La docente: "Non demonizzate tutte le Rsa, sono uno dei pilastri del nostro welfare"
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La docente: "Non demonizzate tutte le Rsa, sono uno dei pilastri del nostro welfare"

Gli errori di chi non ha saputo prevenire questo disastro con gli anziani morti di Covid-19 stanno distruggendo un’immagine tanto faticosamente conquistata solo il duro impegno.

Coronavirus nelle Rsa
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28 Aprile 2020 - 15.39


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di Patrizia Frezza
Per quanto si possa cercare di immaginarlo, per chi non abbia un’esperienza diretta, é molto difficile capire realmente cosa sia una Rsa, come funzioni e che aria si respiri all’interno di questo luogo dal nome incomprensibile. Nell’immaginario di ciascuno, la cosiddetta Casa di riposo, può suscitare una differente reazione. Perlopiù in Italia c’è voluto molto tempo perché questa realtà fosse accettata come giusta e normale, o meglio utile ed efficiente.
Tutt’ora i figli che sono costretti dalle condizioni di precaria salute neurologica o semplicemente da importanti motivi di organizzazione familiare, a portare un genitore in Rsa, vivono a lungo con senso di colpa e frustrazione questa scelta, sensazione che a volte non li lascia mai, sino in ultimo.
Ho vissuto dall’interno questa esperienza, ma non solo da una parte, bensì da entrambi i lati della barricata. Come figlia ho usufruito, per mia madre, sia dei servizi di un centro diurno specializzato per anziani affetti da demenza ed alzheimer, che, nell’ultimo periodo, anche di una Rsa. Ed ho trovato una grande professionalità. Vi lascio immaginare che sollievo sia per un figlio trovare la propria madre sorridente ed intenta a cantare o raccontare affettuosamente la sua vita agli operatori del Centro, (che oramai conoscevano a menadito la nostra storia familiare…), invece che tristemente passiva davanti ad un televisore, sempre arrabbiata ed in guerra con la badante di turno, figura da lei mai accettata. E gli ultimi momenti, in un luogo dignitoso ed accogliente, aiutata in tutto da operatori attenti e sensibili, senza i quali mi sarei sentita persa.
Successivamente ho partecipato ad alcuni progetti di formazione ed aggiornamento, finalizzati all’umanizzazione delle cure ed alla prevenzione del burn out, per il personale sociosanitario di alcune Rsa in Puglia.
E lì ancor più ho scoperto un mondo: grande umanità, impegno, motivazione. Sono emerse le emozioni e sentimenti di tutti i membri dei team, dagli Oss, che sono la spina dorsale, inarrestabili ed instancabili, ad eccellenti infermieri e fisioterapisti, per non parlare di educatrici ed assistenti sociali, con mille responsabilità e sempre pronte/i ad accogliere idee nuove e creative per favorire il benessere degli “ospiti”. E finanche i cuochi, coinvolti in pieno nelle dinamiche emotive degli anziani. Naturalmente tutto diretto sapientemente da Direttori sempre aggiornati, spesso illuminati, pronti a rinnovare ogni area secondo le più innovative tendenze e visioni.
Sembra un sogno?
No, vi assicuro che questa è mediamente la realtà. E non è tutto. Ho conosciuto direttamente molti ospiti e le loro famiglie in momenti laboratoriali, ed è stata un’esperienza intensissima. Quanto abbiamo ancora da imparare dai nostri anziani! Si viene immersi da una valanga di sensazioni, si vive l’esperienza della vicinanza umana, autentica e profonda, guardando negli occhi queste persone, che si sentono prossime al capolinea, ma hanno ancora vivissima la capacità di gioire, divertirsi, affezionarsi, dare e ricevere calore. Ognuno di loro è diverso e speciale, e gli operatori li conoscono tutti, nel minimo dettaglio. E li amano, moltiplicando l’amore filiale all’infinito ogni giorno. Per questo, infatti, soffrono profondamente ogni volta che uno dei loro gentili nonnini se ne va. Si lavora su questo, per saper affrontare quella perdita, che è un lutto a tutti gli effetti, ogni volta. Con lacrime e tanta tristezza. Una parte della formazione ha proprio lo scopo di riflettere su come imparare a fronteggiare quei momenti di dolore.
E cosa sarà ora? Con le numerosissime morti della pandemia, e con la paura costante che serpeggia anche nelle strutture dove miracolosamente stanno tutti bene? Questa categoria è stata colpita durissimamente da questa grave emergenza sanitaria. In tutti i sensi, con i decessi, con le accuse che hanno additato tutti, con gli errori di chi non ha saputo prevenire questo disastro e proteggere anziani ed operatori per tempo, con una stampa spietata che sta distruggendo un’immagine tanto faticosamente conquistata solo attraverso il duro lavoro ed impegno h24 di donne e uomini che svolgono questo ruolo. Lo fanno per far stare bene noi figli, per alleggerirci di un carico che nella nostra vita frenetica non riusciamo più a svolgere. Quello di accudire i nostri cari come meritano. Deleghiamo questo compito, e quando lo facciamo spesso possiamo ricominciare a vivere. Perché un malato di Alzheimer o di demenza condiziona la vita di un’intera famiglia. Oltre ad essere un dolore silenzioso che ci si porta dentro.
Si dovranno trovare soluzioni tecniche, nuove idee e nuove procedure per proteggere questa attività (realistiche e non impossibili, come alcuni nuovi obblighi irrealizzabili che piovono ogni giorno sulle teste di chi dirige le Rsa, come mannaie).
Ma soprattutto occorre essere solidali e rispettosi con questi lavoratori, che alleggeriscono le nostre vite, dedicandosi senza risparmiarsi a gran parte della generazione che ci ha preceduti e dalla quale noi siamo venuti al mondo, che sta pagando il prezzo più alto di questo dramma che ha colpito l’umanità “onnipotente” del terzo millennio.

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Patrizia Frezza,
formatrice, counselor, con la qualifica di Esperta in Relazioni d’aiuto, specializzata in Benessere personale e relazionale, Lavoro ed Organizzazioni

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