Migranti, la storia di Abia, Imran, Hassan: possono raccontarla grazie alla Ong che li ha salvati
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Migranti, la storia di Abia, Imran, Hassan: possono raccontarla grazie alla Ong che li ha salvati

Storie raccolte a bordo della Geo Barents, la nave di ricerca e soccorso di Medici senza frontiere

Migranti, la storia di Abia, Imran, Hassan: possono raccontarla grazie alla Ong che li ha salvati
Geo Barents di Medici Senza Frontiere
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Umberto De Giovannangeli Modifica articolo

1 Giugno 2023 - 14.46


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La storia di Abia. La racconta Daniela Fassini per Avvenire: “”I miei figli hanno perso la loro infanzia. Ero terrorizzata per la loro vita e sono davvero grata di essere qui adesso. Spero che l’Europa abbia per loro solo cose belle e che possano avere un’infanzia serena” racconta Abia, 30 anni, siriana, a bordo della Geo Barents, la nave di ricerca e soccorso di Medici senza frontiere giunta martedì mattina a Bari con 605 migranti a bordo. La storia della 30enne è stata resa pubblica dalla stessa Ong. 

Viaggiavano su un vecchio peschereccio sovraffollato e a rischio. Tra loro ci sono 11 donne e 151 minori, 20 hanno meno di 13 anni e alcuni sono bimbi molto piccoli. Provengono da Siria, Bangladesh, Palestina, Egitto, Pakistan. 
“Pensavamo che saremmo morti, ora abbiamo una nuova possibilità – aggiunge Imran, 22 anni del Pakistan -. È stato orribile laggiù, adesso speriamo in una vita migliore in Europa”. “Siamo così grati di avere accesso ad acqua pulita, docce e cibo. La vita in Libia era come l’inferno. Ringrazio Dio perché ci avete raggiunto e salvato”, spiega Hassan, 31 anni. 

I migranti arrivati a Bari “erano partiti dalla Libia con un peschereccio e sono rimasti in mare per quattro giorni. Ci hanno raccontato di un viaggio pericolosissimo e drammatico, in cui hanno finito cibo e acqua e a lungo sono rimasti senza soccorsi” racconta Fulvia Conte, responsabile soccorsi della naveGeo Barents di Medici senza frontiere (Msf). “Ci hanno parlato delle sofferenze atroci subite in Libia- ha proseguito Conte – alcuni sono stati torturati davanti ai propri figli”. I bambini ora “sono sollevati – sottolinea Conte – perché finalmente sono in un posto sicuro insieme alle proprie famiglie. Avranno però bisogno di cure sia mediche che psicologiche, perché sono stati testimoni e vittime di situazioni drammatiche. La maggior parte dei più piccoli, però, almeno fisicamente sta bene”. Qualcuno ha parenti in Europa, altri sono partiti senza destinazioni precise per fuggire da posti che sono comunque peggiori del mare. Quello del Mediterraneo è il tratto più letale al mondo, ma per chi parte è comunque più sicuro del posto che lascia. Sono stati destinati tutti a strutture di accoglienza della Toscana, sparse tra le varie province, gli 88 migranti sbarcati martedì a Livorno dalla nave ong Humanity 1, che li aveva soccorsi al largo della Libia il 26 maggio scorso. Alla nave era stato poi assegnato il porto toscano dove è entrata prima delle 8 e dove le operazioni di sbarco si sono concluse intorno alle 13. Come già accaduto per altri sbarchi a Livorno le operazioni di identificazione e di controllo sanitario dei migranti si sono svolte alla stazione marittima di Livorno, poi a bordo di pullman sono stati accompagnati alla destinazione prevista nei centri di accoglienza assegnati secondo il piano di riparto della prefettura livornese. 

“Troppo neri”. Un libro prezioso

Da una recensione di Agi: “I tanti volti e le tante storie dell’immigrazione. Scardinando i luoghi comuni, “Troppo neri”, edito da Feltrinelli, scritto da Saverio Tommasi, racconta alcune di queste vicende vere, drammatiche ma anche piene di vita e di speranza, insieme al fotogiornalista Francesco Malavolta, che accompagna queste narrazioni con le sue fotografie intense, frutto di molti anni di lavoro in viaggio per il mondo.
C’è una sola regola fra gli immigrati in partenza: “Non si inizia mai un viaggio insieme a un congiunto”.

Troppo rischioso per due fratelli, per un fratello e una sorella, impensabile per un marito e una moglie. Per questo i congiunti si separano prima della partenza, dandosi appuntamento solo all’arrivo, raccontandosi delle bugie a cui fingono di credere, pur sapendo che probabilmente non si rivedranno mai più. In Italia solo il 16% degli immigrati è salvato dalle navi delle Ong. Fra loro ci sono donne all’ottavo stupro in due anni di viaggio, alcune si carezzano con violenza una pancia cresciuta senza volontà, ma ci sono anche figli piccolissimi che sono per le madri l’unico bagaglio che valga la pena portare con sé e salvare, in mezzo al mare.

Oltre ai migranti che affrontano viaggi spietati e pericolosi, esistono anche le seconde e terze generazioni. Ragazze e ragazzi arrivati in Italia piccolissimi, senza conoscere i Paesi in cui sono nati se non nel racconto delle famiglie, o semplicemente nati sul nostro suolo.Ragazzi e ragazze senza cittadinanza, senza passato, troppo neri per essere considerati italiani, o troppo italiani per essere considerati nigeriani, etiopi o afghani. Ragazze e ragazzi che vanno a scuola con i nostri figli, con loro fanno sport, musica, teatro: con loro giocano e sognano, qualche volta partecipano ai compleanni. A scuola imparano la storia italiana, la letteratura, l’educazione civica, ma non hanno gli stessi diritti dei loro compagni italiani.

Non si accoglie per religione, credo, pietà o fede. Non si accoglie neanche per convenienza o ragionamento. In fondo non si accoglie neanche perché ne hanno diritto, o pensiamo ce l’abbiano. Si accoglie perché sono esseri umani, e noi siamo esattamente quella stessa cosa che sono loro.Perché in qualche modo si sta affogando insieme a loro, ogni volta in mezzo al mare. 

Saverio Tommasi è nato e vive a Firenze. È giornalista e autore di reportage e inchieste in Italia e all’estero, lavora a Fanpage.it. Diplomato all’Accademia di Arte Drammatica dell’Antoniano di Bologna, scrive e rappresenta spettacoli di teatro civile. Ha pubblicato Siate ribelli, praticate gentilezza, Sogniamo più forte della paura (Sperling & Kupfer 2017 e 2018) e In fondo basta una parola (Feltrinelli, 2021). È presidente di Sheep Italia.

Francesco Malavolta è un fotogiornalista impegnato da oltre vent’anni nella documentazione dei flussi migratori. Un lavoro svolto in un contesto in costante mutamento che lo ha portato a viaggiare lungo i confini di una Europa sempre più blindata e difficile da raggiungere via terra o via mare. Da 12 anni collabora con l’Unione europea, varie agenzie di stampa internazionale come Associated Press, nonché organizzazioni internazionali quali Unhcr e Oim. 

Tunisia, la società civile non si arrende

Ventisei organizzazioni per i diritti umani e della società civile hanno rilasciato una dichiarazione congiunta, invitando il governo tunisino a garantire la protezione dei migranti, in particolare quelli provenienti dall’Africa subsahariana, il cui numero è stimato in oltre 20.000, e per porre fine alla discriminazione sociale e sistemica che subiscono. Lo si apprende dal quotidiano on line Kapitalis.  La dichiarazione è arrivata all’indomani di un attacco ai migranti nella città di Sfax da parte di un gruppo di giovani nella notte tra il 22 maggio e la mattina seguente. Un migrante è stato ucciso e altri quattro sono rimasti feriti nell’attacco. Secondo quanto riferito, gli autori hanno fatto irruzione in una residenza che ospitava migranti e li hanno attaccati.

Un clima di istigazione al razzismo

 Le organizzazioni hanno affermato che questo ultimo attacco è stato il risultato diretto dell’attuale clima di istigazione e razzismo contro i migranti dall’Africa sub-sahariana. Secondo la dichiarazione, il governo deve “assumersi le proprie responsabilità per proteggere i migranti, indipendentemente dal loro status amministrativo, e garantire il loro benessere fisico e psicologico”. Le organizzazioni hanno anche chiesto l’eliminazione di ogni forma di discriminazione e restrizione imposta ai migranti, che mirano ad ostacolare il riconoscimento, il godimento e l’esercizio dei loro diritti. La dichiarazione chiede inoltre al governo di introdurre misure per prevenire ogni forma di discriminazione razziale e attacchi contro i migranti.

La deriva discriminatoria di Saied 

Il presidente tunisino Kais Saied aveva rilasciato a febbraio dichiarazioni razziste contro i migranti sub-sahariani nel Paese, definendo la loro presenza una “invasione” e accusandoli di tentare di impadronirsi del Paese e renderlo “puramente africano”, dichiarazioni che erano state ampiamente criticate da forze progressiste e gruppi per i diritti, ricordano le organizzazioni. A marzo, almeno 14 migranti che cercavano di raggiungere l’Europa sono stati uccisi quando le loro barche sono affondate al largo della costa tunisina. Avevano lasciato Sfax. A quel tempo, le organizzazioni per i diritti hanno affermato che i funzionari tunisini hanno rimosso con la forza i motori da almeno altre sette imbarcazioni che trasportavano migranti e li hanno lasciati galleggiare in mare aperto per ore. I migranti a bordo di alcune di queste imbarcazioni avevano accusato le autorità tunisine di razzismo”.

Il “gendarme” della Cirenaica tanto caro al governo Meloni

Da un report di Agenzia Nova:”Le unità affiliate all’autoproclamato Esercito nazionale libico (Lna) del generale Khalifa Haftar hanno arrestato oltre mille presunti migranti irregolari a Tobruk e Musaid, nell’est del Paese. Lo ha riferito l’ufficio stampa dell’Lna, specificando che il rastrellamento è avvenuto dopo l’invio nella zona di unità militari e di sicurezza aggiuntive a sostegno delle forze di stanza nell’area di Tobruk-Musaid, vicino al confine con l’Egitto. Secondo un comunicato stampa dell’Lna, gli uomini del generale Haftar hanno arrestato “più di 1.000 immigrati clandestini di diverse nazionalità, trovati nelle fattorie e nelle case dei trafficanti nella città di Musaid”. In questi stessi luoghi sono state trovate anche delle “officine per la fabbricazione di barche di legno per le partenze irregolari” via mare verso l’Italia. L’Lna fa sapere che sono ancora in corso le operazioni delle unità militari e di sicurezza per arrestare “trafficanti e spacciatori di droga nella zona”, ha aggiunto la stessa fonte. Violenti scontri sono esplosi all’alba di ieri al valico di terra di Musaid, tra la Libia e l’Egitto, tra un gruppo di persone provenienti della città di Tobruk e le guardie di frontiera dell’Lna. Le violenze sono esplose dopo la morte di un bambino della tribù degli Al Haboun, ucciso da colpi di arma da fuoco esplosi dalle guardie di frontiera contro un’automobile sospettata di trasportare un presunto contrabbandiere appartenente alla tribù degli Awlad Ali. Le immagini pubblicate sui social media libici mostrano veicoli fuoristrada appartenenti alle guardie di frontiera in fiamme. L’Lna ha inviato sul posto unità militari aggiuntive per cercare di riportare la situazione sotto controllo. In seguito è giunta la notizia degli oltre 1.000 arresti e della stretta contro i trafficanti di esseri umani. Vale la pena ricordare che dalla Cirenaica dominata dal generale Haftar, sostenuto dai mercenari del gruppo russo Wagner, sono partiti oltre la metà dei migranti sbarcati in Italia dalla Libia. Al 19 maggio, secondo i dati del Viminale visionati da “Agenzia Nova”, erano arrivate 19.007 persone dalle coste libiche (8.220 dalla Tripolitania e 10.787 dalla Cirenaica), un aumento del 96 per cento rispetto ai 9.688 sbarcati dello stesso periodo dell’anno scorso. Solo di recente, le forze del generale libico hanno cominciato a recuperare i migranti (in larga parte egiziani, ma anche bengalesi e siriani) che salpano verso le coste dell’Italia tentato la pericolosa traversata del Mediterraneo”.

Saied, Haftar. I “gendarmi” che tanto piacciono ai securisti che governano l’Italia. 

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