I fasci avanzano mentre la sinistra fa il volto gentile della destra e si divide pure
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I fasci avanzano mentre la sinistra fa il volto gentile della destra e si divide pure

Un’onda lunga della destra favorita dalla pandemia, dalle catastrofi del clima e dalla guerra, tutte quante conseguenze della crisi del capitalismo globalizzato che alimenta diseguaglianze e povertà, sconvolge gli equilibri geopolitici mondiali

I fasci avanzano mentre la sinistra fa il volto gentile della destra e si divide pure
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Claudio Visani Modifica articolo

30 Maggio 2023 - 16.55


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Le elezioni amministrative in Italia e Spagna sono l’ultima conferma dell’aria che tira, in Europa e non solo. La destra continua a vincere quasi ovunque, dalla Scandinavia della socialdemocrazia perduta alla Grecia di Tsipras, dalla Croazia ai Paesi Bassi passando per il blocco ultranazionalista di Visegrad (Ungheria, Polonia, Slovacchia). Avanza anche in Germania, Francia, Austria dove vacillano i governi centristi e di coalizione. Non molla l’osso in Inghilterra e Turchia e – per la serie a volte ritornano – si riprende perfino il Cile con un nostalgico di Pinochet e sembra lanciata alla riconquista degli States con il re dei sovranisti, Donald Trump. 

Un’onda lunga favorita dalla pandemia, dalle catastrofi del clima e dalla guerra, tutte quante conseguenze della crisi del capitalismo globalizzato che alimenta diseguaglianze e povertà, sconvolge gli equilibri geopolitici mondiali, divide il mondo tra buoni e cattivi, bene e male, riaccendendo gli odi etnici e lo scontro tra gli imperialismi per la supremazia economica, tecnologica e finanziaria sul pianeta. 

Un mondo sempre più inquieto, dove dilagano incertezza e paura che le destre sono maestre a cavalcare. Salvo poi riproporre le ricette politiche e di governo ripetutamente sconfitte dalla storia: l’uomo solo al comando, posture muscolari e belligeranti, legge e ordine, Dio, patria e famiglia, nazionalismi, autarchia. Con un di più nell’Italia che non ha mai fatto davvero i conti col proprio passato: il risentimento e la voglia di vendetta dei postfascisti che interpretano il loro successo elettorale come una rivincita sull’ingiusto isolamento che ritengono di aver subito dal dopoguerra a oggi. 

Non c’è alcun ripensamento sul loro passato, alcuna revisione ed evoluzione del loro pensiero. Anzi, ora che comandano anche la famosa frase di Fini sul “fascismo male assoluto” sembra essere stata dimenticata, rimossa a vantaggio della riaffermazione orgogliosa della loro identità, delle loro radici, di quella fiamma che non hanno mai voluto spegnere. Un rancore che riemerge anche alle amministrative, ogni qual volta la destra riesce a conquistare qualcuna delle ex roccaforti rosse. Dalla Bologna di Guazzaloca all’Ancona di ieri per gli ex fasci è un susseguirsi di scenografici “assalti” ai palazzi del potere con parate, cori ultras e bandiere che sventolano dai balconi. Segni del desiderio di rivalsa e della malcelata arroganza dei nuovi dominatori, anche se poi l’esperienza ci dice che quasi mai sono finora riusciti a governare bene dove hanno vinto. 

In questa Italia nostalgica priva di una vera e nuova classe dirigente, in questo mondo che “sembra fatto di vetro e sta cadendo a pezzi come un vecchio presepio”, come cantava Dalla, c’è un grande assente: la sinistra, ridotta quasi ovunque a fare il volto gentile delle politiche di destra più che a costruire alternative credibili allo status quo. Una sinistra sempre meno sinistra (trovo ridicole le accuse alla Schlein di essere responsabile della sconfitta perché avrebbe spostato troppo a sinistra il Pd: ma dove e su cosa, di grazia?). 

Un centrosinistra sempre più diviso. Partiti preoccupati solo di difendere i propri orticelli e le proprie posizioni di potere. Una classe dirigente a corto di pensieri lunghi, incapace di immaginare un paese e un mondo diversi, di assumere posizioni autonome in politica estera e più nette sul cambiamento climatico, che abbia l’autorevolezza e il coraggio di mettere in discussione l’attuale modello di sviluppo capitalistico. 

Nessun leader che sia capace di connettersi col sentire comune, con il popolo dei disillusi e della sinistra rifugiata nel bosco che non va nemmeno più a votare, con la quotidianità delle persone più colpite dalla crisi. Nessuno di loro che dimostri con la forza delle idee, dei comportamenti e della coerenza che si può davvero credere al cambiamento. Cominciando, ad esempio, a dare voce e rappresentanza a quello straordinario mondo di ragazzi e ragazze che a migliaia si sono precipitati ad aiutare con pala e stivali le popolazioni alluvionate della Romagna. Giovani che erano lì non solo per offrire la loro solidarietà, ma anche per testimoniare che così com’è il mondo non può andare avanti ancora per molto. 

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