Ecco la triste classifica delle categorie più odiate sui social: le donne sul podio
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Ecco la triste classifica delle categorie più odiate sui social: le donne sul podio

Presentato il progetto di Vox e 4 università che con algoritmi intercetta e geolocalizza i tweet contenenti espressioni di odio: 151 mila in 2 mesi.

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11 Giugno 2019 - 10.19


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Sale “l’odio” per stranieri, musulmani, ebrei e disabili. Scende per gli omosessuali. Stabili le donne. Aumenta in assoluto il numero di tweet contenenti espressioni di odio ma diminuiscono i profili da cui sono generati. Ecco in sintesi la “Mappa dell’Intolleranza”, il progetto ideato da Vox Diritti – Osservatorio italiano sui diritti in collaborazione con l’Università Statale di Milano, l’Università di Bari, La Sapienza di Roma e il Dipartimento di Sociologia della Cattolica di Milano. Giunta alla sua quarta edizione, ecco la mappatura che consente l’estrazione e geolocalizzazione dei tweet che contengono parole considerate sensibili. Un’azione mirata a identificare l’intolleranza “social” diffusa nei confronti di sei categorie: donne, omosessuali, migranti, disabili, ebrei e musulmani. Tra le sorprese del 2019 anche la geografia dell’odio: su Twitter è Milano – nella narrazione generalizzata città accogliente e aperta a ogni diversità – a svettare nell’infausta classifica dell’odio online nei cluster disabilità, omofobia e xenofobia. È terza sull’islamofobia dietro a Bologna e Torino mentre Roma è prima per l’antisemitismo “twittato”.

I numeri. Nel periodo marzo 2019-maggio 2019 sono stati estratti complessivamente 215.377 tweet. Di questi, 55.347 riguardano le donne e 39.876 sono i tweet misogini che sono stati intercettati, il 27 per cento del totale dei tweet negativi. 17.242 tweet geolocalizzati hanno permesso di creare le “mappe termiche” che rendono graficamente l’idea della concentrazione geografica, con una scala di colori che parte dal verde per avvicinarsi al rosso quando la densità aumenta. Secondo la rilevazione le donne sono “odiate” principalmente nelle città di Milano, Bologna, Firenze, Napoli anche se il dato va tarato con la maggiore propensione all’utilizzo di Twitter nelle grandi città. L’islamofobia si ritrova in 22.532 tweet, pesa per il 15 per cento del totale e si concentra a Bologna, Torino, Milano e Venezia ma scema nelle comunità dove la presenza di musulmani è maggiormente integrata. Milano, Venezia, Bologna e Napoli e poi a scemare Firenze, Roma e il cuore della Sicilia sono le zone più propense a praticare l’omofobia sui social, con 7.808 tweet negativi, il 5 per cento, ma anche 3.933 positivi sul complessivo di 11.741 che trattavano tematiche Lgbt. Scontro che si accende in occasione di appuntamenti controversi come il Congresso sulla Famiglia di Verona.

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I migranti sono l’argomento che più agita le coscienze: 74.451 tweet totali, in leggero aumento rispetto ai dati 2018 (ma raddoppiato rispetto alla prima edizione), e di questi 49.695 contengono messaggi negativi, il 32 per cento del totale, e 22.043 sono stati geolocalizzati con picchi a Milano, Torino e Bologna. Aumenta anche l’odio per gli ebrei e l’antisemitismo che vale il 10 per cento della massa considerata dalla ricerca e si concentra nel centro Italia e nella Capitale: 15.196 tweet negativi (alcune delle espressioni usate per la ricerca sono: “forni” o “usuraio” associate a “ebreo”) su 19.952 che parlano di ebrei e ebraismo. Tracciati sul territorio poco meno di 7 mila. Sale anche l’astio verso i disabili, rovesciando il trend del 2018 che aveva visto un calo. Sono 16.796 i tweet che li riguardano contenenti espressioni come “mongoflettico” o “storpio” (anche se l’elenco delle parole-guida contiene espressioni come “quattrocchi”, “cecato” o “handicappato” ad elevato rischio di fraintendibilità). A colpire rispetto a tutte le altre mappe è la diffusione geografica capillare: Milano con “strisciata” rossa fino a Verona, Napoli, Firenze, Bologna, Venezia, Torino, Genova, Catania, Palermo, Roma, Bari e la Sardegna. Fanno tutte parte della lista di aree da “bollino rosso” sebbene la geolocalizzazione abbia riguardato 3.430 tweet. In generale “aumentano i tweet di odio ma diminuiscono i profili da cui questi sono generati” è stato spiegato in Sala Alessi a Milano durante la presentazione dei report da parte di Silvia Sbrena, giornalista e co-fondatrice di Vox. Un aspetto che lascerebbe presupporre un “professionismo dell’odio” organizzato in reti.

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Anche fra il 2018 e il 2019, come in passato, l’intero progetto si è avvalso del gruppo di ricerca Swap dell’Università di Bari, Dipartimento di Informatica, guidato dal professor Giovanni Semeraro e dal ricercatore Cataldo Musto. Il cuore tecnologico delle “Mappe” sono i loro algoritmi che hanno intercettato 250 mila tweet in lingua italiana e oltre 60 mila sono stati quelli geolocalizzati correttamente. Spiegano nel dossier di Vox Diritti i due esperti informatici come abbiano sempre enfatizzato la complessità di individuare i discorsi d’odio in maniera automatica: l’ambiguità semantica dei termini rende poco efficaci i meccanismi di ricerca basati sul solo “matching” delle parole (esempi: terrorista o ebreo sono espressioni di uso comune anche in un contesto neutro). L’ironia o il sarcasmo potrebbero essere fraintesi e interpretati come hate speech dal sistema che a Bari hanno chiamato “Crowd Pulse” (“il battito cardiaco della folla”) – una piattaforma di social network analytics & sentiment anaysis usata per i cittadini de l’Aquila del decennio post-terremoto e che permette di analizzare e geolocalizzare i “cinguettii” su Twitter sulla base dei significati e dei contenuti. Per questo motivo è stato ulteriormente migliorato nella sua capacità di analisi semantica, di analisi sintattica e costruzione del periodo. “Non analizziamo la singola parola estrapolata ma sulla base di quelle che la circondano” ha già spiegato Cataldo Musto a Redattore Sociale. Un esempio banale? “Se attorno alla parola ‘nano” compaiono i nomi di Messi o Brunetta e non iPod, allora “c’è un’alta probabilità statistica che il termine sia usato come insulto o nella sua accezione d’intolleranza”. Ci sono altre tecniche più sofisticate che “si basano sulla analisi sintattica e costruzione della frase – aggiunge il ricercatore – servono a riconoscere e se l’uso di un insulto si riferisce a una persona e non ad una esclamazione di rabbia o disappunto”. (Francesco Floris)

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