Sui migranti finalmente c'è un giudice a Roma
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Sui migranti finalmente c'è un giudice a Roma

Nel 2009 una nave militare aveva soccorso migranti nel Mediterraneo e li aveva subito respinti in Libia. Ora il tribunale ha riconosciuto ai migranti il diritto dei migranti di entrare in Italia per chiedere protezione.

Migranti in Libia
Migranti in Libia
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Umberto De Giovannangeli Modifica articolo

30 Agosto 2020 - 19.35


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Accordi “storici”. Strette di mano “storiche”. Tante, troppe volte, si è abusato di questa aggettivazione, buona per un titolo, per “sparare” una notizia o per appiccicarsi una medaglia, spesso di latta. Stavolta, però, l’aggettivo “storico” non è abusato.
“Sono arrivati oggi all’aeroporto di Fiumicino cinque cittadini eritrei a cui il Tribunale di Roma ha riconosciuto il diritto a fare ingresso sul territorio mediante il rilascio di un visto con lo scopo di accedere alla domanda di protezione internazionale, dopo che l’Italia li aveva soccorsi con una nave della Marina militare nel mar Mediterraneo e illegalmente respinti in Libia nel 2009”, scrivono Amnesty International Italia e l’Associazione studi giuridici sull’immigrazione (Asgi).

Secondo le due organizzazioni si tratta di un “arrivo dall’eccezionale portata simbolica, che ripristina la legalità in relazione al diritto di asilo sancito dall’articolo 10 della Costituzione, leso dalle autorità italiane che da anni effettuano azioni volte a bloccare l’accesso di tutti coloro che tentano attraverso il Mediterraneo di arrivare ed ottenere protezione”. Per Amnesty e Asgi, la decisione del tribunale “rappresenta un precedente dalla portata storica perché per la prima volta viene stabilito da un tribunale italiano che ha diritto ad un visto per chiedere asilo in Italia chi non è presente sul territorio italiano . Racconta Riccardo Noury, portavoce di Amnesty International Italia: “Stanchi, emozionati. Questa mattina sono atterrati all’aeroporto romano di Fiumicino, provenienti da Israele, i primi cinque richiedenti asilo eritrei che facevano parte di un gruppo di 89 migranti e richiedenti asilo che l’Italia aveva illegalmente respinto in Libia nel 2009, dopo averli soccorsi con una nave della Marina militare nel mar Mediterraneo. Dopo alcuni mesi di prigionia nei centri di detenzione libici, 16 di loro riuscirono ad arrivare via terra, attraverso l’Egitto, in Israele. Il 28 novembre 2019, con la sentenza 22917, in una causa sostenuta da Amnesty International Italia e Associazione studi giuridici sull’immigrazione, la prima sezione del Tribunale civile di Roma ha condannato il governo italiano al risarcimento dei danni subiti a seguito del respingimento illegale del 2009 e la rimozione dei danni medesimi, attraverso il rilascio di visti umanitari per arrivare in Italia, dove presenteranno domanda di protezione internazionale. Quella del Tribunale di Roma è stata una sentenza storica: per la prima volta un organo di giustizia italiano ha stabilito che ha diritto ad un visto per chiedere asilo in Italia chi non è presente sul territorio italiano ‘in conseguenza di un fatto illecito commesso dall’autorità italiana’”.

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Respinti in Libia dall’Italia nel 2009, oggi grazie a una sentenza della giustizia italiana cinque richiedenti asilo eritrei sono arrivati nel nostro paese nel modo più sicuro e legale possibile”, gli fa eco  Ilaria Masinara, campaign manager su migrazione e discriminazione di Amnesty international Italia. “Ciò che dovrebbe essere garantito a tutti coloro che sono stati costretti a fuggire dai loro paesi a causa di conflitti, persecuzione politica e altre violazioni dei diritti umani”. Dopo il periodo di quarantena previsto, avvieranno la procedura per chiedere all’Italia il riconoscimento della protezione internazionale.

Risarcire i danni
Il 28 novembre 2019 la prima sezione del tribunale civile di Roma ha condannato il governo italiano al risarcimento dei danni materiali (quantificati in 15mila euro per ciascuno) e ha accolto la loro richiesta di ottenere il visto umanitario per arrivare in Italia e fare richiesta di asilo.
Il tribunale capitolino si è mosso sulla scia della sentenza Hirsi Jamaa con la quale, nel 2012, la Corte europea dei diritti dell’Uomo ha condannato l’Italia a risarcire i danni subiti da un gruppo di migranti che, analogamente a quanto avvenuto nel caso esaminato dal Tribunale romano, erano stati consegnati ai libici dopo un salvataggio avvenuto a 35 miglia a sud di Lampedusa, senza che fosse stata offerta prima la possibilità di fare domanda per la protezione internazionale. Alla base di quel verdetto, l’articolo 4 del Protocollo addizionale alla Cedu che vieta le espulsioneicollettive degli stranieri. Dal giudice monocratico del Tribunale romano, è stato valorizzato anche l’articolo 33 della Convenzione di Ginevra sul principio di non respingimento, che diventa rilevante ogni volta che uno Stato adotta una misura utile a rinviare un richiedente asilo o un rifugiato verso paesi in cui la sua vita o la sua libertà sono minacciate.

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Non passa la tesi del Governo italiano secondo il quale la consegna alle autorità libiche era in linea con l’Accordo sottoscritto a Bengasi nell’agosto 2008. Per il tribunale di Roma quel Trattato non solo non disciplina i respingimenti ma prevede espressamente, all’articolo 1, il rispetto della legalità internazionale, rinviando agli obblighi del diritto sovranazionale. Nel rispetto della Costituzione e delle norme internazionali le autorità che salvano migranti in mare hanno dunque l’obbligo di esaminare la situazione dei singoli, senza attuare respingimenti verso territori a rischio.
Questo con la precisazione che la mancata richiesta di asilo non consente di ignorare che in alcuni Paesi, come la Libia, esiste un sistematico mancato rispetto dei diritti umani.

 

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