La Mensa dell’Antoniano non va in vacanza. L'anonimato degli italiani
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La Mensa dell’Antoniano non va in vacanza. L'anonimato degli italiani

Ogni giorno in un centinaio affollano la sala di via Guinizzelli. Tra loro migranti, disoccupati, studenti, senza dimora, anziani in difficoltà.

La Mensa dell’Antoniano non va in vacanza. L'anonimato degli italiani
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8 Luglio 2015 - 09.56


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Migranti, disoccupati, senza dimora ma anche qualche studente universitario e anziani con la pensione minima. Sono circa un centinaio le persone che ogni giorno affollano la mensa dell’Antoniano che per quest’anno resterà aperta anche d’estate. È mezzogiorno e mezzo e chi vive per strada sa che a quest’ora un piatto di pasta lo si può trovare in via Guido Guinizzelli a Bologna, dove ad accoglierli ci sono volontari e operatori. Qui i ragazzi, che lavorano per prestare assistenza, non si limitano solo a servire un piatto caldo ma attraverso un pranzo cercano di conoscere le tante persone che bussano alla loro porta e poterli così aiutare. I volontari, una volta serviti i piatti, si siedono a pranzare con loro e iniziano a conversare in modo da ascoltare le storie di ognuno. “La mensa è un modo per avvicinare le persone per conoscerle e aiutarle e per questo abbiamo deciso di rimanere aperti anche d’estate – spiega frate Alessando Caspoli, direttore dell’Antoniano -. L’obiettivo è ridare un futuro a chi si trova in difficoltà”.

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Oggi, saranno circa una sessantina le persone che sono arrivate nella piccola sala d’accoglienza dove, durante il giorno, si organizzano corsi e laboratori. Osservandoli s’intuisce subito che molti di loro vengono spesso, scherzano con gli operatori e si muovono tra gli scaffali e la libreria in cerca di giornali e giochi da tavola con cui passare il tempo. In attesa di mettersi in fila per la mensa, infatti, c’è chi gioca a scacchi, chi legge e chi chiacchiera con un amico. Sono quasi tutti stranieri, qualche italiano si vede qua e là ma preferiscono rimanere in disparte e una volta pranzato vanno via di corsa. “Molti italiani chiamano per chiederci come possono fare per venire – continua frate Caspoli -. Noi gli spieghiamo che prima si fa un colloquio con le operatrici per conoscersi. Ma alla fine non vengono. Molti preferiscono rivolgersi direttamente alle parrocchie chiedendo il sacchetto alimentare. È più anonimo”.

Ognuno dei ragazzi e delle ragazze che frequenta l’Antoniano a chiedere un pasto ha una storia particolare. Ci sono quelli che hanno perso il lavoro, come un gruppo di ragazze dell’Est Europa che fino a qualche mese fa facevano le colf e le badanti, ci sono dei migranti del Mali che sono appena usciti dai centri d’accoglienza, ci sono persone con dipendenze e tanti che vivono in strada. “Qualche tempo fa abbiamo avuto anche tre studenti universitari a cui era scaduta la borsa di studio – dice Lucia Vicchi operatrice del centro d’ascolto –. È da un po’ che non li vediamo spero che le cose gli vadano meglio. Noi cerchiamo di aiutare chiunque ha bisogno e per questo che facciamo dei colloqui con chi si presenta”.

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Per accedere alla mensa, infatti, le persone che arrivano all’Antoniano incontrano le operatrici del centro d’ascolto con cui parlano della loro vita e delle loro difficoltà. Dopo una serie di colloqui a ogni ospite viene rilasciata una tessera con la quale accede alla mensa e inizia a seguire dei percorsi formativi. “La tessera è un modo per seguire una persona – continua Vicchi – In questo modo sappiamo quante volte viene e quali corsi segue”. I corsi, così come i laboratori, sono tenuti da volontari che prestano tempo e competenze per fornire alle persone che vengono all’Antoniano di avere delle conoscenze su alcune materie da poter poi spendere nella ricerca di un lavoro. Informatica, artigianato, corsi d’italiano e un corso per scrivere il proprio curriculum sono i più seguiti. “Cerchiamo di fornire delle competenze – conclude Vicchi – e di inserire le persone in progetti formativi con aziende. Ma non è sempre così facile e per ora solo in pochi hanno trovato un’occupazione”. (Dino Collazzo)

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