Draghi, Verbano, fascisti e sottovalutazioni
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Draghi, Verbano, fascisti e sottovalutazioni

In molti si chiedono se Draghi sia ebreo, ma è un sintomo di latente, se non manifesto, preconcetto verso delle persone esclusivamente su base religiosa.

Draghi, Verbano, fascisti e sottovalutazioni
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12 Dicembre 2011 - 20.14


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Un anno fa scrissi un post simil serio su Draghi e Moni Ovadia come improbabile ticket elettorale. A parte le visite dei soliti aficionados, il post ha avuto vita propria perché su di esso confluivano le ricerche fatte con le parole draghi+ebreo. Un mese fa ho scritto un altro post dove mi ponevo una domanda inquietante, ovvero, di cosa fosse indice questa ricerca. Non lo avessi mai fatto, in poco meno di un mese questo scritto ha catalizzato, per ben 312 volte, la ricerca sul se Mario Draghi è ebreo. Ieri un anonimo utente ha lasciato questo commento al post in questione: Edward ha detto…

Penso chi si chiedeva se Mario Draghi fosse ebreo volesse dire qualcosa come chiedersi se x, che è riconosciuto essere un avaro, sia genovese… Storicamente nota è, infatti, la familiarità che gli ebrei hanno sempre avuto con la finanza…Per questo motivo trovo la domanda provocatoria -certo – e basata su un certo grado di generalizzazione, ma non affatto stupida né inquietante…

A parte l’italiano, continuo a dire che è preoccupante il procedere dei ragionamenti in modo semplicistico e ristretto nella gabbia del luogo comune. Il solo chiedersi se Draghi è ebreo è, per me, sintomo di latente, se non manifesto, preconcetto verso delle persone esclusivamente su base religiosa. E nemmeno penso sia il caso di mettersi qui a spiegare, caro Edward, perché gli ebrei hanno sempre avuto una “familiarità” con la finanza. Dovrei spiegare le origini e la storia dell’antisemitismo. E, come detto in tanti altri post, non ho fatto il maestro nella vita, figuriamoci se lo faccio con il blog.

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Sabato notte, tornando da una cena con amici, sotto casa abbiamo trovato questa bella scritta. Ora, se fossi paranoico penserei che la scritta sia stata fatta per noi o per un nostro vicino. Ma, forse più semplicemente, gli autori l’hanno fatta perché di notte la strada è semi buia e poco trafficata, quindi il posto adatto per dar vita alla propria ignoranza. A parte il non sapere che di solito i topi di fogna sono loro, “fascisti carogne tornate nelle fogne”, mi piacerebbe sapere se i ragazzetti che l’hanno fatta sanno cosa vogliono dire quei simboli all’inizio e alla fine della scritta. Ma tant’è. Personalmente non me la sento di minimizzare l’accaduto. Troppe volte lo si è fatto permettendo poi la nascita di gruppi e gruppuscoli che hanno insanguinato il nostro Paese. La sottovalutazione del pericolo fascista è uno dei punti cardine del libro di Valerio Lazzaretti “Valerio Verbano Ucciso da chi, come e perché”.

Scritto con la precisione e la pignoleria che sono propri di un bravo archivista, in questo caso anche bravo scrittore. Documentato, preciso, e annichilente nel rievocare il clima della capitale nella fine degli anni ’70 e l’inizio degli anni ’80. Non mancava giorno che non ci fosse un’esplosione, un ferito o un morto. E l’atteggiamento indulgente delle forze dell’ordine verso chi si schierava contro il “pericolo comunista” ha fatto sì che quando si è deciso di intervenire era già troppo tardi, i gruppi eversivi di destra erano diventati una realtà strutturata e violenta. La lettura del libro mi ha riportato alla mente un episodio di quegli anni, non c’entrano i fascisti ma fa niente.

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Spesso al giornale ricevevamo visite dei nostri vicini di casa di via dei Volsci, gli autonomi, per un periodo venivano quasi regolarmente a farci dono di improperi e di sassi. Un pomeriggio arrivarono in gruppo più numeroso del solito e, come d’abitudine, iniziò il solito rito, ingiurie e sassaiola. Nella stanza delle telescriventi, infernali macchine rumorose che scrivevano chilometri e chilometri di notizie al giorno, che io dividevo secondo argomento e in base all’importanza e l’urgenza consegnavo in redazione, dove lavoravo c’era un grande finestrone con davanti il telex con cui si tenevano i contatti con la redazione di Mosca e la telescrivente per New York e mentre ero seduto ad uno dei due arriva sul vetro una sassata. Ero al terzo piano!
Insomma, come al solito si scese tutti in portineria, i tipografi con qualche strumento atto a difendersi. Davanti all’entrata c’era l’allora caporedattore che, con il suo fare un po’ spavaldo di sempre, si spinge fino alla porta e l’apre. L’autonomo primo nella fila, non attendeva altro e si avventa contro il vetro. Ricordo che detti un calcio alla porta che si chiuse appena in tempo. Il capo nemmeno mi disse grazie. Anche diverso tempo dopo qualcuno continuava a chiedermi perché non fossi stato fermo. Gap

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