Che cos'è la sindrome di Stoccolma? Ecco perché se ne parla nel caso di Silvia Romano
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Che cos'è la sindrome di Stoccolma? Ecco perché se ne parla nel caso di Silvia Romano

Fonti investigative dicono che la ragazza si è convertita all'Islam durante la prigionia nelle mani dei terroristi somali di al-Shabaab. Potrebbe trattarsi di uno stato psicologico temporaneo.

Sindrome di Stoccolma
Sindrome di Stoccolma
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11 Maggio 2020 - 07.29


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Che cosa hanno in comune una rapina in banca del 1973, un duplice sequestro a Baghdad nel 2008 e un rapimento in Somalia nel 2018? Poco, se non il fatto che in tutti e tre i casi si è parlato di ‘sindrome di Stoccolma’.

Anzi il primo caso, la presa di ostaggi alla Norrmalms Kreditbanken nella capitale svedese, diede addirittura il nome allo stato psicologico osservato dal criminologo e psicologo Nils Bejerot, collaboratore della polizia durante la rapina, nel comportamento di tre donne e un uomo che dopo essere stati nelle mani dei sequestratori per 6 giorni difesero i loro carcerieri e mostrarono un comportamento reticente prima dell’inizio del processo. Si disse addirittura che una delle donne si fosse fidanzata con uno dei rapitori.

Il termine fu coniato da Conrad Hassel, agente speciale dell’FBI e ora viene usato per definire il rapporto di complicità che si sviluppa tra la vittima di sequestro e il suo rapitore.

Se ne è parlato anche per il caso di Silvia Romano, da quando è emersa la notizia, confermata poi dalla stessa ragazza liberata il 9 maggio in Somalia, della conversione all’Islam. Fonti investigative non escludono possa “trattarsi di una situazione psicologica legata al contesto in cui la ragazza ha vissuto in questi 18 mesi, non necessariamente destinata a durare nel tempo”. La sindrome di Stoccolma, per l’appunto.

Le stesse fonti ricordano che “ci sono stati altri casi in passato” e il riferimento sembra essere a Simona Pari e Simona Torretta, le due cooperanti della Ong ‘Un ponte per’ che il 28 agosto 2004 – un anno dopo l’invasione americana del’Iraq – furono rapite a Baghdad. Il sequestro durò un mese: il 28 settembre le due furono rilasciate e intorno alla loro liberazione ​divamparono le polemiche: quando le due ventinovenni sostennero di non vedere l’ora di poter ritornare lì dove erano state rapite e ringraziarono più i loro carcerieri che le autorità  che avevano ottenuto la loro liberazione. Annche allora si parlò di sindrome di Stoccolma.

Secondo Bejerot, la Sindrome di Stoccolma è più comune nelle persone che sono state vittime di un qualche tipo di abuso, come nel caso di: ostaggi, membri di una setta, abuso psicologico dei bambini, prigionieri di guerra, prostitute, i prigionieri nei campi di concentramento, vittime di incesto e violenza domestica. Ma è più facile a insorgere quando la detenzione non è associata alla violenza, come percosse e stupro. 

La perdita totale del controllo che subisce l’ostaggio nel corso di un sequestro di persona è difficile da gestire. Essa diventa sopportabile quando la vittima s’identifica con i motivi del colpevole. 

Oggi viene associata alla Sindrome da stress post-traumatico e per questo trattato con farmaci e psicoterapia, Può durare qualche anno e anche quando è superato può lasciare strascichi come disturbi del sonno, incubi, fobie, trasalimenti improvvisi, flashback e depressione.

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