Le proposte di M5s sono buone, il Pd le valuti bene
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Le proposte di M5s sono buone, il Pd le valuti bene

L’ultima versione della proposta di riforma elettorale avanzata dal Movimento 5 Stelle non dispiace, ma i giochetti delle dirette streaming non aiutano.

Le proposte di M5s sono buone, il Pd le valuti bene
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18 Luglio 2014 - 19.02


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di Claudio Visani

È ancora presto per dire se il faticoso confronto avviato (con un anno e mezzo di ritardo) tra Movimento 5 Stelle e Partito Democratico sia mosso da una volontà autentica di dialogo e ricerca di possibili intese per il bene comune del Paese, oppure da meno nobili motivi tattici e di propaganda politica.

Le dirette streaming, in questo contesto, di certo non aiutano: dietro la loro parvenza di trasparenza esse nascondono un gioco di battute, controbattute e abilità dialettiche a uso e consumo di chi le guarda e dei rispettivi pubblici più che della buona politica.

Né tanto meno facilitano la necessaria fiducia degli uni verso gli altri l’accordo politico già stipulato tra Renzi e Berlusconi, da un lato e, dall’altro, l’atteggiamento sprezzante fin qui tenuto da Grillo e Casaleggio nei confronti del Pd (“pdmenoelle”, “gargamella”, “renzie” e via via offendendo), le ritirate sui tetti dei grillini e le attuali divisioni interne al M5s per cui non si capisce se Di Maio sia la nuova leadership che avanza o l’ennesima vittima sacrificale dei due padri-padroni del Movimento ostili a qualsiasi alleanza, soprattutto a sinistra.

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Detto questo, a me l’ultima versione della proposta di riforma elettorale avanzata dal Movimento 5 Stelle non dispiace. L’idea di un primo turno proporzionale senza sbarramenti significativi e di un secondo turno di ballottaggio non tra le prime due coalizioni ma tra le prime due liste, con un premio di maggioranza che assicuri a chi vince di avere i numeri per governare, mi pare molto più equilibrata e anche rispettosa della storia e delle peculiarità politiche del nostro Paese rispetto al Porcellum e all’Italicum, che invece quella storia e quelle peculiarità stravolgono.

Se capisco bene, in questo modo si avrebbe una Camera rappresentativa delle diverse istanze e culture politiche del Paese, con un certo numero di seggi ripartiti proporzionalmente al primo turno, e il partito vincitore che avrebbe, al secondo turno, un premio sufficiente per assicurare la maggioranza alla sua coalizione.

Diciamolo, l’Italia democratica è nata proporzionale, non è mai stata come i Paesi anglosassoni. Non ci sono soltanto – e credo non ci saranno mai – progressisti e liberali, laburisti e conservatori, democratici e repubblicani. Il nostro sistema politico è più complesso e non è mai stato maggioritario, né per rappresentanza né per mentalità. Neanche negli ultimi vent’anni quando il maggioritario (all’italiana) è stato introdotto e ha fatto vincere alternativamente le coalizioni guidate da Berlusconi e da Prodi.

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Ora, un conto è correggere i vizi che abbiamo ben conosciuto col proporzionale prima e col Porcellum poi; un conto è uscire dalla palude togliendo potere d’interdizione ai partitini, favorendo le aggregazioni, introducendo il doppio turno e norme che consentano di avere un vincitore politico certo e maggioranze parlamentari adeguate a garantire la governabilità; altro conto  è approvare una legge maggioritaria spinta che consenta al vincitore, anche solo col 25-30% dei consensi, di prendersi tutto: il 51% dei seggi, il Premier, il Capo dello Stato, la Corte Costituzionale.

Per di più con sbarramenti altissimi, che rischiano di togliere la rappresentanza parlamentare a diversi milioni di italiani, e con liste bloccate che – col Porcellum come con l’Italicum – tolgono sovranità al popolo e portano ad avere una Camera di nominati, non di eletti.
Per questo se fossi in Renzi e nel Pd (che poi, oggi come oggi, è la stessa cosa) andrei a vedere fino in fondo le carte dei grillini, per scoprire se è un bluff o se c’è davvero la possibilità di un’intesa: sul sistema elettorale così come sulla questione delle preferenze, che stanno a cuore al M5S (o dei collegi uninominali, o delle primarie per legge, come preferirebbero i democratici).
E se l’intesa fosse davvero possibile, non esiterei a sottoscriverla. Sarebbe un bel modo, mi pare, per fare comunque le necessarie riforme, sottrarsi all’abbraccio indecente con Berlusconi e rinnovare la politica senza però penalizzare gli elettori, che oggi – al contrario – sono tagliati fuori dall’elezione del nuovo Senato (destinato a diventare il “dopolavoro” dei consiglieri regionali e dei sindaci) così come dalle future elezioni delle nuove Province e Città Metropolitane.

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