Il Papa e l'espiazione di Totò Vasavasa
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Il Papa e l'espiazione di Totò Vasavasa

Viaggio nella memoria siciliana del potere che pareva intoccabile. Visita papale in carcere ci fa ritrovare il detenuto Salvatore Cuffaro. [Onofrio Dispenza]<br><br>

Salvatore Cuffaro a Rebibbia
Salvatore Cuffaro a Rebibbia
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Onofrio Dispenza Modifica articolo

22 Dicembre 2011 - 10.11


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di Onofrio Dispenza

Se andate in auto da Palermo ad Agrigento, a metà strada, ai piedi del monte Cammarata troverete una stazione di servizio con Motel e un bar spazioso. In vetrina, accanto alle immancabili arancine, buoni formaggi e ottima ricotta di pecora. E poi, buonissimi, freschi cannoli, i “cannoli del Presidente”.

Il logo dei cannoli è, in negativo, un viso tondo con in testa una coppola. Sì, perché partì da questo bar il grande vassoio di cannoli che Salvatore Cuffaro, all’epoca Presidente della Regione Siciliana, distribuì ai giornalisti convenuti all’incontro di Palazzo d’Orleans per “festeggiare” la condanna a cinque anni di carcere nel primo grado del processo che seguì sempre con rispetto per la corte; processo per aver favorito la mafia. Era il 2008, e Cuffaro festeggiò perché gli fu comminata una condanna inferiore a quella richiesta dalla pubblica accusa.

La foto di un sorridente Cuffaro che offre i cannoli su un vassoio ai giornalisti che lo circondano, fece il giro del mondo. Quei cannoli, si sa, gli andarono di traverso, segnarono l’inizio della fine di una carriera politica straordinaria e in qualche modo annunciarono il carcere. Carcere che poi arrivò il 22 gennaio dell’anno che sta per finire, con la sentenza della Cassazione. Quel mattino, Cuffaro attese la sentenza decisiva in una chiesa del centro di Roma.

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Cuffaro ha sempre avuto fede. Fede sincera, fatta di preghiere e devozioni, di estenuanti pellegrinaggi a piedi.

Qualche giorno fa il Papa, come si sa, è andato in visita a Rebibbia. Un incontro toccante, emozionante. Dal Papa un invito pressante al governo per dare dignità alla pena, dall’altra i detenuti a chiedere a Benedetto XVI di dare voce alla loro disperazione. Pochi dei giornalisti presenti all’incontro hanno notato, tra i detenuti in attesa del Papa, Salvatore Cuffaro. Forse perché era difficile riconoscere nel viso severo e segnato dalle rughe di un uomo dimagrito 20 chili la rotondità perduta dell’ex potente governatore della Sicilia.

Pantaloni scuri, camicia azzurra sotto un pullover di lana, Salvatore Cuffaro è stato ripreso da qualche scatto fotografico diffuso dalla Reuters. Una foto lo ritrae con le mani in tasca, l’altra tra un paio di altri carcerati e un agente, la terza dietro le transenne, in attesa del Papa. Foto che sigillano l’archiviazione di un tempo politico, di un ceto politico, senza per questo aver offerto la garanzia che quello successivo fosse migliore, impermeabile alle tentazioni e alle penetrazioni mafiose.

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Salvatore Cuffaro entrò nella cronaca e nella storia con una buffa storpiatura del nome. Come per Fantozzi, chiamato dal suo superiore Fantocci, il giovane Cuffaro, nel corso di un accorato intervento al Teatro Biondo di Palermo, in occasione di una puntata antimafia del Maurizio Costanzo Show, dal conduttore fu chiamato Puffàro. Anche in quella occasione Cuffaro-Puffàro – giovane e sconosciuto dc – era in pullover. Difese la Democrazia Cristiana e quella che riteneva – contro gli attacchi dell’appuntamento antimafia di Palermo – la migliore classe politica del Paese.

Allievo di Calogero Mannino, come Mannino Cuffaro arrivò giovane a posti chiave in Regione. Nel 2001 fu il primo governatore eletto direttamente.
Essere ai vertici del governo dell’Isola è gestire 24 miliardi di euro. La macchina regionale ha un esercito di centomila persone.

Nella gestione del potere Cuffaro non ha avuto pari. Ha coperto e risposto a tutti: precari, parrocchie, associazioni cattoliche. Trovare e conservare il consenso è stato il suo forte. Irrimediabilmente simpatico, aveva una agenda di almeno 20mila fedelissimi. Di loro annotava il giorno del compleanno e ogni ricorrenza particolare. Partecipava a matrimoni, funerali, prime comunioni, cresime e compleanni. Per tutti un abbraccio e un paio di baci, uno sulla guancia destra, il secondo sulla sinistra. Nasce così il soprannome che lo accompagnerà per l’intero percorso politico, fino al carcere:”Totò vasavasa”.
Ricostruiamo. E’ nel 2005 che Cuffaro finisce sotto inchiesta per aver favorito la mafia rivelando informazioni a intermediari dei boss. Nel 2006 si ricandida, è in competizione con Rita Borsellino, la batte e torna a Palazzo d’Orleans, sede della Presidenza della Regione. Va anche al Senato, capolista dell’UDC. Il Parlamento nazionale garantisce l’immunità, la Presidenza della Regione no.
Nel 2008 la condanna in primo grado, a cinque anni, la condanna della festa con i cannoli.

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Alla fine del processo, gli anni di carcere da scontare saranno sette. Rebibbia, la visita del Papa e le tre foto della Reuters sono cronaca di questi giorni.

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