Migranti, perché la sfida della Geo Barents riguarda tutti noi
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Migranti, perché la sfida della Geo Barents riguarda tutti noi

Non è la sfida tra una Ong e la sua nave salvavite, e un governo securitario, che ha deciso di dichiarare guerra alle organizzazioni non governative impegnate nel Mediterraneo

Migranti, perché la sfida della Geo Barents riguarda tutti noi
Geo Barents
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Umberto De Giovannangeli Modifica articolo

26 Gennaio 2023 - 16.41


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Non è la sfida tra una Ong e la sua nave salvavite, e un governo securitario, che ha deciso di dichiarare guerra alle organizzazioni non governative impegnate nel Mediterraneo, attraverso un decreto legge disumano quanto “illegale” rispetto a norme del diritto marittimo e umanitario. E’ molto di più. E’ una battaglia di civiltà. Una “battaglia navale”. E non solo. 

Manovre e contromanovre

Ne scrive, con accuratezza, Andrea Maggiolo su Today: “Fonti del Viminale fanno sapere che “quando la Geo Barents sarà arrivata al porto assegnato si valuterà se la nave di Medici senza frontiere ha rispettato o meno le prescrizioni del decreto legge che impongono di raggiungere senza ritardo il porto indicato”. Non c’è infatti nelle ultime normative govenative un divieto esplicito di compiere più soccorsi, ma le attività della nave non devono impedire di raggiungere tempestivamente il porto di sbarco. 

Le navi ong nel 2023 hanno salvato “solo” una minima percentuale dei migranti approdati in Italia: tutti gli altri arrivano con barchini fino a Lampedusa o vengono soccorsi da motovedette della guardia costiera e della guardia di finanza, che trasferiscono poi uomini, donne e bambini nei porti italiani (quelli vicini, siciliani e calabresi). Basti pensare che a Lampedusa nelle ultime 24 ore sono sbarcati in 300, arrivati dalla Tunisia con ogni mezzo, spesso di piccoli barchini di ferro. Su quella rotta non c’è nessuna nave ong, ma si parte lo stesso.

Da inizio gennaio sono quasi 4mila le persone sbarcate in Italia: 3800 con barchini autonomi o salvati dalle motovedette italiane, meno di 200 salvati dalle navi ong. Ma per una precisa scelta dell’esecutivo, le navi delle organizzazioni non governative vengono indirizzate a porti distanti centinaia di chilometri: è diretta conseguenza del decreto fortemente voluto dal governo Meloni per limitare e regolare i soccorsi delle imbarcazioni umanitarie sulla rotta del Mediterraneo centrale.

Medici senza Frontiere oggi protesta: “Mentre altri porti idonei sono significativamente più vicini alla nostra posizione attuale, l’Italia ci ha assegnato La Spezia come luogo sicuro a seguito delle operazioni di soccorso effettuate dal nostro team. Perché non Pozzallo o Palermo?”. La risposta non risiede evidentemente nella logica della navigazione e del soccorso in mare, ma è una scelta politica

Piantedosi: “Ong pull factor”. Ma non è vero

Il ministro dell’Interno, Matteo Piantedosi,  ieri è tornato a parlare della questione migranti dopo i salvataggi della Geo Barents, nave a cui è stato indicato La Spezia come porto di sbarco. “C”è questa coincidenza astrale: la presenza delle imbarcazioni delle Ong, insieme alle condizioni climatiche, fanno ripartire i gommoni dalla Libia, anche quelle più fragili – spiega -. Noi ci lamentiamo di questo, loro si lamentano della lunga percorrenza”. Secondo Piantedosi, “il naufragio e il salvataggio sono qualcosa di occasionale e non una ricerca sistematica che induce alle partenze. La presenza delle ong, guarda caso, fa ripartire i gommoni, non le barche strutturate. Questo è il dato fattuale che registriamo”. In realtà il pull factor delle navi Ong non è mai stato dimostrato. 

Non c’è infatti alcuna correlazione tra l’arrivo delle Ong davanti alle coste libiche e maggiori partenze dal paese, dal 2018 al 2022, secondo i dati raccolti da chi studia il fenomeno da anni. Si parte dalle coste libiche e tunisine quando le condizioni del mare lo consentono.

Nei giorni scorsi, invece, non hanno incontrato sulla loro rotta nessuna nave a salvarli in tempo molti di coloro che erano a bordo di un barcone partito dalla Libia e naufragato vicino alla città mediterranea di Garabulli, a circa sessanta chilometri da Tripoli: 8 morti, 58 i dispersi, 84 i sopravvissuti che sono stati portati nei centri di detenzione libici. Solo nel 2022, più di 1.500 persone sono morte o disperse nel Mediterraneo secondo i dati più credibili (numeri certi non ce ne saranno mai, perché di molte imbarcazioni “fantasma” non si saprà nulla). Di queste, più dell’80 per cento sulla rotta del Mediterraneo centrale. “Il Mediterraneo è il cimitero più grande d’Europa”. Parola di Papa Francesco. Più di ventimila donne, bambini, uomini sono stati inghiottiti dalle onde dal 2014 a oggi. Va sottolineato ciò che non a tutti appare chiaro, nelle pieghe del dibattito sull’immigrazione: il salvataggio in mare è un obbligo degli Stati, oltre che un dovere morale.

Migranti, scintille anche dentro la maggioranza: cosa sta succedendo

Scintille si registrano anche dentro la maggioranza sul tema dei migranti e del decreto Ong del ministro Matteo Piantedosi, atteso in Aula a Montecitorio la prossima settimana. Casus belli sono gli emendamenti della Lega, una quindicina depositati nelle commissioni affari costituzionali e trasporti, che sono stati stoppati perché ritenuti ‘inammissibili’. Decisione presa dai due presidenti delle commissioni, l’azzurro Nazario Pagano e il meloniano Salvatore Deidda. Solo problemi tecnici?  Uno stop inizialmente motivato con la necessità di fare in tempo per l’approdo in Aula, perché ci sono 263 emendamenti dell’opposizione, se si aggiungono quelli della Lega i tempi sarebbero diventati troppo stretti. Piccata la reazione della Lega, che per bocca di Igor Iezzi fa sapere che il partito farà ricorso contro la decisione degli alleati. Quanto sta avvenendo “è gravissimo, perché le ammissibilità non possono sottostare a ragionamenti politici”, dice il fedelissimo di Salvini.

Cosa significa davvero tutto questo? Lo scontro finisce nel dibattito politico perché le opposizioni accusano Salvini di aver tentato di reintrodurre di soppiatto i suoi decreti sicurezza. A denunciarlo sono esperti, giuristi e associazioni. Alcuni deputati del Carroccio starebbero provando a introdurre articolati di legge che puntano a rendere ancora più difficile la concessione dei permessi di soggiorno per i richiedenti asilo, e persino più difficoltosi i ricongiungimenti familiari, perché si prevede un aumento del reddito minimo richiesto del 50 per cento per ogni membro della famiglia. A conti fatti, per esempio, un migrante che vorrebbe far venire in Italia moglie e due figli dovrebbe dimostrare di avere un reddito annuo di almeno 24.000 euro.  Un blitz che “per il momento è fallito perché i presidenti delle due commissioni hanno dichiarato inammissibili quegli emendamenti con una pronuncia che non lascia spazio a contestazioni perché si rifà alle pronunce della Corte Costituzionale e al Regolamento della Camera”, dice Riccardo Magi di Più Europa. Filiberto Zaratti, capogruppo di alleanza verde sinistra nella commissione Affari costituzionali della Camera mostra soddisfazione per lo stop “a una forzatura inutile sul piano procedurale oltre che odiosa per il tentativo di ridisegnare in senso restrittivo le norme in materia di immigrazione, in particolare quelle sui ricongiungimenti”.

Così Maggiolo.

Una intervista illuminante

E’ quella di Nello Scavo, giornalista tra i più preparati a livello europeo sul Mediterraneo, a Giovanni Maria Flick, su Avvenire del 2 gennaio.

Ne riprendiamo alcuni passaggi. 

«Mi sembra che per ostacolare i salvataggi in mare si sia scelta una via tipicamente italiana e burocratica: il ricorso a ordini e sanzioni amministrativi. Esempio: anziché assegnare il porto sicuro più vicino, come previsto dalle norme nazionali e internazionali, si indica il porto “burocraticamente” più vicino; si utilizza la nostra nota “efficienza amministrativa” allo scopo di ostacolare i soccorsi in mare». Già presidente della Corte Costituzionale e in precedenza Guardasigilli nel primo governo Prodi, il professor Giovanni Maria Flick in questa intervista ad Avvenire passa al setaccio il decreto sulle Ong, e guarda oltre. Fino al rischio di replicare questa modalità e farla diventare “sistema” per aggirare gli obblighi di legge. « E’ ovvio che assegnando porti di sbarco lontanissimi, quasi ai nostri estremi confini marittimi, si vuole tenere occupate a lungo le navi umanitarie, impedendo loro di navigare nel Mediterraneo centrale per salvare altre vite o – secondo qualcuno – per pretesi ignobili accordi con trafficanti di uomini».

Non crede che il salvataggio sia messo in discussione anche da altri paletti posti nel decreto? 
Si pongono limitazioni incomprensibili, come quella di impedire salvataggi plurimi. Se una nave soccorre un gruppo di naufraghi e lungo la rotta verso il porto di sbarco avesse la possibilità di salvare altre vite, dovrebbe voltarsi dall’altra parte? Stiamo parlando dell’assurdo. 

Qual è secondo lei la logica di queste scelte? 
L’osservazione più precisa è venuta dalla Conferenza episcopale italiana: ha ricordato come queste regole non proteggono il valore supremo della vita umana. Si è passati dal non considerare più i migranti-naufraghi come fossero “oggetti” da depositare in luoghi dove non si rispettano i diritti fondamentali, al trattarli come “merce deperibile” o peggio “rifiuti pericolosi”, adempiendo formalità burocratiche che servono solo a mettersi la coscienza a posto. In altri termini, si sottrae l’intervento al controllo penale, con la previsione di fattispecie di reato, temendo che queste vadano a scontrarsi con i principi fondamentali dell’ordinamento internazionale e costituzionale che pongono al primo posto la protezione della vita umana. 

Circoscrivere le attività in mare al Diritto amministrativo non è in fondo un alleggerimento rispetto all’esercizio dell’azione penale? 
In realtà l’idea che si vuol far passare, ma solo in apparenza, è che l’eventuale illecito amministrativo sia da ritenere meno grave di una sanzione penale. Ma non è altro che un modo per eliminare garanzie e burocratizzare un tema che meriterebbe altre riflessioni e altri interventi e che è stata condannata più volte dalla Corte europea dei diritti umani come “truffa delle etichette”. Peraltro in un Paese come il nostro, dove la burocrazia non ha mai dato prova di indiscutibile efficienza. E c’è un altro risvolto da non sottovalutare”.

Quale? 
Quello di delegare una serie di interventi ai prefetti, a cui è demandata anche la possibilità di bloccare le navi, rievocando i poteri prefettizi nella forma più sgradevole”.

Un appello da onorare

“Noi, organizzazioni civili impegnate in attività di ricerca e soccorso (Sar) nel Mediterraneo centrale, esprimiamo la nostra più viva preoccupazione per l’ultimo tentativo di un governo europeo di ostacolare l’assistenza alle persone in difficoltà in mare”.

E’ quanto scrivono in un documento unitario, pubblicato il 3 gennaio, le Ong impegnate nell’attività di soccorso in mare aggiungendo che “il nuovo decreto legge, firmato dal Presidente italiano il 2 gennaio 2023, ridurrà le capacità di soccorso in mare e renderà ancora più pericoloso il Mediterraneo centrale, una delle rotte migratorie più letali al mondo”.

Nel documento, sottoscritto tra gli altri da Emergency, Iuventa Crew, Msf, Mare Liberum, Open Arma e Sea-Whatch, si afferma che il “decreto è apparentemente rivolto alle Ong di soccorso civile, ma il vero prezzo sarà pagato dalle persone che fuggono attraverso il Mediterraneo centrale e si trovano in situazioni di pericolo”. Le organizzazioni non governative proseguono: “nel complesso, il decreto legge italiano contraddice il diritto marittimo internazionale, i diritti umani e il diritto europeo, e dovrebbe quindi suscitare una forte reazione da parte della Commissione europea, del Parlamento europeo, degli Stati membri e delle istituzioni europee. Esortiamo il governo italiano a ritirare immediatamente il decreto legge appena emanato. 
Chiediamo inoltre a tutti i membri del Parlamento italiano di opporsi al decreto, impedendone così la conversione in legge”. 


Un grido d’allarme da La Spezia

 È un grido dall’allarme quello che arriva direttamente da La Spezia, con le parole del sindaco Pierluigi Peracchini: “La situazione è molto complicata, non siamo attrezzati”. Così a Primocanale il primo cittadino spezzino che chiede al governo di intervenire e di rivedere la distribuzione dei migranti. 

La nave Geo Barents dovrebbe arrivare sabato pomeriggio, 237 i migranti che sono stati salvati. “Impossibile e inedita questa situazione, parliamo di persone e non di oggetti che aumentano di ora in ora. A noi mancano le strutture e le risorse economiche per supportare e sistemare con dignità oltre 70 minorenni. Unica soluzione è rivolgersi alle strutture militari qui molto importanti. Non si può scaricare tutto sulla città”.

“Si tratta di un’operazione complicata e drammatica, stiamo cercando di capire ma non è semplice. O facciamo accampamenti oppure non si riesce, c’è molto freddo e diventerebbe una situazione disumana. Domani mattina scriverò al ministro dell’Interno Piantedosi. Stiamo seguendo ora per ora la situazione – prosegue Peracchini -. Non abbiamo neanche le strutture ospedaliere per accoglierli e curarli, a La Spezia abbiamo solo un nosocomio. Non siamo in grado, non abbiamo il tempo per farlo”.

Tutto questo il titolare del Viminale lo sa bene. Ma non gliene frega niente. Semplicemente.

Una ragione in più per affermare che la sfida della Geo Barents ci riguarda tutti. Una ragione, ma non la più importante. Perché sopra di tutto, in assoluto, c’è che in gioco c’è la vita, la vita, di centinaia, migliaia di esseri umani. Non scordiamolo mai. 

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