Il terribile racconto del maresciallo che ha soccorso Willy: "Tra le scene più cruente viste in anni di servizio"
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Il terribile racconto del maresciallo che ha soccorso Willy: "Tra le scene più cruente viste in anni di servizio"

"Sono rimasto accanto a lui per tutto il tempo necessario. Ero in pena come fosse un figlio”

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10 Settembre 2020 - 08.29


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“Willy? Una scena disperata, tra le più cruente della mia carriera”. A parlare sulle pagine del Corriere della Sera è il maresciallo Antonio Carella, tra i primi a soccorrere il 21enne ucciso durante una rissa a Colleferro. 

Alle 3,30 di domenica scorsa alcune grida, diverse dal frastuono ordinario dei fine settimana, salgono fino all’alloggio di servizio del maresciallo Antonio Carella. Pochi minuti e il carabiniere, 53 anni, è in strada, davanti all’aiuola che si affaccia in largo Santa Caterina a Colleferro.

Il militare vede una decina di persone si muovono attorno a un ragazzo riverso a terra: è Willy Monteiro Duarte, già soccorso da un giovane di Colleferro che, per aiutarlo a respirare, ha provato ad estrargli la lingua dalla bocca e a capire se fosse ancora cosciente. Da Willy però nessuna reazione. Al Corriere, il carabiniere parla dei fatti di quella notte come di una delle esperienze più drammatiche della sua carriera.

Il maresciallo da un lato verifica il respiro di Willy, dall’altro chiama i soccorsi, avvisa il comando, mette in moto le indagini: “Non ho mai perso il contatto con i ragazzi che si erano radunati attorno a Willy”, dice oggi. Parlano di un’auto che, carica “a palla”, s’è fatta largo nel centro di Colleferro.

Il carabiniere intuisce che bisogna cercare i proprietari di un Suv. Un ragazzo del luogo è riuscito a fotografare col cellulare l’auto dal quale sono scesi i fratelli Bianchi, così Carella invia immediatamente le foto al proprio comandante, chiedendo i soccorsi di un’altra pattuglia. Intanto rimane accanto a Willy e aiuta i paramedici. Le sue dichiarazioni al Corriere:

“Sono rimasto accanto a Willy tutto il tempo necessario finché non lo hanno portato via. Ero in pena per lui come fosse un figlio” […] invitandolo […] “a resistere, a tenere duro”. Purtroppo non basta.

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