Sono circa un centinaio i detenuti siciliani accusati per mafia o droga che richiedono di poter tornare a casa per motivi di salute. Tra questi anche Getano Riina, fratello del sanguinario boss di Cosa Nostra Totò, che è detenuto a Torino.
Le istanze di scarcerazione sono al momento al vaglio dell’autorità giudiziaria. Alcuni detenuti sono infatti in attesa di giudizio, dunque la competenza è dei gip, dei tribunali del riesame, delle corte di appello; altri stanno invece scontando delle condanne già definitive, a decidere saranno i tribunali di sorveglianza sparsi per l’Italia, nelle sedi dove i mafiosi sono detenuti. Gaetano Riina, il fratello del capo dei capi di Cosa nostra, ha 87 anni ed è gravemente ammalato, dice uno dei suoi legali, l’avvocato Pietro Riggi. “Nella nostra istanza – aggiunge il legale – scriviamo che nel carcere di Torino ci sono 60 detenuti risultati positivi al Coronavirus, una situazione davvero pericolosa per un anziano che ha un solo rene, che ha già rischiato la vita con più infarti e un enfisema polmonare”. Riina deve scontare ancora due anni, l’ultima condanna è stata emessa dal tribunale di Napoli per il reato di concorrenza illecita, nell’ambito di una indagine sul controllo del trasporto ortofrutticolo.
Sono 376 i mafiosi e i trafficanti di droga che hanno lasciato il carcere per motivi di salute legati all’emergenza Covid. Un dato che il Dipartimento dell’amministrazione penitenziaria ha comunicato alla Commissione parlamentare antimafia. Nella parte alta della lista c’è anche l’ergastolano Antonino Sudato, di Avola, era detenuto nel reparto più rigido della cosiddetta “Alta sicurezza”. Tutti gli altri stavano in “Alta sicurezza 3”, il circuito che ospita mafiosi e gang della droga, 9.000 detenuti in totale. Dei 376, quasi la metà sta scontando una condanna definitiva, gli altri sono ancora in attesa di giudizio. Per tutti, determinanti le condizioni di salute precarie attestate da certificati e perizie. Ed anche in conseguenza del fatto che il Dap non è riuscito ad attrezzare soluzioni alternative agli arresti domiciliari, ad esempio nei centri medici penitenziari. Una polemica – come si sa – che ha portato alle dimissioni del capo del Dap Francesco Basentini e alla conseguente nomina di un nuovo vertice costituito dal vice, Roberto Tartaglia, che si è già insediato, e dal capo, Dino Petralia.
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