La quarantena non vale per i mafiosi: funerale (e assembramento) per il fratello di un boss di Messina
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La quarantena non vale per i mafiosi: funerale (e assembramento) per il fratello di un boss di Messina

Mentre tutti gli italiani sono a casa e non possono partecipare a funerali e funzioni religiose, a Messina si celebra con tranquillità il funerale di Rosario Sparacio

Il funerale
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13 Aprile 2020 - 16.48


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Ha un bel sgolarsi il sindaco di Messina Cateno De Luca, che con gli altoparlanti invita la cittadinanza a rimanere a casa ‘piccazzimiei’ e sale all’onore delle cronache per aver bloccato con metodi da sceriffo quattro ragazzi provenienti da Reggio Calabria, guadagnandosi il plauso della popolazione. Però, sul fatto che nella sua città si sia celebrato il funerale di Rosario Sparacio, fratello di Luigi Sparacio, numero uno della mafia messinese alla fine degli anni ’90 e poi collaboratore di giustizia, non è stata detta una parola. Perché evidentemente per i mafiosi e i loro amici e parenti non valgono le stesse regole dei comuni mortali, che in questi mesi drammatici, a causa del Coronavirus, non possono partecipare a funerali e dare il loro ultimo saluto ai loro morti. 
Le foto del corteo funebre dimostano che queste persone sono ben consapevoli dell’impunità di cui godono, impunità che li fa essere anche arroganti e minacciosi nei confronti dei ‘giornalisti di merda’ che si sono permessi di diffondere la notizia: “Condividete tutti, per favore, perché mio nonno deve avere la sua eterna pace e questi giornalisti di merda lo devono lasciare stare nella sua santa pace”, scrive un nipote del defunto su facebook, riportando un altro post in cui, un’altra nipote inveisce contro i giornalisti, “Dovete lasciarci in pace nel nostro dolore, non abbiamo tolto niente a nessuno… siamo brave persone… se davvero fossimo quei boss che tanto proclamate non vi sareste permessi”.
Sparacio – che aveva iniziato a uccidere all’età di 17anni, come raccontò lui stesso ai pm – era considerato il punto di riferimento di Cosa nostra nel Messinese, legato a Nitto Santapaola e da lui delegato ai rapporti con le cosche di ‘ndrangheta. Luigi ha sempre escluso che il fratello, detto Sarino, fosse anche lui un affiliato. Di sicuro, però, “Zio Sarino” era stato condannato in via definitiva per diverse estorsioni, mentre il figlio Salvatore è stato condannato per associazione a delinquere di stampo mafioso, in via definitiva. 

 

 

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