La foto del bambino sulla spiaggia e la spettacolarizzazione dell'orrore
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La foto del bambino sulla spiaggia e la spettacolarizzazione dell'orrore

La foto che ha sconvolto il mondo interno. Una riflessione sulla bulimia di immagini della tragedia migranti.

La foto del bambino sulla spiaggia e la spettacolarizzazione dell'orrore
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3 Settembre 2015 - 10.07


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di MARCO FIORLETTA

Cara amica Lorenza, ho letto le tue pregevoli riflessioni sulla [url”spettacolarizzazione dell’orrore”]http://www.globalist.it/Secure/Detail_News_Display?ID=78043&typeb=0[/url] e se fossimo in un mondo normale potrei anche dire che sono d’accordo con te ma viviamo tempi critici che normali non sono e quindi non lo sono nemmeno le nostre reazioni.

Pensavo, in questi tragici giorni (ma ce ne sono che non sono tali?) di migranti morti, all’inutile esposizione dei corpi di uomini, donne e bambini periti mentre cercavano solo di raggiungere un posto, una terra che potesse garantire loro un futuro, una vita migliore di quella fatta finora. Un’esposizione che non aggiunge nulla alla tragicità della notizia, che nemmeno integra ma, a mio parere, in molti casi soddisfa solo la morbosità di chi le diffonde.

Scrivi: “L’ho fatto perché credevo (e credo) che guardare in faccia l’orrore possa essere a volte necessario”. Sempre se fossimo in un paese, in un mondo e in una situazione normale la pubblicazione di un’immagine cruda e cruenta pubblicata ad integrazione di un articolo, dove si spiega la genesi del fatto e le conseguenze potrebbe avere l’effetto che tu dici, sarebbe uno shock , il classico colpo allo stomaco che ti scuote e ti fa pensare ma ormai siamo vittime, tutti, di un surplus d’orrore, vittime dell’abbondanza dell’offerta che la rete ha amplificato all’inverosimile mettendo in mano certo materiale che andrebbe maneggiato con molta cura, molta accortezza, anche a chi non ha gli strumenti culturali per maneggiarlo.

Proprio su Globalist.it, pochi giorni or sono, sono state pubblicate le immagini dei due reporter americani uccisi da un ex collega, con l’avvertimento che le immagini avrebbero potuto turbare gli animi più sensibili. Non le ho viste ma posso figurarmi ciò che avrei guardato: la fiammata della pistola, lo sguardo perso della giornalista, la sua caduta a terra e la fuoriuscita del sangue. Ora qualcuno mi dica in cosa integra, spiega ciò che si sarebbe potuto dire a parole.

I più grandicelli, per non dire anziani, ricorderanno le polemiche per le foto di Aldo Moro sul tavolo dell’obitorio o le foto di Pier Paolo Pasolini così come li avevano ridotti gli assassini. Della morte e del come del presidente della Dc si sapeva tutto e la foto non aggiunse nulla se non l’aspetto morboso. Per lo scrittore fu diverso, essa servì anche a smentire certe ipotesi che erano state fatte. Entrambe le immagini causarono scalpore perché erano inusuali, cosa che ormai non si può dire per gli immigrati e le vittime di qualsivoglia guerra.

Penso che una buona cronaca, scritta a regola d’arte, serva a sensibilizzare tanto se non di più di una pessima abitudine che ormai non risparmia più nessun giornale, televisione o sito. Si corre il rischio, se già l’obiettivo non è stato raggiunto, che i morti facciano la fine del “micio puccioso” che tu stessa richiami. Ormai tutto si misura in like e condivisioni e retwittamenti e le foto dei morti vanno per la maggiore.

Se aggiungiamo che dietro molte di queste immagini, o filmati, c’è un discorso “politico” da parte di chi le immette nella rete chiudiamo il cerchio. Ci trasformiamo tutti in finti-incosapevoli trasmettitori di idee che ci ripugnano e contribuiamo all’assuefazione di chi, come dicevo prima, non ha gli strumenti culturali per analizzare ciò che pubblica. Mi viene in mente la teoria del potere che fa proprio determinate pratiche per devalorizzarle, i capelli lunghi per gli uomini o le minigonne per le donne – per non parlare di cose più recenti, persero il loro valore “eversivo” quando non divennero altro che elementi di moda.

“Oppure questa sorta di bulimia da immagini cruente dipende anche dal fatto che i cattivi stavolta sono musulmani?” La domanda non è peregrina, anzi è fondamentale e tocca uno degli aspetti principali della crisi che ci perseguita da ormai molti anni. C’è chi ambisce ad uno scontro di civiltà e la diffusione di queste immagini è una delle armi messe in campo. Dagli estremisti per fare proseliti e terrorizzare, dai terrorizzati per far vedere quanto siano cattivi gli estremisti. Tutti a spingere la macina come due asini senza che si sappia chi dei due è avanti all’altro. E noi, in questo caso inermi cittadini, ne paghiamo le conseguenze.

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