da organizzazioni criminali; il calciatore che voleva scommettere o aggiustare le partite doveva prendere contatti personali e “fisici” con queste bande ed esporsi ad ogni forma di controllo da parte della società. Leggi che tutelino la privacy erano al di là da venire e il controllo anche severo era possibile (non dimentichiamo che a quell’epoca le ditte che dovevano assumere un lavoratore solevano chiedere informazioni ai Carabinieri).

Oggi le scommesse non solo non sono vietate ma sono fortemente e assurdamente “raccomandate” dallo Stato stesso che ha fatto diventare tutta l’Italia una bisca a cielo aperto, dove si può scommettere dappertutto e con tutti i mezzi, dal tabaccaio, dal giornalaio, persino allo stadio non si possono comprare i biglietti per la partita ma in compenso si può scommettere. Si scommette con il telefonino con il computer, con l’ipad e con tutte le diavolerie di questo mondo, puoi fare scommesse in partenza da Singapore, dal Messico, dalla Bulgaria e da ogni parte del mondo, su tutte le partite, persino su Scapoli-Ammogliati della spiaggia di Fregene. Il calciatore che vuole scommettere e aggiustare le partite lo può fare tranquillamente da casa sua. Senza essere controllato da nessuno, tanto meno dal suo datore di lavoro il quale è letteralmente paralizzato dalle leggi sulla privacy. Ricordate la condanna subita da dirigenti dell’Inter per aver fatto “spiare” Vieri”?

Sul caso Mauri, un quotidiano, nel tentativo di incastrare la Lazio e il suo giocatore, ha ricostruito in una tabella (che la Lazio farebbe bene a produrre in giudizio per dimostrare la sua totale impossibilità di controllare il suo associato) un groviglio inestricabile, una vera e propria ragnatela in cui si incrociano le comunicazione fra molte utenze telefoniche.

Come sostiene l’avvocato Alejandro Canducci nella Rivista di Diritto e Economia dello Sport, le società “non possono predisporre misure idonee a prevenire l’illecito o quantomeno ridurne le conseguenze”, in quanto “nell’era della tecnologia sarebbe di fatto impossibile controllare l’operato dei propri tesserati, anche in virtù delle norme sulla privacy sempre più stringenti”.

Nella situazione attuale la responsabilità oggettiva non ha alcun senso, altro che architrave della giustizia sportiva. Se questo è l’architrave, il tempio della giustizia sportiva è già ridotto a un cumulo di macerie.

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