Tito, genio e dissolutezza
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Tito, genio e dissolutezza

L’autore dell’ultimo saggio sul Maresciallo spiega il suo punto di vista sulla vita e il ruolo del capo della Federazione jugoslava, intravedendo già in quell’epoca i germi della dissoluzione<br>

Tito, genio e dissolutezza
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14 Gennaio 2016 - 10.03


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Slavko Goldstein era poco più di un ragazzo quando si unì alla lotta partigiana del Maresciallo Tito. Nato a Sarajevo da una famiglia di origini ebraiche, decise di abbracciare la guerra di liberazione dopo che il padre fu preso dagli Ustascia, il movimento nazi-fascista croato, e rinchiuso nel campo di concentramento di Jadovno. Nel 1945, all’età di 17 anni, ottenne il rango di tenente per i meriti acquisiti sul campo. A distanza di 70 anni ha deciso di scrivere, a quattro mani con il figlio Ivo, quello che è stato già definito il libro più dettagliato e completo sulla parabola politica del fondatore della Jugoslavia, un’opera intitolata semplicemente “Tito”. Goldstein, ritenuto oggi uno dei più prominenti intellettuali della Croazia, individua innanzitutto “tre epoche” nella storia del Maresciallo che più di altre catturano la sua attenzione.

“La prima è la formazione della personalità di Tito, negli anni ’20 e ’30: è un racconto affascinante che parla di un ragazzo di campagna che improvvisamente diventa una grande guida, durante e dopo la guerra. Successivamente il periodo più interessante è quello moscovita, perché è stato il momento formativo. Il terzo è quello legato al caso Djilas”, dice Goldstein in riferimento alla parabola del braccio destro di Tito, terminata rovinosamente con le critiche mosse dallo stesso presidente jugoslavo per alcuni scritti “anarchici e propugnatori della democrazia pura”. In un’intervista esclusiva concessa al “Novi Magazin”, Goldstein commenta la fase storica che ha visto i Balcani occidentali riuniti da Tito nella Federazione jugoslava, fino all’esplodere dei nazionalismi che ancora influenzano, a suo avviso, molti degli umori e delle decisioni politiche dei Paesi della regione.

“Dopo la sua morte – dice Goldstein – Tito era entrato per alcuni nella storia, per altri addirittura nella leggenda. A dire il vero, dopo la sua scomparsa il Maresciallo tornò relativamente presto nella scena politica contemporanea. (…) In Croazia ancora oggi molti lo odiano e chiedono che venga cancellato dai nomi delle strade, mentre altri, direi a sangue più freddo, hanno avviato un processo di valorizzazione riscoprendo i lati positivi della sua politica”. Nonostante il passato da partigiano, l’intellettuale Goldstein non risparmia le critiche alla politica  del capo della Jugoslavia.

“Da una parte, dobbiamo ammettere che sono fallite tutte e tre le idee principali di Tito, ovvero il comunismo, la Jugoslavia e il non allineamento in politica estera. Nonostante questo Tito è rimasto attuale e ancora fa discutere per l’influsso che può avere avuto nei rapporti fra gli Stati della ex Federazione, ed in particolare in quelli fra serbi e croati. Alcuni ritengono che il conflitto degli anni ’90 trovi le sue origini nell’epoca di Tito, cosa che è assolutamente inesatta. Quelle origini sono già riscontrabili, per esempio, nel Regno di Jugoslavia precedente alla Federazione (…). Vero è invece che Tito per tutta la sua vita si occupò della questione, durante la guerra e dopo, tentando di costruire un equilibrio. Alla fine risultò che non ci era riuscito”. Alla domanda su una valutazione del ruolo storico di Tito, Goldstein risponde che occorre innanzitutto dividere il giudizio che viene dato dalla storia mondiale e quello che è invece maturato all’interno dei Balcani occidentali.

“Per la storia mondiale Tito resterà lo statista che in modo decisivo si è contrapposto a Hitler e a Stalin (…). Questo non significa che da noi sia la valutazione dominante (…). Tito non è una personalità semplice, dopo il ’48 si rivela un grande fattore di progresso della Jugoslavia, e dal 1951 al 1971 il Paese avanza con una percentuale di crescita mai vista. E’ anche vero che, a poco a poco,  la Federazione diventa più liberale, si aprono le frontiere, noi possiamo viaggiare. Allo stesso tempo, però, prosperano i conflitti nazionali e il desiderio di una maggiore libertà. Qui Tito all’improvviso, nel corso degli anni ’60 e all’inizio dei ’70, diventa un ‘ostacolo’. Colui che reggeva da autocrate tutti i fili fra le sue mani perde, con il complicarsi della situazione generale e l’avanzare della sua età, quella capacità di controllare tutti i fili. Il suo potere non è più così compatto, oscilla fra il centralismo e una maggiore autonomia, e non direi che ci si sia raccapezzato bene. (…) In altre parole diventa lui stesso un fattore della dissoluzione della Jugoslavia anche se non l’unico”.

 I nazionalismi si sono uniti, tra la fine degli anni ’80 e i ’90, alla scarsa conoscenza dei meccanismi democratici nei partiti e movimenti sorti in quella fase storica. “Io stesso ho preso parte al processo, anche se per breve tempo”, ammette Goldstein che in quel periodo fondò il Partito liberale in Croazia. “Oggi devo dire che di quella democrazia che desideravo così ardentemente sapevo molto poco, in ogni caso non in maniera sufficiente per potermi districare con sicurezza”. I nazionalismi secondo Goldstein non sono scomparsi, tutt’altro.

“Due anni fa ero in America per presentare un mio libro, ‘1941: l’anno che ritorna’. Le domande più frequenti erano: a che punto è il nazionalismo croato, esistono ancora gli Ustascia etc. Allora avevo risposto che sì, qualcosa c’era ancora ma era in forte declino. Oggi non darei la stessa risposta (…). Non dico che questa corrente sia dominante, ma preoccupa, diciamo, il fatto che 3.500 persone abbiano sottoscritto la richiesta di introdurre il saluto Ustascia per le Forze Armate in Croazia. La proposta è stata naturalmente rigettata dal governo ma 3.500 persone, fra cui due accademici, un vescovo e un vescovo ausiliare hanno firmato. E’ un brutto sintomo”. Analoghi sintomi si possono individuare in Serbia, dice ancora Goldstein, ad esempio con le riabilitazioni di personaggi che ancora sono controversi per le due parti, come il cetnico Draza Mihajlovic accusato di crimini di guerra contro i croati durante la Seconda guerra mondiale. I nazionalismi sono infine usati da tutte le parti politiche, in modo più o meno velato, per raccogliere voti e consensi. “Credo che costruire la tattica politica sfruttando tendenze fasciste – conclude l’autore –non solo sia privo di senso, ma che sia un gioco che può finire davvero male”.

(Fonti: Novi Magazin – agenzie)

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